EFEmanuela Fogliadini
Studiosa iconografia bizantina e orienti cristiani

 

Living beauty means making a journey, physical or metaphorical, to discover the architecture andiconography of the monastery of the church Serbian Orthodox by Visoki Decani in Kosovo, where theology, liturgy, iconography and history are intertwined in a story that reveals the infinite. The beauty of monastery was commissioned by King Stefan Uroš Dečanski (1285-1333), thanks to the master builder Vita and the igumen Danilo II for the iconographic project. The work is a great narrative that begins with the Cycle of the Twelve Great Feasts, continues with the cycle of the patriarchs, the prophets, the whole life of Christ, of the Virgin, of the Saints and of the councils, where everything has a meaning in relation to the liturgical celebration.

Nel cuore della Serbia Medievale, nella regione di Kosovo e Metochia, un monastero celebra magistralmente la Bellezza. Migliaia di affreschi, animati da personaggi reali e trasfigurati dalla luce divina, danzano attorno a chi varca la soglia della chiesa del monastero di Visoki Dečani. La storia della salvezza dalla Genesi alla Parusia è raccontata attraverso cicli di scene intense e armoniose, che danno ampio spazio alla vita della Vergine e di Cristo. Teologia e liturgia, iconografia e storia si intrecciano in un racconto senza pari che introduce all’eternità.

Culmine degli straordinari monasteri che furono costruiti e affrescati in Serbia tra XII e XIV secolo1, ma anche erede dei tesori artistici dell’impero bizantino, la chiesa dedicata all’Ascensione di Cristo fu un’innovazione a livello architettonico e una sfida per il meraviglioso programma iconografico, composto da circa 1000 affreschi (con scene incorniciate in un preciso spazio), sedici cicli nel naos, la raffigurazione dell’intero menologion (il calendario liturgico dei santi), i sette concili ecumenici e gli alberi genealogici della dinastia reale nel nartece.

La chiesa, con il complesso monastico, fu l’opera del santo re Stefan Uroš III Dečanski (1285-1331): questi, dopo essere stato accecato dal padre nel 1314, fu esiliato per otto anni a Costantinopoli2, periodo nel quale la chiesa del monastero di Chora3 fu ristrutturata ed ampliata dal logoteta (vice imperatore) Teodoro Metochita (1260-1332). Ospite della corte dell’imperatore Andronico II (1259-1332), è praticamente certo che il re Stefan visitò la chiesa di Chora e che la moglie e i figli gli abbiano descritto l’eccezionale bellezza del suo ricchissimo programma iconografico. Il santo re conosceva la prima fondazione dinastica dei Nemanjić, la chiesa del monastero di Studenica4 (dove si rese per la traslazione delle reliquie di San Simeone), che divenne il modello per le chiese mausoleo della famiglia, e anche l’ultima opera del padre, il re Stefano II Uroš Milutin (1282-1321), ossia la chiesa del monastero di Gračanica5 (1321), un capolavoro dal punto di vista architettonico e artistico così ben riuscito da competere con le meraviglie che avevano reso unica la fama delle basiliche costantinopolitane.

La sua raffigurazione principale (fig. 1) è accanto all’iconostasi, mentre offre a Cristo benedicente il modello della chiesa, di fronte al kivot dove sono custodite le sue reliquie: qui ogni giovedì sera i monaci recitano, da secoli, in suo onore, il suggestivo Canone di supplica per il Santo Re Stefano Dečanski. Le fonti raccontano che questo ritratto fu uno degli ultimi a essere dipinto, quando il corpo del fondatore fu trasportato di fronte all’altare, a seguito di una serie di miracoli che ne confermarono la santità. Non solo igumeni ed iconografi scelsero di collocarlo accanto al luogo più sacro di una chiesa ortodossa, ossia il bema, ma gli permisero – dipingendolo di fronte – di rendere perennemente grazie a san Nicola, al quale era particolarmente devoto: fu san Nicola, infatti, che gli apparve promettendogli la guarigione quando fu fatto accecare; il santo gli comunicò che sarebbe potuto tornare in Serbia; e gli apparve infine per annunciargli la prossima e tragica morte per ordine del figlio.

