Cenerentola ha in sé tutte le possibilità, è uomo, donna, pianta, animale, è sé stessa e allo stesso tempo oltre sé stessa. È acqua, terra, fuoco, aria, è stella in un universo di stelle lucenti e pianeti spenti, abbandonati questi ultimi, a specchio con noi, al loro solitario inutile vagare e girare su sé stessi. Ma non lo sa ancora, non le si è ancora rivelata quella fenditura del reale che la porterà lontano da ciò che è stata indotta a pensare di essere.
Questi pianeti ci assomigliano, ne abbiamo un vago sentore in noi che non afferriamo fino a quando una visione non ci libera da noi stessi. Lei non pensa, è. È noi, desiderosi di andare oltre noi. È il principio vitale che genera vita, guarda alla vita ed è per la vita senza nessuna fatica. È la curiosità che dovremmo avere e che dimentichiamo di esercitare, è la forza in divenire che ci sostiene e che tradiamo. I nostri pensieri, invece, per lo più ordinari, ci proiettano in terra, ci legano. La ricerca è fuori dal cerchio dell’ovvietà.
Cenerentola non sa ancora che la cenere che la ricopre è quella di un mondo che brucia per far posto ad un altro, svanito in volute di fumo grigio. Quello che resta di questo quadro è punto di fuga per un’azione insensata, che sconvolge il canone interiore ed esteriore, è l’esplosione, è la fusione iniziale, la caduta degli dèi e il sorgere di un uomo nuovo; porta d’accesso al possibile di un’esistenza rinnovata. Fuga in avanti, proiezione delle mille possibilità dell’uomo che si raccordano grazie ad altre Cenerentole, umanisti e scienziati che sognano ad occhi aperti il davanti a loro.
E. Bloch è il fautore e teorico del sogno ad occhi aperti, tratta l’utopia come il possibile concreto che si può raggiungere, il non ancora esistente che si può realizzare a costo di perdere noi stessi, di mettere in atto una trasformazione che confligge con quelle che sembrano verità inscalfibili. L’utopia è la verità della vita possibile e libera, della vita che cerca l’umano nell’uomo, citando V. Mancuso.
Il quadro iniziale in cui è inserita Cenerentola ha i colori dell’arrendevolezza, quelli rassicuranti in cui tutti possono sentirsi rappresentati, quelli che ci inducono ad amarla senza conoscerla perché riconosciamo in lei la nostra condizione di uomini umiliati, sviliti, arresi, da noi stessi nel nostro essere matrigna, figlia e figliastra. La narrazione della sua misera esistenza sembra essere l’unica realtà possibile, quella senza scampo di una vita già scritta che viene da lontano e che proietta nel futuro il suo limite, la stessa che intuiamo in noi e per noi, anche se noi sappiamo che possiamo eccedere, ma abbiamo timore di frequentare i limiti della nostra esistenza.
Ma nel riconoscere questa Cenerentola, sveliamo in noi il bisogno di alterità che chiamiamo arte, poesia, filosofia, bellezza, scienza, in un connubio che ci riporta alle origini delle domande dei primi filosofi sul mistero della vita e del mondo. Cenerentola nel nostro specchio deformato è arte che non si arrende, pensiero scientifico senza limiti, è possibilità del bene, dell’amore, della felicità.
Un artista può assecondare il paradigma del suo tempo, può assumere in sé l’intero universo culturale in cui sente di essere immerso (come in una prigione invisibile), oppure opporsi perché in questo sente il suo limite e il limite imposto all’uomo. Il male si manifesta nella accettazione distratta dell’esistente, del così è nella forma non consapevole della propria condizione, nell’ignoranza del proprio essere e del limite che subisce.
L’arte non dovrebbe ridursi a mendicare accettazione, accoglienza e funzioni, non dovrebbe recedere dalle sue prerogative rivoluzionarie per compiacere un mondo, la società, e uomini che sentono minacciate le proprie certezze. Dovrebbe essere la favola del possibile. Dovrebbe essere la Cenerentola dalle mille potenzialità che si manifestano a contatto con il mondo. Non dovrebbe preoccuparsi di sentirsi utile, anche quando lo stato di solitudine assoluto può diventare disperante per l’animo dell’artista e tutto sembra contrario alle sue forze.
La verità di una visione – se si tratta di una visione libera da tali inganni e legami – è tale da creare buchi nella realtà, squarciare veli spessi di secoli, spazzare via credenze, offrire, per necessità incarnata, prospettive di crescita, allargamento di coscienza e emancipazione dell’uomo.