
1.Misericordia e rinascita
Rahamim, ovvero misericordia in ebraico è un plurale misterioso. È il plurale di rehem, che in ebraico significa utero. In una lingua povera, dove il superlativo assoluto è costituito da un singolare unito a un plurale (come il Cantico dei Cantici, cioè il Canticissimo, il termine rehem rahamim, indica l’utero degli uteri, ovvero l’Uterissimo, l’utero che non fallisce mai, che sempre dà vita. Rahamim, dunque, cioè misericordia, significa dare sempre vita, una vita divina che non muore, un perdono che redime e riedifica. Il plurale rahamim poi, formato da rehem (רֶחֶם): utero e mayim (מים): acque, ci parla del grembo divino, in cui ciascuno di noi è perennemente generato. Proprio attraverso la parola rahamim conosciamo quell’accento materno di Dio che ama e che non può fare a meno di amare; come una Madre, le cui viscere fremono di compassione e timore davanti al proprio figlio, dinnanzi al mistero di un tu che, visceralmente parte di lei, è altro da sé:
Al paragone dell’utero ricorse anche Cristo nell’ultima cena per spiegare il suo amore per noi. Viscerale è infatti l’amore con cui Cristo ci ha amato, facendoci, nell’eucarestia, una sola carne con Lui; testimoniandoci, con la sua morte e resurrezione, l’amore del Padre, più forte del male e della morte.
Dunque, prestar misericordia prima che avere carità e compassione, come spesso viene inteso, è anzitutto dare Vita, e con essa dare quel Dio della vita infallibile, è dare la vita eterna.
2. La porta della grazia
In tal senso un grande atto di misericordia è quello offerto dal Giubileo, spazio e tempo per un perdono che reintegra nella vera vita. Il Giubileo spinge, poi, a passare per una porta, simbolo che passa spesso inosservato. La porta sigilla un cambiamento: segna il passaggio da un luogo incerto e di pericolo (la strada) a un luogo di sicurezza e di identità (la casa). La porta delimita gli ambienti: quelli intimi, come la camera da letto o il bagno, e quelli più aperti, come il salotto o l’atrio. Passare per una porta è, dunque, un grande simbolo, nel senso proprio di segno indicante una verità. La porta sigilla dunque il passaggio, e perciò stesso una Pasqua, da una condizione all’altra, segna una redenzione e perciò stesso una grande speranza.
Il termine “grazia” collega sorprendentemente l’immagine della porta alla misericordia. Nel libro dell’Esodo Dio si presenta a Mosè come ricco di misericordia e grazia:

La parola grazia, in ebraico hesed = חֶסֶד, termina con la lettera dalet (ד) che significa “porta” e che figurativamente disegna uno stipite. Le tre radicali di hesed, infatti, che in ebraico sono anche tre immagini, raccontano il percorso di un attributo divino (la grazia appunto) che si comunica all’uomo. Significativamente a ridosso del Giubileo del 1600 Caravaggio ci regala l’immagine di questa porta che ci regala Grazia e misericordia. Si tratta della tela intitolata Madonna dei pellegrini o Madonna di Loreto, datata 1603 circa4.
Il giovane artista lombardo, nella sua genialità, abbandona l’iconografia classica della Madonna di Loreto, seduta sopra il tetto di una casa in volo e concentra la sua attenzione sopra lo stipite della porta e il muro leggermente scrostato. La posa singolare della Vergine morbidamente appoggiata allo stipite stesso, deriva da una statua greca, la Thunselda5, che Caravaggio vide in casa del Granduca Ferdinando de Medici.Tuttavia, se quest’ultima rimane chiusa nei suoi pensieri e ritta come una cariatide, la Vergine si piega morbidamente per dare ascolto ai due pellegrini che han bussato alla sua porta. Questi sono due marchesi, Ermete Cavalletti e sua madre, aderenti a un movimento noto come pauperismo borromaico, i cui componenti amavano farsi ritrarre, davanti a Cristo e alla sua Vergine Madre, in vesti povere per affermare la loro devozione e la loro sincera pietà. I piedi sporchi del marchese che tanto fecero inorridire il Baglione, noto critico d’arte contemporaneo all’artista, così visibili a coloro che si accostavano alla pala per la preghiera, sono in realtà un invito a guardare i piedi del Cristo bambino il quale, benché al sicuro in braccio alla Madre, già manifesta la volontà di scendere da quella sicurezza per salire sulla croce.
