Appunti e riflessioni

Arch. Mario Serantoni

L’attenzione che tutte le culture in tutti i tempi, in tutto il mondo, hanno rivolto alla costruzione di templi dimostra chiarissimamente l’importanza che questi oggetti particolari hanno avuto per la formazione di luoghi che rappresentassero i valori fondanti di quelle società.

Questo concetto generale passa sopra le grandi differenze che possiamo trovare nel luogo sacro edificato dalle diverse religioni anche se, con altrettanta facilità, potremmo dire che per la loro realizzazione sono state consumate energie, materiali e denari che nessun altro edificio specialistico, nemmeno quelli militari, abbiano mai assorbito.

Veniamo velocemente a noi, Cristiani europei che abbiamo monopolizzato l’Europa centro meridionale con una quantità di edifici che per circa 1600 anni hanno assunto una tipologia assolutamente costante e che tuttora rappresenta il concetto di edificio destinato principalmente alle celebrazioni dei culti. Il vero problema è che è sempre risultata inesistente qualsiasi critica al modello, per incapacità o costrizione, e ci siamo fossilizzati nel recepire differenze estetiche superficiali che hanno con molta forza rappresentato la differenza, anche teologicamente supportata, tra i molteplici modi di agire la fede cristiana. Altrettanto sbrigativamente possiamo dire che l’origine greca del nostro mondo ha comportato, geometricamente parlando, la vittoria del rettangolo nei templi vari, mentre il mondo cristiano più orientale ha valorizzato il quadrato, così caro al vicino mondo islamico.
Non è possibile però dimenticare che l’edificazione dei templi cristiani ha prodotto uno sviluppo delle tecnologie edilizie elevatissimo, sviluppo che, con i nomi che gli sono stati attribuiti, rappresenta a pieno titolo le varie fasi della nostra storia.
Oggi dobbiamo presentare sinteticamente la descrizione dei templi della Riforma con qualche attenzione in più ai templi valdesi ed è quasi simpatico che un architetto, storico della architettura, potrebbe cominciare e finire l’intervento con una risata, semplicemente perché non ci sono differenze.

Allora proviamo a scavare e una differenza importante la troviamo subito: il nome. Nella tradizione riformata l’edificio destinato ad ospitare i culti e le varie attività religiose e a rappresentarle nella città si chiama tempio, mentre nella tradizione cattolica si chiama chiesa, tendenzialmente. In verità nel mondo cattolico che si occupa specificamente di architetture religiose, spesso nominate anche sacre, l’edificio viene chiamato tempio e la differenza tra la parola chiesa con la C minuscola piuttosto che maiuscola rimane nel linguaggio comune, quasi esclusivamente in Italia.

Noi sappiamo che il Cristianesimo si è diffuso facilmente, ma con grosse e violente opposizioni, in tutto l’Impero romano per i primi tre secoli dopo Cristo per poi diventare praticamente religione di stato. Perdonate la semplificazione estrema, ma è proprio in questo passaggio che l’edificio tempio si riempie di quelle caratteristiche che poi continuerà per altri 17 secoli almeno.
Come spesso succede, chi produce o in parte realizza una rivoluzione importante, necessita di diffondere il suo messaggio e i suoi contenuti anche a chi di fatto non è cambiato, non si è evoluto. Per far questo ha bisogno di recuperare alcuni aspetti formali che meglio di altri rappresentano un canone comune e l’architettura o, peggio ancora, l’edilizia sono tra i più facilmente riconoscibili ed identificabili. Con la fretta che contraddistingue questo intervento mi sento di affermare che il passaggio dal romano al romanico va letto in questo senso e soprattutto attorno a Roma questo era più facile ed evidente. In verità c’è tutto un periodo di mezzo tra la fine dell’Impero romano e l’inizio di quello nuovo di Impero nel quale la povertà elevatissima e la frammentazione politica, sociale e militare hanno fatto segnare il passo all’edificazione dei templi anche se tra il IV e il IX secolo d.C. non mancano gli esempi, anche importantissimi e fondamentali.

Ho sempre pensato che ci sia stata una elaborazione del pensiero, architettonico fortemente intriso di teologia, che abbia fatto proprio lo schema della basilica di Massenzio, edificio laico a tre navate del 310 circa, e lo abbia trattenuto come elemento archetipo della romanità per riempirlo dei nuovi contenuti religiosi da trasferire, mettendoci 5/6 secoli, alla nascente Cristianità. Le tre navate, l’abside alla fine della navata centrale più grande, la scalinata all’ingresso rimarranno, direi per sempre, gli elementi fondanti. L’arco a tutto sesto rimane, così come rimane la necessaria modalità di edificare su un tempio pagano precedente più o meno compromesso. L’abside invece si ingrandisce perché invece che ospitare la mega statua di Costantino deve ospitare imponenti mosaici o affreschi col Cristo pantocratore e tutti gli Apostoli. La vera novità, ed è una delle cose che ci interessa più fortemente e riguarda la centralità della parola, è il posizionamento dell’altare in posizione sopraelevata all’inizio dell’abside. In verità questo elemento è il frutto soprattutto, per non dire solo, dell’esproprio maschilista della centralità della parola che avviene con la costruzione delle prime chiese o templi a preferenza.

