(Prima parte: dal sec. XV a Paolo VI)

FDTFrancesco Diego Tosto
Docente di letteratura religiosa

 

The Divine Comedy by the Florentine poet Dante Alighieri is a work that can be called beautiful. Its beauty consists in proposing itself as an itinerary ofman’s search for a knowledge which, arriving at God,reveals man to man and the very meaning of existence. Starting from the fifteenth century, the Popes are lovers of Dante grasped the immense patrimony of faith that it contains, considering it in its importance for the transmission of the faith, alongside the biblical texts and the patristic and theological magisterium.

In occasione del settimo centenario della morte di Dante Alighieri (Ravenna, 1321) molte iniziative culturali hanno celebrato, e continuano a farlo, il grande poeta fiorentino. Anche gli ambienti ecclesiastici hanno organizzato seminari di studi, convegni e quant’altro a testimonianza dell’interesse che la Chiesa ha manifestato, particolarmente nell’epoca contemporanea, verso l’opera del cantore dell’itinerarium mentis in Deum.

Dante Alighieri FirenzeMolti papi, infatti, da Leone XIII a Papa Francesco, hanno attinto ai suoi versi, utilizzandoli come strumento di evangelizzazione e non tenendo conto dell’antico rifiuto nei confronti del poeta, considerato avversario del cattolicesimo e fautore di un ghibellinismo anticlericale. Molte personalità ottocentesche sostenevano su Dante tesi laiciste, come Carlo Cattaneo, Giuseppe Mazzini, Giovita Scalvini, Paolo Emiliani giudici, Luigi Settembrini, ai quali si opponevano gli intellettuali cattolici neoguelfi, che difendevano l’ortodossia dantesca; tra di essi Cesare Cantù, Vincenzo Gioberti, Cesare Balbo, Antonio Rosmini.1 La Chiesa nel secolo XIX non era ancora pronta ad un rinnovamento a causa di difficili problemi, come soprattutto la questione romana; bisognerà attendere il pontificato di Leone XIII per registrare un processo di modernizzazione, in cui si inserisce nella fattispecie l’assoluzione nel 1881 del De Monarchia di Dante dall’accusa di eresia.

Da allora in poi il poeta toscano sarà accolto e venerato non solo come poeta ma anche come teologo, specialmente dopo il Concilio Vaticano II, che valorizzerà il proficuo dialogo tra la teologia e le arti come via per approdare a Dio.

In questo nostro contributo cercheremo di documentare la ricezione del pensiero di Dante da parte dei Pontefici suoi cultori, e per la retta comprensione del suo impianto generale sarà opportuno presentare alcuni aspetti dell’attraente sinergia tra letteratura e contenuti teologici, concretamente manifesta a più riprese nella Divina Commedia, per poi offrire un rapido excursus ecclesiastico-dantesco, da Leone XIII a papa Francesco, volto a testimoniare l’importanza del ruolo che riveste Dante nella trasmissione della dottrina cristiana. Egli si affianca ai grandi Padri della Chiesa, non certo per sostituirli ma per sostenerli attraverso l’uso di immagini, simboli, metafore utili a facilitare la comprensione dei dogmi e ad ingenerare nell’animo del credente una forte carica di rinnovamento spirituale. Per tali ragioni il poeta fiorentino mantiene una sorprendente attualità nel suo proporre ad ogni buon cristiano una via poetica per migliorare ed arricchire il suo cammino verso Dio.

1 – Dante e il dialogo tra arte, poesia e teologia

Sarà innanzitutto legittimo chiedersi quali motivazioni hanno spinto e continuano a stimolare anche oggi l’attenzione di sacerdoti, vescovi e pontefici verso l’opera del poeta fiorentino. Perché il magistero della Chiesa attinge al serbatoio poetico del poeta fiorentino affiancandolo al patrimonio patristico e teologico? La letteratura si eleva a fianco della teologia nell’indagine dei misteri divini? La risposta a tali interrogativi è fornita più volte da illustri pensatori interessati a tale suggestiva problematica: Karl Rahner, Henri Marie De Lubac, Romano Guardini, Hans Urs von Balthasar, Charles Moeller,2 secondo i quali le opere letterarie contengono una grande ricchezza spirituale, scandagliano lo spirito e scrutano l’uomo nella sua essenza. Fede e poesia, secondo tale prospettiva, vivono un’interessante complicità alla ricerca del senso della vita e dell’acquisizione della verità.