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Figura 1

E anche il rimando con la splendida Deesis è commovente: Cristo Pantocratore, con la Vergine e Giovanni Battista ai lati, nell’atto di intercedere per l’umanità, sono raffigurati di dimensioni enormi, prossimi al fedele, pronti ad accogliere le pregherie e le speranze di coloro che entrano in chiesa, al pari di quanto fecero con il santo re. «Accetta, mio Signore Pantocratore, la supplica del tuo servitore»6 sono le parole scritte accanto al ritratto del fondatore, invocazione che incontra la promessa di salvezza che Cristo dichiara con le parole che si leggono sul libro aperto che regge tra le mani: «Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio» (Gv. 14,13) e «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo» (Mt. 25,34). A differenza di tanti altri capolavori antichi e medievali dei quali ignoriamo i nomi di coloro che costruirono e decorarono le chiese, per la chiesa di Visoki Dečani è noto che il capo mastro fu Vita e che fu in particolare l’igumeno Danilo II (1270 circa-1337) a concepire il progetto decorativo. Del primo si discute sull’identificazione: l’ipotesi più verosimile è che appartenesse al Terz’Ordine francescano, afferenza che gli permise di anteporre frater al proprio nome7. Danilo II fu tra le personalità intellettuali più eminenti del Medioevo serbo.

Tra le numerose opere che redasse, Le vite dei re e degli arcivescovi serbi, una biografia/agiografia dinastica, è da secoli apprezzata per la ricchezza culturale e religiosa che condensa. Il suo biografo lo descrive come un monaco asceta che consacrava ampio spazio alla preghiera, ma anche come un fine diplomatico al quale il re Milutin affidò complicate missioni. La sua carriera ecclesiastica fu considerevole: fu igumeno al monastero di Hilandar sul monte Athos (1305-1311), vescovo di Banjska (1311-1314), poi vescovo di Hum (1317-1324) e infine secondo arcivescovo della Chiesa serba (1324-1337). Di pari passo si registrò la sua attività di co-fondatore di chiese: Hilandar, Banjska, Dečani, e le chiese della Theotokos, di san Nicola al patriarco di Peć8.

Vita costruì il catholicon (chiesa di un monastero) di Visoki Dečani in 8 anni e lo concluse nel 6843 (1334/35) come lui stesso scolpì nell’architrave sopra l’entrata sud della chiesa sotto la scena del Battesimo di Cristo9 (fig. 2).

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Figura 2

Si ispirò a un’architettura di stile romanico (fig. 3): la divisione dello spazio interno (il santuario è tripartito, secondo lo stile della scuola della Rascia), ricorda quella della Basilica di San Trifone a Cattaro (nell’attuale Montenegro), terra dalla quale probabilmente il misterioso personaggio proveniva10.

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Figura 3

Nell’architettura esterna vi è una somiglianza con la Basilica di Santa Maria di Portonovo a Ancona, un segno dei rapporti proficui e vivaci tra le due sponde dell’Adriatico11. Il modello più prossimo è certamente la chiesa di Santo Stefano a Banjska, fondazione voluta dal re Milutin – padre del santo re Stefan – per la propria sepoltura, la cui costruzione fu affidata proprio a Vita12. L’attuale architettura, risultato di svariati rimaneggiamenti dovuti alle ripetute distruzioni da parte degli Ottomani, conserva facciate di marmo multicolore con delle sculture, come nella chiesa di Visoki Dečani; i volumi interni con il bema tripartito e il confronto delle piante confermano un’unica mente e la medesima mano.

