Un confronto tra la proposta di J. Ratzinger e quella di E. Bloch

dr
Francesco De Luigi
§1. Introduzione
La riflessione sulla virtù teologale della speranza, con l’annessa questione del tema escatologico nella dottrina cristiana, costituisce senza dubbio un interesse centrale nella teologia di Joseph Ratzinger (1927-2022) e del magistero di Benedetto XVI (2005-2013). Delle tre lettere encicliche pubblicate durante il suo pontificato, la Spe Salvi del 2007 riassume molte tematiche già incontrate nelle grandi opere del teologo tedesco.D’altra parte in quest’ultima, forse più che in altre, si avverte quanto sia stato imponente il confronto con la cultura del 900, rappresentata, nella sua formulazione più radicale, dalla proposta filosofico-politica del marxismo. L’influenza di tale teoria, nei suoi molteplici aspetti, sulla teologia e la vita della Chiesa cattolica, ha rappresentato, soprattutto negli anni del post concilio, compreso il periodo alla guida della Congregazione per la dottrina della fede (1981-2005), forse la massima sfida per il 265º papa. Come è noto, le categorie del pensiero marxista sono entrate direttamente, almeno in parte, in alcune elaborazioni delle cosiddette teologie della liberazione, come nelle teologie politiche europee degli anni 60 e 70, penetrando in tal modo l’istanza escatologica cristiana e rilanciandola non più esclusivamente nella dimensione tradizionale e ultraterrena dei novissimi, ma anche (e talvolta soprattutto) in quella immanente e storica della concreta realizzazione del Regno nella lotta per l’emancipazione e la liberazione.

Delle varie soluzioni marxiste non leniniste che più si interfacciarono direttamente con il Cristianesimo, la filosofia dell’utopia e della speranza di Ernst Bloch (1885-1977) fu certamente l’esempio più significativo e teoreticamente fecondo. Il filosofo, che insegnò a Tubinga negli anni 60’ – con la presenza in quell’università dell’ancora giovane teologo Ratzinger, il quale svolgeva la sua attività accademica nel periodo dell’immediato post concilio – propose nei suoi scritti una visione della speranza fondata sull’ontologia del non-essere-ancora, dove la progressiva conciliazione di uomo e natura avrebbe condotto alla realizzazione finale dell’unum necessarium nel socialismo autentico, e non in quello sclerotizzato e oppressivo del modello sovietico. La sua grande opera della maturità, Il principio speranza, raccoglie le tappe del cammino dell’essere aperto nel suo processo di identificazione, in una grande enciclopedia di sogni, prefigurazioni e realizzazioni della speranza del realmente possibile.

L’interesse estetico, in particolare musicale, nella proposta della speranza trascendente senza trascendenza di Bloch, si pone dunque come un terreno di confronto particolarmente aderente alla teologia di Ratzinger/Benedetto XVI, il quale, come risaputo, fu un grande cultore delle arti e della musica e sostenne continuamente la loro centralità nell’annuncio della speranza cristiana. Nell’incontro con gli artisti del 21 novembre 2009 egli infatti affermò che:

«La bellezza colpisce, ma proprio così richiama l’uomo al suo destino ultimo, lo rimette in marcia, lo riempie di nuova speranza, gli dona il coraggio di vivere fino in fondo il dono unico dell’esistenza. La ricerca della bellezza di cui parlo, evidentemente, non consiste in alcuna fuga nell’irrazionale o nel mero estetismo […] Siate perciò grati dei doni ricevuti e pienamente consapevoli della grande responsabilità di comunicare la bellezza, di far comunicare nella bellezza e attraverso la bellezza! Siate anche voi, attraverso la vostra arte, annunciatori e testimoni di speranza per l’umanità!»1.

Nei suoi interventi e scritti degli anni 60’ e 70’ il futuro pontefice aveva voluto mettere in guardia dal rischio del marxismo romantico di Bloch al fine di una corretta interpretazione della speranza teologale. La determinazione dell’estetico, come luogo di schiudimento della speranza e di definizione del significato dell’arte, soprattutto quella musicale, vuole dunque essere, nella visione teologale di Ratzinger/Benedetto XVI nel confronto con la filosofia blochiana, il nocciolo della presente ricerca.