Nella Divina Commedia poesia e dottrina interagiscono, si completano, puntano all’essenziale, raccontando l’esperienza spirituale che si incarna nella storia e nella vita di ogni credente. I teologi su menzionati hanno elaborato il loro pensiero sulle fonti classiche, latine e greche, sulla Sacra Scrittura, sulle opere dei Padri della Chiesa, sulla teologia tomista e dei secoli successivi, ma anche sui classici della letteratura italiana ed europea, in quanto l’arte di ogni secolo può svolgere una funzione pedagogica e incidere notevolmente sul cammino spirituale del cristiano. La grande letteratura, del resto, ha cercato sempre di rispondere alle domande radicali, a penetrare il mistero, a scoprire l’ignoto e ciò viene riconosciuto in epoca contemporanea dal Concilio Vaticano II, che nella Costituzione Pastorale Gaudium et spes del 1963 così si esprime:

[Le arti] cercano di esprimere la natura propria dell’uomo, i suoi problemi e la sua esperienza nello sforzo di conoscere e perfezionare se stesso e il mondo; cercano di scoprire la sua situazione nella storia e nell’universo, di illustrare le sue miserie e le sue gioie, i suoi bisogni e le sue capacità, e di prospettare una sua migliore condizione. Così possono elevare la vita umana, che esprimono in molteplici forme secondo i tempi e i luoghi. Bisogna perciò impegnarsi affinché gli artisti si sentano compresi dalla Chiesa nella loro attività e, godendo di una ordinata libertà, stabiliscano più facili rapporti con la comunità cristiana.3

Tali considerazioni spingeranno Paolo VI il 7 maggio 1964 ad una vera e propria occasione storica: convocare nella Cappella Sistina gli artisti, ricevuti per la prima volta ufficialmente da un papa, celebrare per loro una Messa e pronunciare una celebre Omelia4 con lo scopo di consolidare l’amicizia tra arte e Chiesa attraverso la valorizzazione degli universali teologici: verum, bonum, pulchrum, secondo i quali Dio si raggiunge non solo attraverso i contenuti del dogma e della morale ma anche percorrendo la via pulchritudinis, di cui è impregnata la vita artistica di tutte le epoche. Forse la Chiesa, sostengono con voce unanime i pontefici, si è irrigidita nel proporre i propri insegnamenti escludendo l’artista, speculum Dei, creatore vivace ed interprete del soprannaturale. E di questo “errore” si fa portavoce papa Montini scrivendo all’amico Jean Guitton:

Si, non vi abbiamo parlato abbastanza; non vi abbiamo accolto, seguito, ammirato abbastanza […] Non vi abbiamo avuti come discepoli, come interlocutori, come amici; e voi non ci avete conosciuto. Il papa ritorni ad essere quello che è sempre stato: l’amico sincero e cordiale degli artisti.5

L’arte a Dio quasi è nepote6, sosteneva Dante, sia quando esprime una gioia sia quando comunica un’angoscia. In tal senso la grande poesia è sempre religiosa in quanto indaga liberamente, secondo una particolare sensibilità, einfühlung, cioè quella di avvertire con il sentimento ciò che non si riesce ad esprimere con il pensiero. Il poeta fiorentino è stato capace di contribuire al recupero e alla promozione dell’importanza ontologica dell’esistenza con il suo linguaggio universale e libero. La libertà, infatti, è la prima condizione della scelta artistica e della scelta morale, cooperanti verso l’armonia della verità:
Noi dobbiamo lasciare alle vostre voci il canto libero potente di cui siete capaci.7

La Chiesa, secondo tale prospettiva, ha bisogno dell’arte per rendere comprensibile il mondo dello spirito e dell’invisibile. L’esempio concreto, secondo Paolo VI, ci è dato dalla Divina Commedia, canto alto e profondo, leggero e grave, celestiale e concreto.

