Dibattiti / L’Arte come segno di Speranza

DAlterio
Michele D’Alterio, forme d’acqua, 2019 (dettaglio)
Editoriale

L’arte non allevia i dolori dell’uomo, non svela i misteri della vita, “conserva la ferita aperta” del corpo e dell’anima, ha scritto lo studioso gesuita Pierre Gaboury1, eppure può rappresentare un potente segno di speranza. Lo ha ribadito Papa Francesco nel suo Discorso agli artisti, nella Cappella Sistina, il 23 giugno dello scorso anno. «Voi artisti, allora, avete la capacità di sognare nuove versioni del mondo. E questo è importante: nuove versioni del mondo. La capacità d’introdurre novità nella storia», ha detto il pontefice.
 
L’arte è un segno di speranza perché aiuta l’uomo a cogliere i motivi profondi dell’esistenza e a rigenerarla, mobilitando le sue risorse spirituali e materiali, investendo intera la persona e facendola vibrare, mediante i sensi, nella trasparenza dello spirito. L’arte offre all’uomo una opportunità di andare alle sorgenti della sua verità umana, di confrontarsi con la sua creaturalità.
 
In questa condizione l’uomo percepisce i suoi orizzonti di senso, la direzione del suo cuore. L’arte può rivelarsi, in virtù del suo dono naturale, un segno visibile e vitale di bellezza e di riscatto, dare la consapevolezza che a nulla valgono i poteri e gli averi senza una convincente attesa di infinito. L’arte ha questo straordinario dono, appunto, di aprire il cuore all’infinito. Tutte le arti, ovviamente. Esse sono un ponte tra il visibile e l’invisibile, tra la vita del tempo e il tempo della vita. Nell’arte la morte stessa può trasformarsi in vita. Perché la bellezza non è quella apparente della forma, ma è dentro di essa. Occorre dunque coltivarla, l’arte, custodirla, preservarla.

L’arte è un linguaggio in cui la materia si palesa con tutta la sua fisicità, fatta di colori, suoni, mezzi e materiali anche i più poveri, ma che al tempo stesso diventa orizzonte rivelativo dell’essere e del sentire. È qui il segno del suo mistero e della sua speranza. D’altra parte, seppure muova dalla creatività personale, l’arte alimenta e rappresenta un sentire comune, assume, nel momento in cui si rivela al mondo, un valore sociale, realizzandosi nella condivisione di valori e sentimenti profondi di ogni uomo. Ora, questo segno fondamentale non basta dirlo, occorre cercarlo, inseguirlo, sperimentarlo, proporlo, favorirlo. L’arte, e in specie l’arte cristiana, è ancora uno spazio incerto, poco coltivato, interpretato, vissuto come parte integrante delle virtù teologali.

Eppure, nell’esperienza della storia e della vita cristiana è proprio dal grembo della fede, della speranza e della carità che l’arte è generata. La bellezza dell’arte cristiana, come è stato colto con straordinaria sensibilità e acutezza da Cristina Campo, dovrebbe essere percepita come «una virtù teologale, la quarta, la segreta, quella che fluisce dall’una all’altra delle tre palesi. Ciò è evidente nel rito, appunto, dove Fede, Speranza e Carità sono ininterrottamente intessute e significate dalla Bellezza»2.

Occorre lavorare con impegno perché venga interpretata, compresa e vissuta come segno di speranza. La domanda radicale posta da Dostoevskij: “Quale bellezza salverà il mondo?”3 ancora risuona e continua a scuoterci e ci sollecita a ricercare nel tempo presente la pienezza di senso di una bellezza che doni speranza e salvi la vita dall’assedio di una dilagante miseria.

Giorgio Agnisola
Alfredo La Malfa
Natalino Valentini


1. P. Gaoury, L’art et les hommes, Le Centre Catholique de l’Université Saint-Paul, Ottawa, 1967.
2. C. Campo, Il linguaggio dei simboli, in Ead., Sotto falso nome, Adelphi, Milano 1998, p. 215.
3. F. M. Dostoevskij, L’idiota, Sansoni, Firenze 1961, III, V.

 

In un momento difficile e complesso, tenendo conto del discorso di Papa Francesco agli artisti, vogliamo favorire un confronto con alcuni autorevoli studiosi, personalità del mondo dell’arte e della teologia ecumenica su come l’arte possa essere segno di speranza.