Alla realizzazione dei programmi iconografici (fig. 4) collaborarono diverse equipe di iconografi, che dal 1337/38, iniziando dai registri superiori con il ciclo delle Dodici Grandi Feste, fino al 6856 (1347/48) come riporta l’iscrizione dei re Stefan Uroš IV Dušan (1308-1355) – nel frattempo succeduto al padre – e di suo figlio. La struttura architettonica comportava dei problemi a causa della sua altezza e del relativo “surplus” di spazio lungo l’asse verticale.

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Figura 4

L’altezza del monastero (Visoki significa “il più alto”, la cupola raggiunge i 29 metri), la lunghezza (36 metri) e la larghezza (24 metri), la presenza di svariate cappelle e corridoi, lo spazioso nartece, richiesero una scelta curata dei soggetti e un’attenzione alle rispettive posizioni al fine di permettere alle immagini sacre di interagire con il rito liturgico e, più in generale, di accompagnare la preghiera dei monaci e della comunità cristiana. La scelta dell’iconografia tenne quindi in considerazione l’architettura dalla quale non si fece però limitare: l’idea che guidò l’armonioso connubio è che l’intera chiesa è un corpo unico. Laddove alcune colonne sembrano delimitare o dividere, i vari programmi iconografici li travalicano in modo ordinato, il racconto salvifico per immagini si dipana lungo i muri, obbliga il fedele sovente a spostarsi per osservare frontalmente i dipinti, e quindi entrare in dialogo con le persone raffigurate, secondo i principi della teologia dell’immagine sacra decretata al settimo concilio ecumenico (787)13. Gli affreschi celebrano l’intera vita di Cristo, della Vergine, scene degli Atti degli Apostoli, i patriarchi, i profeti, i santi, i concili. Alla base dell’eccezionale omogeneità dell’iconografia vi è un piano dettagliato, concepito in anticipo, che ha subito minime deviazioni in corso d’opera14. Il risultato finale è da togliere il fiato: i tanti personaggi dipinti sulle pareti sembrano muoversi in una leggiadra danza armoniosa, sembrano essere così vicini ai fedeli anche quando sono collocati molto in alto.

Il cristianesimo bizantino-ortodosso, che conferisce un ruolo teologico, mistico e dossologico alle immagini sacre e a fortiori ai programmi monumentali, colloca i vari episodi della storia salvifica in punti precisi della chiesa, in relazione alla celebrazione liturgica. Attraversato il nartece, il fedele entra nel naos e si trova sotto la protezione di Cristo Pantocratore, raffigurato nella cupola (fig. 5). Nella cosmologia medioevale, la cupola di una chiesa simbolizza il Paradiso, la casa e il trono di Dio, la Gerusalemme celeste; sovente qui sono scritti i versetti del salmo 101 [102], 19-21 («Il Signore guarda dall’alto del suo santuario, dal cielo il Signore osserva la terra, per ascoltare i gemiti dei prigionieri, per liberare i condannati a morte, affinché proclamino il nome del Signore in Sion, la sua lode in Gerusalemme») e le parole rimanenti nella cupola suggeriscono tale iscrizione. Attorno al trono di Dio, gli angeli svolgono il loro servizio, simile alla solenne processione che si svolge nel “Grande Ingresso”, quando i Santi Doni sono portati dalla prothesis (tavolo di preparazione) attraverso il naos e posti sull’altare nel bema.

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Figura 5

La disposizione degli affreschi è intrinsecamente legata ai diversi riti celebrati nei rispettivi spazi: le scene liturgiche sono collocate nelle absidi e nel bema; nelle cappelle di san Nicola e san Demetrio troviamo i cicli dei rispettivi patroni; le grandi Feste sono dipinte nelle aree sotto la cupola non oltre la metà del naos; nei registri inferiori e lungo i pilastri vi sono gli episodi della Passione, i miracoli e le parabole.