Il messaggio di papa Montini verrà ripreso da Giovanni Paolo II che il 4 aprile 1999, in occasione delle festività pasquali, scrive una Lettera agli artisti, “geniali costruttori di bellezza”.8 In essi trovano armonica convergenza, secondo la lezione di san Tommaso, integritas, proportio, claritas. Papa Wojtyla, cultore delle Lettere ed egli stesso poeta,9 cerca nella letteratura il seme della bellezza ed auspica che nelle opere degli scrittori ci sia sempre una libertà dialogante e costruttiva. L’esperienza dell’artista viene colta dal pontefice dalla fonte agostiniana e assimilata per analogia all’atto creativo di Dio: tamquam verbum apud nos habemus, et dicendo intus gignimus.10 L’artista coglie la realtà delle cose e le porta alla luce ottenendo una conoscenza prerazionale, una conoscenza in fieri. L’incontro tra Chiesa e cultura laica veniva così consolidato e poi diffuso fino ad arrivare a papa Francesco. Giunge pertanto opportuna la celebrazione dell’anniversario di Dante per mettere in risalto come teologia e letteratura hanno in comune quasi una grammatica dell’infinito, pur avendo impianti epistemologici diversi.

Esse insieme formano un organismo armonioso e vivono di una suggestiva complementarietà. La nostra umanità spesso trascura la verità o la impoverisce; solo una spinta alla verticalità può far sì che l’uomo riconosca la sua vera identità e intraprenda costantemente la via del bene; per fare ciò deve far ricorso anche ad esperienze alternative: decodificazione di simboli, immagini, intuizioni, emozioni che l’arte e la poesia sanno dare perché capaci di scoprire la presenza di Dio nell’uomo. Dante è artista, filosofo, esegeta, cultore di varia umanità, ma anche poeta dei teologi o teologo dei poeti, come frequentemente è stato chiamato. La sua opera compendia poesia e fede e non verso una generica religiosità ma verso l’unico Dio cristiano, Dio-Padre secondo una visione cristocentrica, mariologica ed escatologica, che si armonizzano nell’unica fede nel Dio vivente. In ultima analisi, Dante e il suo dialogo tra teologia e poesia costituiscono anche per la Chiesa un patrimonio di religione, cultura e civiltà. La ricezione del suo insegnamento nei secoli testimonia l’importanza e la necessità di ricavare dai suoi scritti un metodo, una guida, un itinerario verso l’ineffabile.11

2- I Papi leggono Dante: rapido profilo a partire dal secolo XV.

Sono diversi, fin dal secolo XV, i pontefici che hanno valorizzato il pensiero di Dante rendendosi autori di vari scritti e promotori di numerose iniziative.12 Già durante il concilio di Costanza (1414-1418) il vescovo Giovanni Bertoldi da Serravalle traduce in latino nel 1416 la Divina Commedia con commento delle tre cantiche, dando così inizio a interessanti progetti di divulgazione del pensiero dantesco. Attenzione a Dante viene attribuita anche durante il Concilio di Basilea (1431-1445) attraverso riferimenti e citazioni della sua opera.

Successivamente Pio II (Enea Silvio Piccolomini), papa dal 1458 al 1464 e primo dantista, attingendo all’opera del poeta fiorentino, affermerà in tanti suoi interventi il ruolo fondamentale del papato e Alessandro VII, pontefice dal 1655 al 1667, sulle tracce di Dante, contribuirà notevolmente all’edificazione dell’impianto teologico della Controriforma; fino a giungere a Leone XIII, personalità attenta durante il suo pontificato, 1878-1903, ad avviare un cammino di modernizzazione della Chiesa, mostrando riconoscenza verso l’opera di Dante, ritenuto poeta neotomista. Egli infatti si adopererà per attuare la cancellazione nel 1881 del De monarchia dall’Index librorum prohibitorum, registrata per ordine del cardinale Bertrand du Pouget negli anni 1320-1327, liberando in tal modo l’opera dall’infamante accusa di eresia. La decisione del papa è in linea con il pensiero politico di Dante, secondo il quale il potere civile conferito all’imperatore proviene direttamente da Dio e la Chiesa, votata al bene spirituale del popolo, è assolutamente autonoma. Nel 1887, inoltre, papa Pecci promosse una cattedra dantesca presso l’Istituto Leoniano di alta Letteratura, istituito nella Pontificia Università Lateranense e affidando l’incarico a Monsignor Giacomo Poletto, il quale onorerà l’incarico scrivendo nel 1898 La riforma sociale di Leone XIII e la dottrina di Dante Alighieri oltre ad un interessante Dizionario dantesco (1885-1887). Nel 1913 la cattedra dantesca venne sospesa per la chiusura dell’Istituto Leoniano, ma poi ripristinata nel settembre 1962 da Giovanni XXIII e affidata a Monsignor Giovanni Fallani, studioso accurato del pensiero di Dante.13