1.1 Bloch: l’ontologia del non-essere-ancora e la speranza

Per circoscrivere gli elementi centrali dell’estetica utopica di Bloch è necessario introdurre brevemente la categoria chiave della speranza del realmente possibile nella sua radicale fondazione metafisica. La fase matura del filosofo combina un’adesione al nucleo teorico originario del marxismo (in particolare quello del Marx dei Manoscritti economico-filosofici e delle Tesi su Feuerbach) con un recupero delle istanze messianiche giudaiche e cristiane.

Nel marxismo, con il suo metodo della teoria-prassi, coglie la cesura necessaria al superamento dell’atteggiamento statico di gran parte del pensiero occidentale, legato a doppio filo all’anamnesi platonica, con il suo culto della contemplazione dell’essere già dato da sempre. La filosofia della contemplazione non potrà mai configurarsi come pensiero dell’avvenire, in quanto presuppone l’oblio dell’essere originario, posto inevitabilmente in un passato astorico o metastorico. L’adesione convinta al marxismo non impedisce tuttavia al filosofo di recuperare, in funzione della messa in evidenza della speranza, le tradizioni del passato, almeno in quelle figure anticipatrici che costituiscono una vera e propria memoria utopica.

A tal proposito si giustifica, in dissidio col marxismo ortodosso ufficiale, la riabilitazione del pensiero religioso, corretto alla luce delle teorie mistico-cabalistiche e gnostiche ben conosciute e frequentate dall’ebreo Bloch. Egli infatti ritiene che il cammino storico del pensiero rivolto al futuro abbia avuto una rivelazione decisiva nel giudeo-cristianesimo, tanto nell’Antico quanto nel Nuovo Testamento, al punto che lo stesso ateismo, come emancipazione dell’uomo dal dominio teocratico, sarebbe anticipato e contenuto nel messaggio biblico.

L’analisi delle categorie di “Esodo” e “Regno”, in alcune figure profetiche dell’Antico (in particolare Giobbe) e soprattutto nell’opera e nell’insegnamento di Cristo stesso, portano Bloch a reinterpretare in questo senso l’insieme delle Scritture che, in Ateismo nel Cristianesimo, per la religione dell’Esodo e del Regno, è visto come l’annuncio della rivelazione non tanto del Dio trascendente, quanto piuttosto del futuro disvelamento apocalittico dell’homo absconditus rinchiuso nel titolo cristologico di “Figlio dell’uomo”2, considerato da Bloch ben più denso di significato rispetto a “Figlio di Dio”. Secondo questa esegesi blochiana, che rinviene la figura prometeica già all’interno delle Scritture

«qui emerge, come nient’altro mai, la rappresentazione di Dio che nella Bibbia è vergine da ogni antichità del presente; di qui la differenza tra epifania ed apocalittica, tra il circolo chiuso della vera anamnesi della verità, la reminiscenza, che va da Platone ad Hegel e l’escatologia della verità, una linea tutt’ora aperta che rappresenta il non-essere-ancora […] nel marxismo è comunque implicata – come balzo mediato dal regno della necessità a quello della libertà – tutta l’eredità sovversiva e non statica di cui è permeata l’intera Bibbia […].
Perché solo la Bibbia può essere letta anche dalla visuale del manifesto comunista e riesce ad evitare che il sale ateo diventi sciocco ed al tempo stesso a comprendere ciò che è implicito nel marxismo anche alla luce di quella meta che non permette al sale di diventare sciocco»3.

Da questo marxismo rivisitato alla luce della tradizione apocalittica e ricompreso con un recupero delle aristoteliche entelcheia e dynamei on, attraverso quella tradizione interpretativa che, da Alessandro di Afrodisia, passando per Avicenna, conclude in Bruno – che Bloch chiama “sinistra aristotelica”, contrapposta alla “destra aristotelica” dominata da Tommaso d’Aquino – il Nostro introduce la nuova ontologia del non-essere-ancora. Si tratta di una metafisica, materialista e anti-trascendente, sostanzialmente monista, di dualità tra materia e uomo, destinati a trovare piena identificazione nel futuro rivoluzionario. L’essere è dunque non già dato in una serie di nature fisse e immutabili, non esiste una sostanza già definita, ma questa si presenta solo come existere, un fatto-che in cammino verso il che-cosa.