Il sapiente rimando di immagini e teologia ha il suo vertice nel bema: qui la scelta dei soggetti è stata curata con un’attenzione esplicita al rito della Divina Liturgia. La Comunione degli Apostoli è dipinta nella conca dell’abside: Cristo, che indossa un sakkos (abito liturgico di epoca bizantina, generalmente riservato a patriarchi e vescovi) bianco con croci blu all’interno di cerchi, è raffigurato due volte mentre distribuisce l’Eucarestia sotto forma di pane e vino (fig. 6).

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Figura 6

Dona a Pietro un pezzo di pane e a Giovanni porge il calice. Alcuni dettagli iconografici testimoniano dell’evoluzione dell’arte tardo bizantina: Cristo è vestito come un Gran Prete; gli apostoli sono divisi in due gruppi guidati da Pietro e Giovanni; sulla tavola è posto un candelabro e i cherubini vegliano. La scelta di raffigurare la Comunione degli Apostoli nell’abside permette di dare spazio alla straordinaria Madre di Dio orante tra gli arcangeli Michele e Gabriele (fig. 7), κρατήρας di Cristo Eucarestia15 e della Chiesa in preghiera, che si fonda sull’Eucarestia e che nutre la comunione con la Chiesa celeste ogni volta che i suoi sacerdoti la celebrano sulla terra, circondati dai santi vescovi, guidati da Giovanni Crisostomo e Basilio il Grande con i rotoli di pergamena srotolati fra le mani, sui quali sono scritti gli inizi delle preghiere e delle lodi tratte che confluirono nella Liturgia.

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Figura 7

Dai racconti di creazione animati da un Dio cristomorfo, alle splendide raffigurazioni delle dodici Feste – le più riuscite dell’intero ciclo, con uno sfondo blu a lapislazzuli, caratteristico degli affreschi in questa chiesa – passando per l’ampio ciclo dei miracoli, il racconto dettagliato della Passione e della Resurrezione, che colma nella raffigurazioni di episodi narrati negli Atti degli Apostoli – il martirio di Stefano, il cammino di conversione di Paolo, il battesimo dell’etiope eunuco – fino alla resa in immagini dei diversi momenti del transito/Dormizione della Vergine, con la conclusione nella spettacolare parete dedicata alla Parusia, i cicli sono un viaggio eccezionale in una Bellezza viva e commovente. Si tratta di una bellezza esteticamente ieratica e grave perché esprime la lunga storia salvifica e racconta in immagini la teologia: è una Bellezza che brilla di sacralità.

Il suo apice, infatti, vive nella celebrazione degli uffici monastici e in particolare nella Divina Liturgia. Dalla sua fondazione, anche nei secoli più complessi della dominazione ottomana, nel monastero di Visoki Dečani hanno sempre risuonato i canti di supplica e di lode dei monaci. La vita liturgica è scandita, in tutte le stagioni, dalla luce del sole: la Divina Liturgia è celebrata all’alba, l’ultima preghiera si canta mentre le tenebre avvolgono le montagne e la foresta circostanti, è la luce che per secoli ha illuminato diversi affreschi secondo lo scorrere delle stagioni, la cui posizione fu studiata per valorizzare il legame con il calendario liturgico. Durante le funzioni solenni, il naos brilla d’oro: monaci dai volti attraversati da una luce celeste, fanno ruotare con l’aiuto di lunghi bastoni la Пољиљеје (Polileije) – realizzata con le spade dei tanti che perirono nella battaglia di Kosovo Polje nel 1389 contro le truppe turche del sultano Murad I; è un immenso candelabro, sovente vestito a festa con candele accese, lavorate dal monastero e prodotte utilizzando esclusivamente pura cera d’api, secondo la tradizione delle chiese ortodosse (fig. 8).
Nel catholicon di Visoki Dečani, la Bellezza della storia salvifica è viva, scaldata dai tanti personaggi che “abitano” nella chiesa, onorata costantemente dalle preghiere cantate dai monaci, è una Bellezza eterna grazie a un luogo unico, meraviglioso, commovente, una soglia del Paradiso, da conoscere, preservare, custodire.