Anche il pontificato di Pio X, papa Giuseppe Sarto, dal 1903 al 1914, esalta il valore pedagogico dell’opera di Dante, considerandola un vero e proprio manuale di catechesi contro l’anticlericalismo imperante. Dietro tali convinzioni, nell’ultimo anno di vita del pontefice nasce a Ravenna, con il compito di onorare il poeta toscano, un comitato dantesco presieduto dall’Arcivescovo Pasquale Morganti e per riflesso un’apposita rivista. Dopo la morte del papa, ma da lui vivamente ispirato, viene dato alle stampe da autore anonimo il Catechismo della Dottrina Cristiana per ordine di Sua Santità Pio X meditato e studiato con Dante: un accostamento pastorale tra un testo pedagogico e l’opera dantesca in versi al fine di fornire un modello pratico di cristianesimo operante, in cui vengano delineati i contenuti dogmatici della fede (Trinità, creazione del mondo, peccato originale, Incarnazione, Passione, Comandamenti, Virtù teologali). Tra le iniziative promosse dal papa Sarto, e sempre inerenti alla valorizzazione del poeta toscano, si ricorda anche il restauro della Chiesa di San Francesco a Ravenna.

Il 28 ottobre 1914 papa Benedetto XV scrive l’Epistola Nobis ad catholicam, indirizzandola all’Arcivescovo di Ravenna Pasquale Morganti, nella quale sottolinea il debito della Chiesa nei riguardi del poeta ed affrontando la spinosa questione relativa al Dante cattolico e alle sue invettive verso i pontefici corrotti. Ci sembra opportuno citarne un brano significativo e foriero di successivi interventi:

Il poeta fiorentino, come ognuno sa, congiunse l’amore per la natura all’amore per la religione e conformò la sua mente ai precetti desunti dall’intima fede cattolica e nutrì il suo animo con i più puri ed elevati sensi di umanità e giustizia. Che se poi, afflitto dalle amarezze e dalle tribolazioni dell’esilio e sospinto dallo spirito di parte, parve talora allontanarsi dalla equanimità di giudizio, tuttavia non avvenne mai c’egli deflettesse dalle verità della dottrina cristiana. Infatti chi può negare che il nostro Dante abbia alimentato e rafforzato la fiamma dell’ingegno e la virtù poetica traendo ispirazione dalla fede cattolica, a tal segno che cantò in un poema quasi divino i sublimi misteri della religione? […] Essendo esso strettamente congiunto alla fede cattolica, [una celebrazione a lui dedicata] non solo si accorda del tutto con i cattolici, ma corrisponde perfettamente alla religiosità dell’immortale poeta.14

Su tali fondamenti sempre papa Benedetto XV il 30 aprile 1921 scrive nell’imminenza del sesto centenario della morte di Dante l’enciclica In praeclara Summorum.15 In essa il pontefice, citando ampiamente le opere di Dante (De monarchia-Convivio-Epistole e soprattutto la Divina Commedia definendola “quinto Evangelo”), ribadisce la cattolicità del poeta con parole inequivocabili:

Dante è benemerito della civiltà e della Chiesa e ancora vanto e decoro dell’umanità. Egli ha onorato il cattolicesimo e nelle sue opere si riscontra un vero tesoro di dottrina cattolica; egli può essere considerato il cantore e l’araldo più eloquente del pensiero cattolico, […] una sapientissima mente governa in tutto il poema l’esposizione dei dogmi cattolici […] intima è l’unione con la cattedra di Pietro […] Egli inveì con oltraggiosa acrimonia contro i Sommi Pontefici del suo tempo […] ma chi potrebbe negare che in quel tempo vi fossero delle cose da rimproverare al clero, per cui un animo così devoto alla Chiesa, come quello di Dante, ne doveva essere così disgustato, quando sappiamo che anche uomini insigni per santità allora le riprovarono severamente?