La sostanza è dunque il suo processo di identificazione che avanza grazie all’azione umana sulla natura: l’esserci umano ha dunque, in senso aristotelico, il compito ontologico di portare l’essere aperto dalla potenza all’atto. L’utopia e la speranza altro non sono che l’atteggiamento del pensiero adeguato alla possibilità reale inscritta nella materia, articolata nella dualità di Esserci umano e natura, che nello stato finale riveleranno pienamente l’essentia all’existere, superando definitivamente l’opposizione di soggetto e oggetto.

La nuova ontologia richiede allora anche una nuova logica dotata di categorie adeguate all’essere aperto – quel mondo considerato laboratorio della salvezza possibile – tali che il mondo stesso, nel suo cammino verso l’eschaton, sia afferrato da un pensiero in grado di cogliere il suo ordine processuale, abitato da una continua tendenza-latenza tra ciò che è contenuto nella possibilità reale, come autentica memoria del futuro, e il non esserci ancora.4 Dentro queste categorie, capaci di realizzare l’esperienza ontologica, si pone il principio speranza come costante orientativa del processo di trasformazione dell’essere verso il suo approdo, che permane nonostante tutti gli incidenti e i fallimenti apparenti della storia.

1.2 Bloch: la prefigurazione estetica, la musica e la patria del desiderio

La speranza, senso direzionale della comprensione teorico-pratica, vive nella coscienza utopica, tuttavia con un riferimento ad un presente da raggiungere che possa vivere effettivamente in quegli esperimenti di utopia concreta nel laboratorio-mondo. L’arte stessa allora è per Bloch – in opposizione netta alle estetiche del piacere disinteressato e quieto e alle poetiche classiche e apollinee – una categoria permeata dalla speranza, dove la coscienza utopica elabora delle pre-apparizioni cariche di futuro. L’estetico infatti è, secondo Bloch, il luogo dell’incontro della funzione utopica della coscienza con allegorie e simboli, cioè quei dispositivi che contengono la cifra e gli archetipi del futuro, vale a dire le illuminazioni reali (molteplici nell’allegoria, unici nel simbolo) che anticipano gli elementi del futuro approdo di piena riconciliazione di soggetto e oggetto.

Di questi vari momenti ed evocazioni del futuro, nelle arti o in generale nelle figure prodotte dall’esperienza estetica, quelle predilette da Bloch sono senza dubbio quelle musicali. Quindi l’arte ha il compito, attraverso le allegorie e i simboli, di esprimere l’alterità del desiderio del non ancora compiuto realmente possibile attraverso un’altra alterità, che diviene identità simbolica nell’altro espresso mediante l’altro. Il filosofo di Ludwigshafen enuclea nella storia delle arti alcuni grandi motivi di speranza costituitisi in anticipazione utopica e conservatisi come memoria utopica (il futuro nel passato), seppur alternativi tra di loro ma necessari l’uno all’altro nelle sintesi successive. Si tratta, ad esempio, dei grandi modelli espressi dalla triade Dante-Giotto-Palestrina, che hanno un riferimento teorico diretto alla teologia del realismo metafisico e contemplativo di Tommaso d’Aquino (soprattutto Dante e Palestrina) e quelli di Goethe-Beethoven-Wagner, che invece corrispondono alla filosofia della infinita tensione asintotica della ragione di Kant. Infatti

«in Giotto […] trova configurazione un’utopia del Cristianesimo come già esistente, anzi già come realtà suprema, in accordo con l’enorme ottimismo della proporzionalità tra valore ed essere […] In Giotto è dunque testimoniato in ultima istanza il primato della quiete sul movimento, dello spazio sul tempo, dell’utopia spaziale sull’utopia del tempo […] il giottesco ordine visibile di oggetti visibili, negli ultimi canti della Divina Commedia diviene uno schizzo estremamente simbolico di contenuti indicibili […] la geografia dantesca lascia penetrare nel Paradiso figure e forme concise del mondo reale-obiettivo solo come metafore e in ultima analisi come simboli di una lontanissima utopia spaziale […] che nella sua manifestazione suprema può corrispondere alla sfera del sole, ma che invece si esprime in una sua propria configurazione simbolica di tipo assolutamente non più astronomico. […] Ciò cambia con Goethe. Il cielo nel Faust di Goethe è ricavato da una visione interamente terrena […] la regione suprema è e resta uno spazio che continua a salire, è l’alta montagna come trascendimento trascendente […] Dante compie un viaggio ben guidato alla meta, il Faust di Goethe nel cielo stesso continua a procedere a tentoni verso lo scopo […]. Palestrina cerca un eco di ciò che ascolta s. Cecilia […] i cori angelici. Una simile audio beatifica corrisponde all’ideale di Tommaso e di Dante di una visio beatifica Dei […] Nessuna musica dopo Palestrina ha perciò avuto l’ardire di riprodurre questa musica coelestis come possesso […] In Beethoven l’elemento serafico ha certo l’ultima parola, ma sempre come quell’elemento che ci sfugge o come promessa […] Esiste certo in Beethoven musica del compimento […] nell’anticipato godimento dell’attimo supremo, ma il compimento e la sua terra non si estendono in alcun modo a sfere angeliche»5.

