C BertoglioChiara Bertoglio

 

Beauty, together with truth and goodness, constitutes the essence of God and is also present in creation and in human nature. Humankind can participate in the divine beauty through music. It can become a revelation and proclamation of goodness and truth, of order and meaning. Its sounds and melodies can encounter the spiritual needs of human beings, consoling them and instilling hope.

La Bellezza fa parte dei “trascendentali” che caratterizzano l’essenza di Dio, insieme – tradizionalmente – con la Verità e la Bontà. Si tratta di tre elementi che non possono essere disgiunti, in quanto, come vedremo, si compenetrano e bilanciano a vicenda. E se solo in Dio questi elementi trovano la propria perfezione, essi sono sparsi a piene mani anche nell’universo creato, e la loro ricerca costituisce il desiderio profondo di tutti coloro che sono assetati di infinito, nonché la vocazione profonda di ogni uomo e donna di buona volontà.

La musica, in quanto forma artistica, sembra partecipare soprattutto della Bellezza; tuttavia, io ritengo che sia fondamentale che essa si abbeveri ugualmente alla Verità e alla Bontà, tentando a sua volta di esprimerle e di diffonderle.Senza Verità, la Bellezza può degenerare in estetismo, quasi in cosmesi, o in una ricerca del piacere sensoriale che può diventare fine a se stesso. Senza Bellezza, la Verità può diventare brutale, priva di compassione, incapace di trovare il modo di esprimersi in armonia con le capacità dell’ascoltatore, pur senza tradire la propria vera essenza. Senza la Bontà, la Bellezza e la Verità non possono intendersi, e costituiranno sempre due poli in reciproca tensione, fra i quali l’arte – come tutte le realtà umane – si dibatterà oscillando pericolosamente e senza trovare un punto di quiete.

L’arte e la musica del Novecento e della contemporaneità, come d’altronde la società nel suo insieme, hanno espresso in modo molto intenso e vibrante questa tensione. La Bellezza è diventata inaccettabile, in nome di una Verità che spesso ha preso la forma di ricerca volontaria del brutto, del volgare, del provocatorio o del blasfemo. Adorno affermava che la poesia, dopo Auschwitz, era qualcosa di barbarisch; ed effettivamente, se si pensa che molti carnefici fra le SS erano appassionati di musica e di arte, non si stenta a capire come la ricerca del godimento estetico possa talora andare di pari passo con il sadismo e la perversione, con la malvagità e l’orrore.
Fedeli al dettato di Adorno, ma in generale esprimendo una lacerazione che di fatto precede la stessa Seconda guerra mondiale, molti artisti hanno abbandonato la ricerca della Bellezza considerandola come un’ipocrisia. In musica, questo ha preso la forma della rinuncia al linguaggio tonale, avviata già dagli esperimenti della Seconda Scuola di Vienna a seguito delle crisi di inizio Novecento. Arnold Schönberg affermava che la musica dev’essere vera, non decorativa, con ciò ponendo in contrasto reciproco la Verità e una concezione riduttiva della Bellezza, vista come orpello. Ed egli fu tra gli iniziatori dell’atonalità e della dodecafonia.

Naturalmente, il linguaggio tonale non è l’unico linguaggio in cui si possa esprimere la Bellezza in musica: sicuramente il linguaggio modale ne è un’altra espressione ugualmente valida, e la stessa atonalità o la dodecafonia hanno talora prodotto risultati di innegabile bellezza. Ciononostante, ciò che distingue tonalità e modalità da altri linguaggi è la presenza di un’articolazione del linguaggio musicale percepita come portatrice di significato da parte della maggioranza degli ascoltatori. Laddove la bellezza di un brano dodecafonico (ove presente) è apprezzabile solo da una ristrettissima cerchia di ascoltatori musicalmente esperti, e in grado di cogliere le strutture architettoniche del linguaggio al di là del piacere immediato, indubitabilmente la bellezza di una Sinfonia di Beethoven o di un Notturno di Chopin “parla” in modo molto più universale a chiunque abbia “orecchie per intendere”. Tonalità e modalità prevedono delle gerarchie fra i suoni, dettate dalle regole del modo o dell’armonia, e creano – con l’aiuto della melodia e del ritmo, nonché del timbro e della dinamica – delle tensioni e distensioni all’interno della frase musicale. La Bellezza della musica è quindi nella sua intelligibilità, nel suo essere percepibile come discorso fatto di suoni, ordinato e armonioso, con un giusto equilibrio fra sorpresa e prevedibilità, fra atteso e inatteso, fra aspirazioni esaudite o sovvertite.