Il testo del pontefice mostra la conformità del poeta con la rivelazione divina; Dante è cristiano e ha cantato gli ideali cristiani, da cui l’esortazione ai giovani ad accostarsi frequentemente a questo genio italico ricavando alimento per la vita cristiana.

Anche papa Pio XI, Ambrogio Ratti (1922-1939), cultore della Divina Commedia e prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, si fa promotore di iniziative dantesche potenziando la ricerca e l’acquisto di testi e studi relativi al poeta toscano. La sua esegesi dantesca sarà caratterizzata ancora una volta dall’affermazione categorica della cattolicità di Dante nonché dall’analisi della politica “concordataria” tra Stato e Chiesa. Il vicario di Cristo, nella visione dantesca del pontefice, rappresenta quel potere terreno che viene superato solo da Dio secondo un piano provvidenziale che vede al centro la romanità, per cui Roma è la città di Dio e la città del papa. L’auspicio di Dante, già delineato nel De monarchia, viene ripreso con altissimi versi nel Purgatorio: Soleva Roma, che ‘l buon mondo feo, /due soli aver, che l’una e l’altra strada/facean vedere, e del mondo e di Deo.16

Con Pio XII, stretto collaboratore di Pio XI, l’interesse per Dante diviene sempre più forte e articolato. Papa Pacelli, sul soglio pontificio dal 1939 al 1958, trova nell’umanesimo cristiano del poeta fiorentino una grande ricchezza teologica che, sulla scia di Agostino ma soprattutto di Tommaso, trova il suo alimento principale nell’indagine della natura. La scienza, infatti, in accordo con la Ragione, viene ritenuta un mezzo per raggiungere quella verità, che si concretizza nell’adorazione mistica del Paradiso. Sono proprio le leggi della natura, come aveva insegnato Galilei, il fondamento da cui iniziare un itinerario verso Dio, così come Dante dimostra, e così come emerge nell’enciclica Humani generis di Pio XII.17 Da tale consapevolezza scaturisce il ruolo fondante del cristiano nella società.

Papa Roncalli, Giovanni XXIII, frequenta per quattro anni la Cattedra di studi danteschi, ricoperta dal francescano Stefano Ignudi;18 in vari interventi del suo magistero approfondisce l’aspetto teologico e il cristocentrismo della Commedia. Per merito suo la Chiesa si prepara all’avvento di un Concilio che si pone come obiettivo la modernizzazione dell’uomo e del cristiano e che vede nell’impegno pastorale dei laici una risorsa fondamentale per scrivere una pagina nuova e segnare una svolta nel mondo ecclesiastico. In tutto ciò Dante e il suo esempio rivestono per il Pontefice una fonte inesauribile a cui attingere a piene mani.

3- Paolo VI cultore di letteratura: qualche cenno.

Sin dalla giovinezza Papa Montini univa alle letture religiose quelle letterarie, sia italiane che europee (in particolar modo francesi), in quanto credeva in una letteratura di valori, utile per la formazione dell’uomo. A Brescia, sua città natale, l’ambiente culturale del primo Novecento era attraversato da una cultura cattolico-liberale d’impronta risorgimentale. I poeti e gli scrittori nazionali maggiormente frequentati erano quelli patriottici (Goffredo Mameli, Luigi Mercantini, Giovanni Prati), gli autori di romanzi storici e memorialistici (Tommaso Grossi, Silvio Pellico, Massimo D’Azeglio) e in generale la letteratura romantica per l’attitudine che essa aveva di valorizzare la realtà interiore dell’individuo e per il suo impegno non decorativo o accademico ma carico di sentimento e libertà. Una presenza fondamentale nella formazione del giovane Montini fu quella di Alessandro Manzoni e delle sue Osservazioni sulla morale cattolica, un’opera pedagogica divenuta abito mentale della borghesia lombarda per le sue aspirazioni ad uno sviluppo cristiano e razionale della società, fondata su una morale che aveva rivelato l’uomo all’uomo,19concetto chiave ripreso dal Vaticano II nella Gaudium et Spes.20 Grande interesse il papa manifestò sempre per I promessi sposi definendoli:
[…] il naturale sbocco della cristiana meditazione sull’esistenza […] una consolazione per l’umanità e per gli umili, che sembrano destinati a restar fuori dalla storia, mentre per la loro fede e la loro sanità morale ne sono la base e il fermento.21