La sottolineatura della ricerca dell’imitazione cosmica è affrontata da Bloch in modo più diretto nella quinta parte de Il principio speranza. La storia di quest’arte infatti, dalle sue origini pitagoriche e platoniche, attraverso lo sviluppo in epoca cristiana e medievale, fino al culmine nei grandi maestri dell’epoca classico-romantica, spostò progressivamente il suo centro nevralgico dall’imitazione delle sfere celesti all’espressione ribollente dell’interiorità umana e della sua destinazione etica e apocalittica. La musica che non figura più una meta geografica, ha il suo passaggio decisivo nell’approdo alla forma-sonata, configurata attraverso il contrasto tematico e manifestata nella sua massima perfezione nella Terza sinfonia Eroica di Beethoven, dove si esalta la tensione prometeica allo stesso modo del Faust e compare quella libertà, che, pur non essendo ancora l’ordine della libertà, si organizza dialetticamente nella lotta fra i temi.

Il primato dello spazio sul tempo in musica – anch’esso un correttivo (come la stessa poesia dantesca nei confronti di quella goethiana) – rimane nel contrappunto architettonico di Palestrina un modello che mostra la quiete finale, controbilanciando il moto tendenzialmente perpetuo dello slancio faustiano. Anche l’altra grande forma musicale precedente la sonata, la fuga – portata alla perfezione suprema da Bach – contiene un movimento non drammatico che tende, solitario, pur nell’intreccio con le altre voci, alla pace finale del canto monodico.

La storia della musica è dunque la più gravida di speranza fra quella di tutte le arti, e lo è anche perché capace di confrontarsi direttamente con la non-utopia della morte, testimoniata direttamente da quanti compositori, anche in epoca ormai non più cristianamente orientata, si sono cimentati con la messa da Requiem, il cui testo

«dà alla musica i suoi grandi archetipi […] la ragione di questa moralità è nel problema, costantemente presente alla musica, dell’utopia di morte e contro-morte […]. Una libertà dall’oppressione, dalla morte e dal destino si esprime nel medium ancora-da-nessuna-parte del suono, che non si è esteriorizzato in visibilità e non può ancora farlo. Proprio per questo tutta la musica dell’annichilamento rinvia a un nucleo che, non essendo ancora fiorito, nemmeno può perire; essa rinvia a un non omnis confundar»6.

1.3 Ratzinger: speranza escatologica e utopia

Come già detto sopra, si può affermare che una parte considerevole del lavoro teologico e magisteriale di Joseph Ratzinger, compresi gli anni di pontificato, si sia prodotta dal confronto con le proposte filosofiche di speranza alternativa a quella cristiana, comprese le penetrazioni di essa nella teologia moderna. Sulla filosofia della speranza di Bloch esistono diverse sue considerazioni circostanziate che rendono bene la posta in gioco.
Nel panorama degli anni del post concilio il teologo osservava che:

«Un po’ più tardi il mio lavoro mi portò ad occuparmi del pensiero di Ernst Bloch, per il quale il “principio speranza” è la figura speculativa centrale. Secondo Bloch la speranza è l’ontologia del non ancora esistente. Una giusta filosofia non deve mirare a studiare ciò che è (sarebbe stato conservatorismo o reazione), ma a preparare ciò che ancora non è. Giacché ciò che è, è degno di perire; il mondo veramente degno di essere vissuto dev’essere ancora costruito. Il compito dell’uomo creativo è dunque quello di creare il mondo giusto che ancora non esiste; per questo elevato compito però la filosofia deve svolgere una funzione decisiva: essa è il laboratorio della speranza, l’anticipazione del mondo di domani nel pensiero. […] Per Bloch (e per alcuni teologi che lo seguono) l’ottimismo è la forma e l’espressione della fede nella storia, ed è perciò doveroso per una persona che vuole servire alla liberazione, all’evocazione rivoluzionaria del mondo nuovo e dell’uomo nuovo. La speranza è perciò la virtù di un’ontologia di lotta, la forza dinamica della marcia verso l’utopia. Leggendo Bloch io pensavo che 1′” ottimismo” è la virtù teologica di un Dio nuovo e di una nuova religione, la virtù della storia divinizzata, di una “storia” di Dio, dunque del grande Dio delle ideologie moderne e della loro promessa»7.

L’ontologia del non-essere-ancora è qui interpretata come sostrato delle ideologie moderne della rivoluzione e della divinizzazione della storia, qualcosa dunque di profondamente antitetico al presupposto cristiano della trascendenza e della kenosis di Dio da e nel mondo. La metafisica immanente di Bloch dunque, nutrita di incandescenti simbolismi giudaico-cristiani e dalla esegesi atea degli stessi dati scritturistici, ponendosi in continuità con le correnti millenaristiche e chiliastiche del passato, si colloca come la filosofia che fonda in maniera più radicale il grande equivoco della modernità, spesso denunciato dal pensatore bavarese, considerato un pericolo mortale per la stessa speranza cristiana: il ribaltamento dell’ordine tra ortodossia e ortoprassi.

In Escatologia, morte e vita eterna, nella parte iniziale dove si prendono in esame le escatologie moderne e le teologie escatologicamente orientate,8 ugualmente si notano alcuni importanti rimandi a Bloch, soprattutto nella confutazione delle interpretazioni in chiave teologico-politica del significato di Regno di Dio. Di fronte a queste nuove proposte, pur senza negarne i tesori presenti, il futuro pontefice si mostrò assai critico, dato il forte rischio di immanenza contenuto nell’adozione delle categorie marxiste, seppur in parte reinterpretate da Bloch. Ratzinger afferma che

«l’uomo con il suo sì o no è, nel disegno di Dio, soggetto […] non come costruttore del regno di Dio, ma è soggetto a motivo del suo rapporto filiale con il Tu di Dio. L’essere Dio, l’”emanciparsi” per il regno di Dio, che elimina ogni estraniazione e ogni schiavitù, non è qualcosa che si possa “produrre”, ma è un dono, analogamente a come un vero amore, per sua natura non può che essere un dono. Parimenti il regno di Dio è “speranza”. In un laboratorio (cui Ernst Bloch paragona il mondo) non vi è nulla da sperare. Speranza esiste solamente là dove esiste amore, e l’uomo può sperare, perché nel Cristo crocifisso l’amore si è manifestato oltre la morte»9.

A questo punto ci si può chiedere, data la valutazione negativa della speranza blochiana fondata sul ‘non-essere-ancora’, se il termine utopia possa avere cittadinanza dentro una visione cristiana di escatologia in tre tempi, la cui destinazione finale è sì, come riteneva Bloch, il die septimus nos ipsi erimus, ma non nella forma prometeica che il filosofo intravedeva nella sua ermeneutica anti-teologica della Bibbia, ma piuttosto, secondo quanto afferma Ratzinger ripetutamente, nel renderci figli nel Figlio. Infatti, riprendendo la teoria di Cullmann sul superamento della visione giudaica del tempo, alla quale Bloch, pur nel suo monismo immanentista (quello dell’attesa e quello della parusia) resta fedele, il teologo sostiene che l’escatologia cristiana viva di una scansione nella quale, a partire dall’avvento nella storia di Cristo, il punto prospettico sia da rintracciare nel passato e non nel futuro irrealizzato.

Se di utopia si può parlare per Ratzinger ciò è allora possibile a partire unicamente da una nuova comprensione del termine dentro questo assetto della storia della salvezza, con il centro e il compimento già avvenuti e già presenti, e non da una progressione verso l’ipotetica “patria dell’identità” che annullerà ogni contraddizione.