Fin che la religione cristiana non era diciamo accettata il luogo della convivenza per motivi di fede erano abitazioni, supponiamo di alto livello, che ospitavano fedeli di tutte le classi (?) per piccole riunioni nelle quali lo spezzare il pane e leggere la parola non avevano le modalità liturgiche che conosciamo. Guarda caso sappiamo che la maggior parte di queste abitazioni/ville erano proprietà di donne, molte vedove, che hanno saputo intervenire perché erano ricche, sapevano leggere e, forse, destavano meno sospetti. Finito questo periodo, quando si comincia a costruire l’edificio specialistico, la supremazia maschile della casta sacerdotale organizza lo spazio come ben sappiamo, e sappiamo che sono cambiati i materiali, le forme degli archi, le decorazioni e le dimensioni, ma le panche sono rimaste così per sempre. Non ovunque, ma siamo ai margini della centralità romana del cristianesimo. La Chiesa siriaca propone templi dove altare e amboni sono contrapposti e le panche dei fedeli sono contrapposte, nel senso che il valore della Parola e della Liturgia sono sullo stesso piano ai due estremi e il sacerdote, comunque maschio, deve spostarsi ed i fedeli devono guardarsi in faccia.

Se quindi guardiamo a casa nostra possiamo facilmente constatare che il modello rettangolare, con una importante facciata di ingresso principale (in Italia quasi sempre, in Francia e Germania meno) ed una altrettanto importante abside all’estremo opposto e tre navate diventa l’unico modello di riferimento. In verità esistono eccezioni, ma sono legate a particolari situazioni storiche che hanno facilmente generato sovrapposizioni (S. Stefano a Bologna e San Marco a Venezia) o a commistioni culturali quasi sempre vissute positivamente.
Questo tipo di edificio svilupperà nel giro di due/tre secoli il passaggio dal romanico al gotico che non cambia il modello distributivo, ma solo quello spaziale verticale, recuperando un innovativo contributo di illuminazione naturale che segnerà il successivo passaggio ad un mondo meno affamato.

Prima di arrivare al momento nel quale la Riforma si inserisce prepotentemente nel Cristianesimo occidentale, guardiamo ancora velocemente alcune caratteristiche generali degli edifici destinati al culto. Per prima cosa la città medievale non è più la città romana perché, pur mantenendone gli schemi, rinnova il rapporto città campagna, ovverosia i rapporti di produzione. Un grande storico dell’arte, ovviamente vero comunista, l’Argan, scrive: “…non è più la potenza militare o la capacità di conquista e di rapina che assicura l’autonomia; è il lavoro, tanto più che la Chiesa stessa lo prescrive come modo pratico della disciplina morale che conduce alla salvezza spirituale”. Continua sostenendo che il Tempio, meglio la cattedrale e tutte le sorelline minori, dopo, monumento romanico per eccellenza, diventa l’immagine vivente del sistema: “vivente perché, oltre che luogo del culto, è anche basilica nel senso romano, luogo dove la comunità si aduna a consiglio”.

Ecco che Sant’Ambrogio a Milano è il capolavoro assoluto dimostrando che le nuove necessità della società esigono uno spazio per le proprie assemblee e lo trovano perfettamente nel chiostro che precede la chiesa. Grande come l’edificio destinato al culto offre un nuovo rapporto ombra luce che richiama la “duplice funzione urbana, religiosa e civile” e termina con un nartece a cui viene sovrapposto un importante loggiato, vero arengo dal quale Vescovo e alti Magistrati cittadini si rivolgevano al popolo.
Il romanico si espande facilmente verso Nord, vedi in Borgogna e dal Nord scende la varietà tecnologicamente innovativa del gotico, che comincia con spiccate manifestazioni di minimalismo (vedi molte abbazie del Nord Italia o San Francesco a Bologna tutte gotico cistercensi) per poi offrirsi a speculazioni formali che trasferiranno dagli architetti e muratori ai pittori e scultori la “qualità” del progetto. Su Brunelleschi bisognerebbe aprire un capitolo a parte.
Bene, è con questi edifici, dentro questi edifici, che si sviluppa e prende piede la Riforma di Lutero. Il passaggio avviene per ovvi motivi molto facilmente lontano da Roma dove non si intravede una necessità di “inventare” un nuovo tipo di tempio e questo per diversi motivi.