Sul tema intervengono, nell’ordine: Carmelo Raspa, Alessandro Zaccuri, Armando Punzo, Francesco Brancato, Bruna Esposito, Sergio Mainoldi, Davide Rosso.

Carmelo Raspa

raspa Pontificia Facoltà di Sicilia
Il libro del profeta Geremia, nella sezione che la Bibbia di Gerusalemme definisce come «oracoli pronunziati soprattutto al tempo di Ioakim», presenta due definizioni di Dio come speranza di Israele (Ger. 14,8; 17,13). Gli oracoli geremiani, in questa sezione, si aprono con la condanna della fiducia del popolo nella protezione che il Signore assicura della città, abitando nel Tempio, sperimentata al tempo della mancata invasione di Sennacherib, re d’Assiria.
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Alessandro Zaccuri

Alessandro ZaccuriUniversità Cattolica del Sacro Cuore
La speranza non va confusa con l’ottimismo. La raccomandazione viene, tra gli altri, da Václav Havel, che in una delle lettere alla moglie Olga traccia la distinzione tra queste due attitudini adottando un criterio incentrato sulla qualità dell’azione.
Laddove l’ottimista prova a convincersi del futuro successo, chi pratica la speranza si concentra sul presente e si accerta anzitutto che quello che sta facendo abbia un significato.
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Armando Punzo

Armando PunzoRegista, drammaturgo, attore
Cenerentola ha in sé tutte le possibilità, è uomo, donna, pianta, animale, è sé stessa e allo stesso tempo oltre sé stessa. È acqua, terra, fuoco, aria, è stella in un universo di stelle lucenti e pianeti spenti, abbandonati questi ultimi, a specchio con noi, al loro solitario inutile vagare e girare su sé stessi.
Ma non lo sa ancora, non le si è ancora rivelata quella fenditura del reale che la porterà lontano da ciò che è stata indotta a pensare di essere.
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Francesco Brancato

Francesco BrancatoOrdinario di Teologia dogmatica
Abitiamo un presente sempre più incerto e i contorni del futuro che ci si apre davanti sono sempre meno nitidi e precisi, tanto che si sente parlare insistentemente di “sismicità del futuro”, dal momento che il futuro appare incerto e dai contorni poco definiti e definibili.
Tutto questo, di fatto, ci rende più intolleranti nei confronti di risposte conciliatorie e consolatorie alle preoccupazioni del presente; risposte/soluzioni preconfezionate e ad usum Delphini…
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Bruna Esposito

Bruna EspositoArtista, Leone d’oro 48ª Biennale di Venezia
A questa domanda diretta la mia risposta è altrettanto diretta: si, può. Mi permetto tanta assertività forse poiché da tanti anni insegno nelle Accademie di Belle Arti. A dire il vero, quando preparo e tengo le lezioni, nonostante miei crucci e dubbi e nonostante lo scoramento causato dalle brutalità delle guerre, tra cui le vicine in Ucraina ed in Gaza, non posso concedermi pessimismo. Ho il dovere verso i giovani studenti di mantenere alto e aperto lo sguardo. Me lo impone il ruolo che impersono. Non ho scampo.
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Sergio Mainoldi

smSacerdote Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia
Definire il ruolo dell’arte risulta quanto mai arduo in un’epoca in cui l’espressione artistica sembra fondarsi sull’unico assioma del superamento del limite, sull’urgenza del divincolarsi da ogni stile del passato, e sembra assumere come unico principio teorico irrinunciabile la negazione del concetto di “classico” – termine che viene mantenuto soltanto per ragioni di etichetta storiografica, nonché commerciali. Paradossalmente però, mai come in questa epoca l’arte del passato, con i suoi monumenti classici, è oggetto di continua fruizione…
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Davide Rosso

drGiornalista, scrittore
Oggi la fede e la conoscenza del mondo non entrano più in contesa sulla verità.
Parte da quest’affermazione il teologo Jürgen Moltmann nel suo saggio su Scienza e sapienza. Interazioni fra teologia e scienze della natura1, lo studioso poi, nell’articolazione del suo discorso, ci conduce nella dimensione del tempo e ci mostra nell’arte dell’interpretare (l’ermeneutica) la strada percorsa dalla teologia che parte nel suo ragionare dal passato (la tradizione biblica) estendendosi fino al presente e quindi al futuro.
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