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Figura 8

Si ringraziano i monaci di Visoki Dečani per aver fornito le immagini e la concessione di riprodurle


1. Branislav Todić, Serbian Painting. The Age of King Milutin, Draganic, Belgrado 1999.
2. Cf. «Saint Roi Stefan de Dečani in Saint Justin Popović», in Vies des saints serbes, L’âge d’homme, Losanna 2013, p. 378-388.
3. Emanuela Fogliadini, L’iconografia di Chora. Una teologia in immagini, frutto del genio di Teodoro Metochita e della Tradizione bizantina, PhD thesis, Sapienza, Roma 2016; Paul Underwood (ed.), Studies in the Art of the Kariye Djami and its intellectual background, vol. IV, Princeton University Press, Princeton NJ 1975.
4. The Brotherhood of Sopoćani Monastery (a cura di), Monastery of Sopoćani. History, architecture, art, restoration, Duga, Kraljevo 2017; Danica Popović – Dragan Vojvodić (a cura di), Byzantine Heritage and Serbian Art I-III, Serbian Academy of Sciences and Arts, Institute for Byzantine Studies, Belgrade 2016.
5. Gojko Subotić, «The art of Gračanica», in Christian Heritage of Kosovo and Metohija. The Historical and Spiritual Heartland of the Serbian People, Los Angeles, Sebastian Press 2015; Sisterhood of Gračanica (a cura di), Gračanica Monastery, Gračanica 2015
6. M. Kunzler, Insbesondere für unsere allheilige Herrin… Der αξιόν krav-Hymnus als Zugang zum Verständnis des προσφέρειν υ περ im Heiligengedächtnis der byzantinischen Chrysostomos-Anaphora, in A. Heinz, H. Rennings (ed.), Gratias agamus. Studien zum eucharistischen Hochgebet, Freiburg-Basel-Wien, Herder, 1992, p. 227-240 (La Liturgia della Chiesa, p. 312).
7. Branislav Todić – Milka Čanak-Medić, The Dečani Monastery, Dobra knjiga, Belgrado 2013, p. 272.
8. Francis J. Thomson, «Archbishop Daniel II of Serbia, hierarch, hagiographer, saint. With some comments on the Vitae regum et archiepiscoporum Serbiae and the cults of mediaeval Serbian saints», Analecta Bollandiana vol. 111 (1993) p. 103-134.
9. Branislav Todić – Milka Čanak-Medić, The Dečani Monastery, Dobra knjiga, Belgrado 2013, p. 14-15.
10. Cf. Durde Boskovic, «Le maitre d’œuvre de Dečani, а travaillé aussi dans sa ville natale, Vita de Kotor», Bulletin de l’Académie serbe des sciences et des arts, Tome XXVIII, Section des sciences sociales, Nouvelle série, No 8 (1961) 15, 16.
11. Cf. Rosa D’Amico (a cura di), Tra le Due Sponde dell’Adriatico. La Pittura nella Serbia del XIII Secolo e l’Italia, Edizioni Edisai, Ferrara 1999.
12. Branislav Todić – Milka Čanak-Medić, The Dečani Monastery, op. cit., p. 252-265.
13. Cf. Emanuela Fogliadini, L’invenzione dell’immagine sacra. Il secondo Concilio di Nicea e la legittimazione ecclesiale dell’immagine sacra, Milano, Jaca Book 2015.
14. Svetozar Radojcic, Staro srpsko slikarstvo, Akademska knjiga, Belgrado 20102, p. 132.
15. Cfr. Maria Evangelatou, «Krater of Nectar and Altar of the Bread of Life. The Theotokos as Provider of the Eucharist in Byzantine Culture», in Thomas Arentzen and Mary B. Cunningham (a cura di), The Reception of the Virgin in Byzantium. Marian Narratives in Texts and Images, Cambridge University Press, Cambridge 2019, p. 77-119.