Così Maria è presentata come quella porta di grazia per la quale l’uomo ha accesso alla più grande misericordia, quella di un Dio che perdona, assumendo su di sé le conseguenze del peccato, e ridonando all’uomo accesso alla vita eterna.
3. Il filo della speranza
La seconda grande parola che accompagna il Giubileo del 2025 è la speranza.
La nostra matrice greca ci ha abituati a ricondurre l’espressione: «la speranza appesa a un filo» al mito di Arianna la quale salvò la vita all’amato Teseo grazie a un gomitolo, mediante il quale questi seppe districarsi nel terribile labirinto del Minotauro.
In realtà l’immagine del filo, anzi della corda tesa, sta alla base della radice ebraica della parola Tiqvà תקוה e cioè qav (קו), che significa appunto, corda tesa tra due poli.
Ed è proprio qui la sostanziale differenza fra mito e fede.
Quando Giobbe esclama:
suggerisce proprio l’immagine di un gomitolo che si srotola senza né capo né coda, immagine opposta a quella della corda tesa fra due poli.
L’uomo che spera, per la tradizione giudaico-cristiana, è colui che tenendosi saldamente ancorato al suo passato alle sue radici può slanciarsi verso il futuro mantenendo teso il presente. È l’uomo in at-tesa, l’uomo capace di stupore e di novità senza, come direbbe Victor Hugo, uno sguardo abituato. Un’opera racconta in modo esplicito come l’uomo contemporaneo rischi di restare privo di questa speranza perché si trova o sganciato dal passato per correre in fuga verso un presente, che resta tuttavia indecifrabile; oppure nostalgico di un passato che rischia di soffocare la novità del Presente stesso.
L’opera in questione è il ritorno del Figlio prodigo dipinta da Giorgio de Chirico nel 19227.
Nato in Grecia da genitori italiani, Giorgio, s’innamora dell’Italia e aderisce alla corrente futurista. Si arruola con il fratello spinto dalle manie di grandezza che fomentarono quel conflitto, ma si ammalò. Nell’ospedale di Ferrara ebbe modo di riflettere sulle sue radici e sul senso da dare al futuro, nacque così, anche grazie all’incontro con Carrà, la pittura metafisica. Ed è proprio la tentazione della fuga in avanti a dare al Figlio-manichino di de Chirico i connotati dell’uomo contemporaneo provo di vera speranza, orientato a un futuro programma. Il manichino non ha nulla lasciato al caso, l’uomo self-made che ha lasciato alle sue spalle la sua mediterranea, Volo per correre verso Ferrara, rossa nei monumenti, rossa nelle sue avanguardie.
Ma è accaduto l’inusitato, come lo stesso artista scrive. Il padre, come una statua greca, ha lasciato il suo piedistallo per andare incontro al Figlio-manichino. Il passato viene incontro all’uomo in fuga dal presente: questa è la grande speranza. Solo chi è conscio delle sue radici e guarda alle strade del passato, non in senso nostalgico, ma come esperienza volta al discernimento, vive nella speranza di una corretta interpretazione del presente.
In tal modo la speranza è intimamente connessa alla pazienza e a quella misericordia che è intimamente connessa all’atto generativo come già ricordava il poeta Rainer Maria Rilke:
(Rainer Maria Rilke, Lettere a un giovane poeta).
NOTE
2. Is 49,15.
3. Es 34,6.
4. Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, Madonna dei Pellegrini o di Loreto, olio su tela (260×150 cm), 1604-1606. Cappella Cavalletti Basilica di Sant’Agostino, Roma. Il “titolo” alla Madonna di Loreto deriva dalla devozione del Cavalletti alla Madonna lauretana ed è attestato dal contratto del 1603. Il marchese fu pellegrino al santuario della Madonna a Loreto pochi mesi prima della morte ( Alessandro Zuccari, Caravaggio sus comitentes y el culto lauretano, in AA.VV., Caravaggio, Madrid 1999, 63 e 71 e note 5 e 6; Maurizio Marini, Caravaggio pictor praestantissimus, Newton Compton, Roma 2005, 487, n. 65.
5. Thusnelda, principessa germanica, poi rapita da Arminio e diventata sua moglie. È stata a lungo considerata una delle Sabine per via del marmo in cui è stata scolpita, di età traiano-adrianea. Proveniente da Villa Medici, la scultura è stata collocata sotto la Loggia della Signoria di Firenze a partire dal 1789.
6. Gb 7,6.
7. Giorgio de Chirico, Il figliol prodigo, 1922, olio su tela, 87×59 cm., Museo del Novecento di Milano.