In primis la Riforma non prevedeva inizialmente un allontanamento formale dai concetti e gli usi del Cristianesimo in generale per cui nessuno sente la necessità di inventare un nuovo modello spaziale o distributivo e i culti differiscono poco dalle messe precedenti. Comunque il passaggio da un sacerdote ad un pastore, comunque maschio e che comunque parla e diffonde il suo messaggio in maniera frontale, non impone profonde richieste di modifica al luogo liturgico. E’ vero che la storia, come al solito vista da una parte sola, racconta che il Protestantesimo distrugge e cancella immagini, statue e quant’altro di artistico all’interno dei templi “usurpati”, come era già successo nel 730 quando l’imperatore Leone III Isaurico aveva proibito il culto delle immagini, ma non è vero. Anche allora il II Concilio ecumenico di Nicea aveva salvato la situazione, ma non tutte le opere d’arte. Molte delle chiese diventati templi, e non sono il 100%, mantengono il nome del santo/a a cui erano dedicate, si mantengono statue, affreschi davanti ai quali spariscono però candele e cassette per le monete (basta fare un giro tra i templi luterani in Germania sopravvissuti alla guerra), ma si introducono alcuni nuovi elementi.

Se leggiamo Lutero “contro i profeti celesti”, uno dei suoi primi scritti, scopriamo che propone che i templi, le strade e le piazze siano affrescati con scene bibliche, immagini che ritiene capaci di contribuire alla grande impresa di concedere a tutto il popolo la capacità di leggere la Bibbia; la pittura come una bibbia dei poveri ancora incapaci di farlo. Sappiamo che questa grande impresa consentì l’alfabetizzazione del mondo protestante, anche extraurbano e anche femminile. La posizione di Lutero era in contrasto con quelle di Calvino e Zwingli che non tolleravano presenze figurative nei templi. Lutero odiava apertamente alcuni quadri o alcuni affreschi, ma per motivi diversi: la Madonna del mantello di Piero della Francesca perché sotto il mantello c’erano solo ricchi e potenti e altri affreschi vari, fortemente truculenti, sulla passione di Cristo che 9 secoli dopo avrebbero ispirato un orrendo film di Mel Gibson confermandone la pericolosità teologica. In verità Lutero ospitava alcuni famosi artisti contemporanei e amava l’arte e capì come liberare l’immagine dal pericolo dell’adorazione, sostituendola con la musica. Le voci erano ospitate da tempo nelle chiese, ma con la Riforma si introduce, siamo sempre troppo sbrigativi, l’organo che diventa componente fondamentale del tempio e il canto degli inni diventa il vero momento della preghiera: infatti durante i canti nel culto protestante ci si alza in piedi. L’ambone rimane tale e la sua posizione è più determinata dalla dimensione del tempio che da altro, forse più frequentemente ai lati della tavola (altare nelle chiese cattoliche) che rimane comunque poco propensa ad accettare interventi artistici di rilievo. Nel 1522 Lutero pubblica la Kirchenpostille dove si dichiara contrario alla costruzione di nuovi templi.

Se allora la forma architettonica non differisce di molto, quali sono le “differenze” che troviamo nei templi della Riforma? Sono quasi tutte sottrazioni: non ci sono immagini se non alcuni simboli nelle vetrate, non ci sono le acquasantiere all’ingresso (il segno della croce non è un gesto della Riforma), non ci sono i confessionali (la confessione è collettiva), non c’è un altare ma una tavola e non c’è un crocefisso ma una croce. Per questi due elementi il motivo, sempre sbrigativamente parlando, è la rinuncia al concetto di sacrificio sostituito da un concetto di culto come momento collettivo dell’ascolto della Parola e dello spezzare il pane. Sulla tavola però è sempre posizionata una Bibbia aperta rivolta verso i fedeli. Manca anche il tabernacolo perché il pane e il vino sono solo gli elementi della Santa Cena che però non vengono “riempiti” di altri significati e quindi non vengono conservati in un luogo specifico. In verità nei templi della Riforma abbondano le croci e i versetti biblici, spesso messi in posti poco visibili, ma con riferimenti molto significativi. In più, e qui torniamo agli inni, c’è un grande tabellone con le indicazioni del numero degli inni da eseguire in quel culto e gli innari sono conservati all’ingresso. Il/la Pastora o qualche membro del Consiglio di Chiesa, aspettano i fedeli all’ingresso prima del culto e consegnano loro, oltre ad un saluto di benvenuto, l’innario e questa scena è ben riportata in molti film americani.

Per concludere possiamo dire che l’architettura contemporanea dal 1955 (Le Corbusier Ronchamp) in poi introduce nuovi e rivoluzionari elementi formali soprattutto per le chiese cattoliche, elementi che rompono la monotonia formale e spaziale, ma che con molta, forse troppa cautela, provano ad introdurre schemi distributivi veramente alternativi. Nel mondo riformato l’ottagono recupera un certo valore, già introdotto nel 1800 e in quello cattolico la chiesa si apre a spazi limitrofi, interni ed esterni, dove recuperano valore alcune funzioni didattiche o di servizio.
In generale però le nuove chiese o templi sono chiamate ad un nuovo rapporto con gli spazi urbani dove, non potendo più contare sul valore urbanistico di piazze o spazi importanti, sono in qualche modo costrette ad agire la loro originalità formale per recuperare quella centralità che la “società” precedente riservava loro quasi automaticamente.

BIBLIOGRAFIA

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Lutero, Contro i profeti celesti. Sulle immagini e sul sacramento (1525), Claudiana, Torino 1999.
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Argan G.C., Storia dell’arte italiana, Sansoni, Firenze 1968.
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