L’ancora arcivescovo di Monaco e Frisinga aveva affrontato esplicitamente questo tema di escatologia e utopia in un articolo del 1977/1978.10 In esso si precisa subito che utopia, nel senso offerto da Tommaso Moro,

«divenne una forma di filosofia politica, la quale può essere più esattamente descritta come Platonismo con elementi cristiani. Pertanto si può asserire che assume ancora il compito che Platone stesso si era dato anzitutto, in accordo con il suo progetto di stato ideale […] utopia in questo senso ristretto non si lega a una filosofia della storia»11.

La dimensione politica quindi congiunge e disgiunge continuamente il fondamento trascendente (o meglio teocentrico e cristocentrico) col temporale.

In questo modo si possono distinguere nettamente i concetti di utopia e di escatologia. Il Regno di Dio è ovunque ci sia l’accoglienza dell’amore di Cristo, mentre il suo compimento definitivo si colloca fuori dalla storia. L’ utopia cristiana, secondo Ratzinger, si è data storicamente nell’esperienza del monachesimo, attraverso il suo sforzo di vivere una vita secondo la radicalità evangelica e di trasmetterla al mondo, proprio nel periodo dove la civiltà romano-antica, con tutti i suoi punti di riferimento, andava disintegrandosi. L’apparente fuga mundi dell’esperienza benedettina fu in realtà una restauratio mundi, grazie al primato che diede alla contemplazione. L’evoluzione del monachesimo negli ordini mendicanti fornì successivamente linfa vitale direttamente dentro le città e le attività umane, richiamando costantemente all’ordine trascendente dei valori. Si comprende bene allora che la proposta blochiana del non-essere-ancora e della teoria-prassi, la quale non riconosce un ubi consistam già ontologicamente dato, che precede e fonda qualsiasi sforzo umano, ma solo una direzione invariante del movimento processuale, è totalmente inaccettabile dentro le coordinate cristiane della speranza.

1.4 Ratzinger: la musica e l’esercizio della speranza

In Spe Salvi Benedetto XVI riprende questi concetti: non c’è speranza se non c’è salvezza del singolo oltre che dell’umanità, non c’è speranza se non nell’amore, non c’è speranza se non c’è un amore più grande della morte. La speranza teologale, riconoscendo il giusto ordine delle cose create e della storia, si distende verso un amore che ci è già dato ma attende un compimento. Essa, per divenire virtù, deve essere appresa e corroborata in tempi, spazi ed esperienze ben precise, che vengono indicate come Luoghi di apprendimento e di esercizio della speranza.12

Tra questi il pontefice non cita direttamente l’arte, ma essa, dato l’insieme della sua visione, può essere ricompresa nell’ambito della preghiera. Questa, come diceva Agostino, ha lo scopo principale di allargare il cuore, esercitare e purificare il desiderio, affinché si orienti verso il vero volto della speranza e delle promesse. Se tale esperienza è da una parte quanto di più personale ed intimo, tuttavia non nasce né può sopravvivere fuori dalla vita della Chiesa, soprattutto nella sua dimensione comunitaria e liturgica. Ecco allora che l’arte e la musica diventano veicoli indispensabili per il primo e decisivo moto di speranza e quindi possono, in un certo senso, essere considerati essi stessi autentici luoghi del desiderio cristianamente vissuto. Evidente è a tal riguardo la predilezione per la musica,

«chiamata, in modo singolare, ad infondere speranza nell’animo umano, così segnato e talvolta ferito dalla condizione terrena. Vi è una misteriosa e profonda parentela tra musica e speranza, tra canto e vita eterna: non per nulla la tradizione cristiana raffigura gli spiriti beati nell’atto di cantare in coro, rapiti ed estasiati dalla bellezza di Dio. Ma l’autentica arte, come la preghiera, non ci estranea dalla realtà di ogni giorno, bensì ad essa ci rimanda per “irrigarla” e farla germogliare, perché rechi frutti di bene e di pace»13.

