José Jiménez
Il termine mimesi è stato tradizionalmente tradotto con imitazione, anche se il suo significato preciso è quello di rappresentazione sensibile, o più propriamente quello di produzione dell’immagine. Questo significato è chiaramente esplicito nella formulazione di Aristotele, in un contesto in cui egli afferma allo stesso tempo l’unità delle arti: “Poiché il poeta è un imitatore [μιμητt, mimetés], lo stesso di un pittore o di qualsiasi altro produttore di immagini [εἰκονοποιός, eíkonopoiós], imiterà necessariamente sempre in uno dei tre modi possibili; rappresenterà le cose come erano o come sono, o come si dice o si crede che siano, o come dovrebbero essere”. (Poetica 1460b).
Aristotele, discepolo di Platone, sarà il primo a conciliare la proposizione di una teoria generale della mimesi con la considerazione del suo valore positivo. Ciò che si riscontra, sia nella Poetica che nella Retorica, e soprattutto in alcuni passi della Metafisica, è l’idea che le rappresentazioni mimetiche non riproducano semplicemente ciò che è nel mondo sensibile, ma piuttosto a partire da materiali del mondo sensibile, e con l’introduzione del forme che sono nella mente dell’artista, quello che fa è entrare in una dimensione che non è la dimensione della phýsis, della natura, ma la dimensione del possibile.
Di ciò che non deve essere, da un punto di vista necessario, ma che può diventare. L’approccio aristotelico implica la considerazione di un mondo alternativo, dove vi sono manifestazioni di verità e manifestazioni di moralità, e quindi non è un mondo meramente subordinato all’apparenza, come invece sostiene la teoria platonica.È importante notare che nei modi di rappresentare Aristotele egli distingue tra riproduzione nel senso di fissazione sulla memoria, l’approccio che si situa in ciò che si dice o si crede, cioè ciò che ci rimanda all’opinione (che nell’oggi potremmo identificarci con tutti i tipi e supporti di immagini mediatiche), e infine in cui produce immagini come dovrebbero essere, che è ciò a cui le arti dovrebbero aspirare e che implica l’unità profonda tra estetica ed etica.
Se ci poniamo così sul piano del plausibile e di una produzione di immagini sorretta dall’unione di etica ed estetica, le arti, l’insieme delle arti, quando raggiungono un registro di pienezza, producono immagini che vanno oltre ciò che esiste, ci danno le configurazioni di possibili mondi alternativi. E questo implica che oggi, in una situazione in cui il mondo naturale è così profondamente minacciato da uno sfruttamento tecnico dell’essere umano senza limiti né controllo, le arti devono essere messe in primo piano per favorire modalità di conservazione e cura della natura in tutte le sue aree: una natura vigorosa, come spazio della nostra vita, è artistica e realmente possibile.
Ovviamente non sono pochi gli artisti del nostro tempo che hanno sviluppato le loro opere in quella prospettiva di rispetto e dialogo con la natura. In questo quadro di riflessione, voglio semplicemente prendere come esempio il grande scultore Eduardo Chillida (1924-2002). Il suo lavoro scultoreo ruota tutto il suo ampio dispiegamento su un’idea da lui stesso formulata e che funge da sintesi: disegnare nello spazio. Ciò esprime la necessità di sfidare la forza gravitazionale della natura, il peso dei materiali e mostrare in essi, contestualmente al loro dispiegarsi spaziale, i segni del passare del tempo: l’ossido, soprattutto, trasformato in traccia del divenire, per effetto del contrasto cromatico tra la luce e l’ombra. In racchiusa allegoria dell’incessante processo metamorfico di tutto ciò che esiste.
Carta: legno, terracotta, marmo, e anche ferro, acciaio o cemento, acquisiscono, attraverso le mani di Chillida, il profilo dell’aria, il tocco della leggerezza, la sospensione dell’assenza di gravità. E in questo modo stabiliscono una corrispondenza con gli elementi naturali: acqua, terra, fuoco e aria, tutti presenti nei loro pezzi. Sebbene la predominanza dell’aereo, la tendenza all’innalzamento, sia il tratto distintivo di un modo di intendere la scultura in cui sembra che avesse le ali.
Questa è la domanda decisiva: rispetto per il mondo naturale e dialogo con le sue forme. Chillida è uno dei migliori conoscitori di quell’intima comunicazione tra il corpo e la terra. In questo modo lo spazio si proietta come un modo di stare al mondo: di abitare. E nel vivere l’uomo capovolge il suo desiderio di permanenza. Eppure sì: nelle sue diverse varianti costruttive la scultura di Chillida presenta sempre la qualità dell’elevazione, l’impulso della leggerezza. Ci dà le ali per volare in una natura di pienezza. Un’altra natura, ambiente di vita, forza respiratoria, è plausibilmente possibile, come ci dice l’arte.