Con la perdita della fede nell’ordine del mondo, nel fatto che il cosmo e la storia possiedano una loro intelligibilità, anche l’arte si è fatta frammentata, apofatica, a volte semplicemente afasica. In questo è stata percepita la Verità: se “Dio è morto”, come Nietzsche gridava e come Auschwitz sembrava aver dimostrato, allora l’arte non può annunciare un ordine che di fatto non esiste.

Nel dispiegarsi ordinato delle tensioni e distensioni del linguaggio musicale, la cultura occidentale aveva racchiuso un messaggio fondamentale: gli avvenimenti della storia personale e collettiva, anch’essi caratterizzati da tensioni/dissonanze e distensioni/risoluzioni, sono a loro volta ordinati a un fine, un telos provvidenziale. Come il compositore scrive gli elementi musicali (le note) che creeranno quelle tensioni e distensioni su uno spartito in cui tutto è pre-visto in modo prov-videnziale, così Dio, nella Sua pre-videnza e prov-videnza, ordina gli avvenimenti del mondo (compresi quelli malvagi, che Egli non vuole ma permette) a un fine di salvezza.

Caduta questa certezza, cade il senso della provvidenzialità del discorso musicale, e quindi della sua bellezza. Se anche una vita dolorosa può essere “bella” quando concepita in un’ottica di fede, in quanto può essere una vita costellata di amore dato e ricevuto, una vita senza senso non presenta alcuna bellezza. E la musica, se vuole essere “vera”, deve esprimere questa mancanza di senso facendosi volontariamente “brutta” o disordinata o violenta o inintelligibile. La disperazione dell’uomo e della donna del moderno e del postmoderno si traducono in urla inarticolate, o nell’eterna ripetizione senza uscita e senza fine della minimal music, o nel dominio del caso annunciato dalla musica aleatoria, o nelle gelide architetture di un certo serialismo spinto che cerca in un ordine artificiale e autoimposto una via d’uscita dall’infinita anarchia della possibilità.

Tutto ciò, però, esprime una visione del mondo che è purtroppo molto comune ai nostri contemporanei, ma alla quale i credenti non devono cedere. Naturalmente, chi condivide una prospettiva di fede deve essere sensibile alle istanze, alle domande, alle fatiche e alle provocazioni della contemporaneità. Non possiamo ripiegarci su una Bellezza disincarnata e fine a se stessa, nella contemplazione quasi edonistica di una perfezione che non è di questo mondo: noi stessi viviamo nel “già e non ancora”, e mentre intuiamo, desideriamo e aneliamo alla Bellezza senza fine e senza tempo dell’Eterno, siamo a nostra volta profondamente immersi nel dolore e nelle angosce del mondo di oggi, e nelle sofferenze delle nostre stesse vite.

Nello stesso tempo, dobbiamo avere il coraggio di proporre una musica che si faccia euangelion, che sia un primo annuncio di una fondamentale buona notizia: che la vita ha un senso, che la storia ha un senso, e che questo senso è provvidenziale, è finalizzato al bene, è orientato a un piano salvifico che si radica nell’essenza stessa dell’amore di Dio. È un annuncio intrinsecamente “buono”, come attesta il prefisso “eu” della “buona novella”: perché è un annuncio che porta nella verità delle fatiche del mondo la bellezza della speranza. È nella Bontà che Verità e Bellezza si incontrano, si uniscono e trovano la propria piena realizzazione.

La musica “buona” è perciò la musica di cui tutti abbiamo bisogno. Non la musica superficialmente piacevole delle canzonette, costruite in modo commerciale per appagare le nostre più elementari istanze di godimento immediato; non la musica violentemente e deliberatamente sgradevole di tanti compositori contemporanei, che sembrano perseguire il solo obiettivo di épater le bourgeois e di scandalizzare. La musica “buona” è una musica che sa, paradossalmente, ascoltare i bisogni dell’umanità di oggi, e, avendoli ascoltati, sa consolarli. La musica “buona” è una musica che sa aprirsi all’assoluto e alla trascendenza: che non è né al servizio dell’ascoltatore ponendosi semplicemente l’obiettivo di dargli la soddisfazione di un momento, né al servizio del compositore che si crea un narcisistico universo autoreferenziale e incomunicabile.

La musica “buona” è innanzi tutto al servizio della trascendenza, cercando di tradurre una speranza escatologica in un linguaggio di suoni che se ne faccia annuncio. In questo modo, la musica non si fa surrogato di infinito, come a volte è stata considerata in passato, ma dell’infinito si fa portatrice e annunciatrice. Essa mira a suscitare, non a soffocare frettolosamente, l’anelito profondo a Dio, fonte di ogni Bellezza, Verità e Bontà; non mira a essere adorata, ma aiuta a adorare.
È di questa musica, secondo me, che il mondo di oggi ha immenso bisogno. Ed è questa musica che spero possa nascere, oggi e domani.