Nella raccolta di scritti sulla musica Lodate Dio con arte il teologo affronta alcune questioni sull’origine e i principi della musica cristiana. La preghiera e la liturgia cristiana si sono definite da una parte con un rapporto di continuità e discontinuità col culto ebraico, dall’altra di incontro scontro col mondo filosofico e religioso dell’ellenismo. Dentro questa complessa dialettica il centro focale sta nel problema della spiritualizzazione e dell’allegoria, che si pone esattamente sullo stesso terreno del problema iconologico nelle arti visive. Nel movimento della spiritualizzazione i Padri della Chiesa colsero l’esigenza, già messa in atto dall’incontro tra il giudaismo e il platonismo, di purificazione del concetto di Dio e di recisione del legame alle potenze naturali contenuto nei culti politeisti; allora

«la “spiritualizzazione” cristiana non è semplicemente opposizione al mondo dei sensi, come nella mistica del platonismo, bensì avvicinamento al Signore, che “è lo Spirito” (2Cor 3, 17; cfr. 1Cor 15, 45). Dunque in questa spiritualizzazione è trascinato anche il corpo: il Signore è “lo Spirito”, proprio come colui il cui corpo non resta nella putrefazione (Sal 15, 9 s. LXX = At 2, 26) ma è stato afferrato dalla forza vitale dello Spirito».14

La via dello spirito, per non essere negazione della carne ma sua elevazione, deve combinarsi con la “glorificazione”, altro concetto caro al pontefice. In esso convergono la via che porta all’incontro con l’amore di Dio e la dipendenza cosmica di desiderio, lamento e ringraziamento al creatore.

La glorificazione nella liturgia manifesta la portata totale dell’evento pasquale sulla creazione, abilitando, nel caso della musica, anche all’utilizzo degli strumenti e lo sviluppo stesso, in età moderna, della musica assoluta. Si comprende allora il significato dell’invito del Salmo 47, Psallite sapienter. La sapienza necessaria al canto sacro è un’espressione secondo il vero Logos, una risposta dunque, attraverso la forma dell’arte musicale, di glorificazione nel rapporto tra Dio e l’uomo. La lode cosmica, che dunque assorbe la totalità dell’esperienza umana conformandola al modello cristiforme, non può considerarsi una creazione assoluta dell’uomo, perché l’arte, come tutta la cultura, non semplicemente accoglie la presenza di Cristo ma è essa stessa creata dall’esperienza teandrica. Ratzinger riconosce che, nei primi secoli, la Chiesa ha dovuto lottare contro il modello musicale di un certo ellenismo, che si determinava o in senso gnostico o come via estatica di liberazione degli impulsi inconsci e sensuali, tipico di alcuni culti misterici. La lode cosmica incarnata dalla musica sacra e da tutta la musica cristianamente ispirata è invece condivisione, attraverso l’espressione del ritmo e del suono, del dono della fede nel Cristo risorto, presente già nella sua Chiesa e che continuamente si dona a chi lo cerca, nella speranza teologale attraverso il grido di preghiera.

Che la nascita della musica cristiana abbia dovuto far fronte alla tentazione gnostica ci consente di tracciare un nuovo confronto con la coscienza anticipatrice utopica di Bloch. L’ontologia del non-essere-ancora contiene in realtà una chiara radice neo-gnostica. Con gnosticismo infatti si intende un pensiero che afferma la necessità di distacco da questo mondo, per accedere a un mondo più perfetto o più compiuto. La gnosi antica presupponeva l’esistenza di un dualismo ontologico, quella moderna invece, non riconoscendo un livello trascendente, sposta nella storia e nella materia stessa il superamento del tempo presente e il suo compimento definitivo. Si conclude che la gnosi moderna, tanto più nel caso di una filosofia a base marxista come quella blochiana, possiede inevitabilmente uno sbocco politico e non mistico-ascetico.15 Considerando quanto detto sull’utopia in senso platonico-cristiano, si comprende che Ratzinger sostenga come carattere principale della musica cristiana quanto Bloch indicava essere ben presente nella tradizione che culmina in Palestrina.

La speranza che deve infondere la musica non è anticipazione ma espressione di una presenza piena, che certo nell’attesa anela al compimento ultimo, ma nel “non ancora”, nella glorificazione, che è necessariamente contemplazione e ringraziamento, già manifesta quella fede che è «fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede».16 L’utopia cristiana del monachesimo, con la centralità assoluta dell’opus Dei nella lode musicante della preghiera, fornisce la dimostrazione di quanto arte e liturgia configurino la vita cristiana secondo una disposizione escatologica.

Quanto detto vale anzitutto per la musica sacra, ma riguarda anche il resto della grande tradizione espressiva dell’occidente. Lo stesso Beethoven, considerato l’essenza stessa della missione utopica della musica per Bloch, secondo Ratzinger – in particolare nella Nona sinfonia – rivela che

«La solitudine silenziosa, però, aveva insegnato a Beethoven un modo nuovo di ascolto che si spingeva ben oltre la semplice capacità di sperimentare nell’immaginazione il suono delle note che si leggono o si scrivono. […] la vera gioia è radicata in quella libertà che, in ultimo, solo Dio può donare. Egli – talvolta proprio in tempi di vuoto e di isolamento interiori – vuole renderci attenti alla sua muta presenza non solo “sopra la volta stellata”, ma anche nel più intimo di noi stessi. È lì che arde la scintilla dell’amore divino, il quale può liberarci a ciò che siamo veramente»17.

§2. Conclusione

Il breve percorso sopra esposto ha messo in evidenza due itinerari possibili per la valorizzazione della speranza all’interno dell’esperienza estetica, collocati dentro una cornice della storia e del tempo pensati secondo un tracciato ebraico-cristiano, o in chiave materialista o trascendente. Le definizioni del ruolo dell’arte ricavate appaiono componenti imprescindibili e ineludibili in entrambe le alternative, al punto da costituire dunque una potente provocazione anche dentro l’attuale fase storico-culturale di “estetizzazione del mondo”.18

Questo fenomeno richiede infatti la consapevolezza del peso specifico della questione, data la capacità capillare di condizionare e modellare la Weltanschauung post-moderna da parte dei dispositivi estetici, artistici e non. Se ad oggi il marxismo non è più direttamente un’opzione capace di sfidare la speranza teologale, i suoi effetti indiretti sono ancora pienamente operativi nei grandi crocevia culturali della società contemporanea occidentale dell’opulenza e dei suoi modelli di speranza surrogata e immanente.


NOTE

1 Benedetto XVI, Incontro con gli artisti, 21 novembre 2009.
E. Bloch, Ateismo nel Cristianesimo. Per la religione dell’Esodo e del Regno, tr. it di F. Cappellotti, Feltrinelli, Milano 1971, 184-203.
3 Ibid., 90.
4 Bloch elabora il suo sistema delle categorie rispondente alla sua ontologia dell’essere aperto nella sua ultima grande opera. Cfr. e. bloch, Experimentum mundi. La domanda centrale. Le categorie del portar fuori. La prassi, trad. it di G. Cunico, Queriniana, Brescia 1980.
5 E. Bloch , Il principio speranza, trad. it. di E. De Angelis e T. Cavallo, Garzanti, Milano 2005, pp. 945, 948, 949, 952, 962, 963.
6 Ibid., pp. 1272, 1274.
7 J. Ratzinger, Guardare a Cristo, trad. it. di G. Sommavilla, Jaca Book, Milano 1989, pp. 37-38.
8 In particolare questa istanza si era materializzata in quegli anni soprattutto nella Teologia della speranza di Jürgen Moltmann e nella Teologia politica di Johann Baptist Metz.
9 J. Ratzinger / Benedetto XVI, Escatologia. Morte e vita eterna, trad. it di B. Deslex Muff e S. Ubbiali, Cittadella, Assisi 2020, p. 75.
10 J. Ratzinger, «Escatology and utopia» in Communio, international catholic review, 5-03 (1978), Washington 1978. A questa edizione americana si fa riferimento nel presente scritto, con traduzione italiana dell’autore dell’articolo.
11 Ibid., pp. 211-212.
12 Benedetto XVI, Lett. Enc.  Spe Salvi, 30/11/2007, 24-28, 32-34.
13 J. Ratzinger / Benedetto XVI , Lodate Dio con arte. Sul canto e la musica, Marcianum Press, Venezia 2010, p. 168.
14 Ibid., pp. 30-31.
15 M. Cangiotti, «Ragione e apocalisse in Ernst Bloch» in Hermeneutica, Annuario di filosofia e teologia, 3/1983, Urbino 1983, pp 92-95.
16 Eb 11, 1.
17 J. Ratzinger / Benedetto XVI , Lodate Dio con arte. Sul canto e la musica, cit., p. 212.
18  G. Lipovetsky – J. Serroy, L’estetizzazione del mondo: vivere nell’era del capitalismo artistico, tr..it di a. inzerillo, Sellerio, Palermo 2007.