Il risorgimento religioso presente nel romanzo manzoniano diventava quindi metafora del risorgimento italiano e della difesa della libertà umana sia individuale che nazionale. Progetti di rigenerazione politica, sociale e civile riscontrava anche in Giacomo Leopardi, anche se una forte inquietudine interiore caratterizzava le poesie e il pensiero del recanatese, ma Montini ne apprezzava l’ansia di ricerca, la prova del dolore, la sete d’infinito e d’eterno. Sul pessimismo così si esprimeva:

[I pessimisti] vogliono sperimentare la teoria al fuoco della sensibilità, della sofferenza. E trovano che questa ha ragione di quella. E, sotto un certo aspetto, non c’è nulla da obiettare sul metodo usato: è umano. Nulla anche per le conclusioni a cui arrivano: l’idea era fallace, ed è bene che il dolore l’abbia umiliata, e le abbia bruciato, alla fiamma d’una triste e talora perversa verità, le sue ali utopistiche.22

La stessa ammirazione non poteva avere per gli scritti di D’Annunzio perché non amava la letteratura priva di una dimensione etica. Condivise pertanto la condanna del Sant’Uffizio verso le opere dell’abruzzese, cercando però di mantenere sempre prudenza nei giudizi. Amava invece Giuseppe Ungaretti, poeta della gioia e del dolore universale, l’uomo che aveva conosciuto l’uomo, l’uomo che riusciva a scrutare il porto sepolto di ogni cuore ricavandone la speranza della luce. Rispettava inoltre la concezione poetica di Eugenio Montale e si lasciava attrarre dalla crisi esistenziale del poeta e dalla sua ricerca di senso. Il poeta ligure agli occhi di Montini era il poeta della debolezza umana, della contingenza, ma anche il cantore della grandiosità del creato e del suo miracoloso trasformarsi. Altri poeti presenti nella cultura montiniana erano Salvatore Quasimodo, traduttore del Vangelo di san Giovanni,23 Clemente Rebora che dedicò al pontefice Gesù il fedele,24 Davide Maria Turoldo, autore di una commossa palinodia pronunciata in mortem del papa. E poi ancora: Prezzolini, Fabbri, Luzi, Testori, Buzzati, Pomilio, Bacchelli, Pasolini e molti altri.25 Da buon cultore delle lettere papa Paolo VI cercherà nel suo pontificato di avvicinare il mondo della cultura alla Chiesa. Ogni letterato per Montini ha il seme della bellezza, anche colui che si è inoltrato in un cammino diverso. L’umanità vive di emozioni, di sogni e di una libertà dialogante e costruttiva. La letteratura svolge questa nobile funzione e Dante Alighieri è per il Nostro il cantore dell’uomo nuovo, che attraverso l’esperienza del peccato rinasce a nuova vita e s’incammina deciso verso Dio.

4 – Paolo VI e Dante

Già nel 1956 in un discorso di Indirizzo agli scrittori Paolo VI così li esortava esprimendo allo stesso tempo il suo pensiero sulla letteratura:
[…] non abbiate paura a mettere nei vostri scritti, anche narrativi, anche divertenti, anche capricciosi, delle grandi tesi sopra la realtà della vita […] Guardate dov’è la grande letteratura e troverete grandi tesi ricorrenti dalla tragedia greca al nostro Manzoni, al nostro Alighieri […] Perché tutte le volte che accosterete le grandi leggi dell’universo, i grandi problemi spirituali, allora sentirete la vostra energia di scrittori moltiplicata, sentirete non soltanto quello che si può chiamare l’ispirazione, il momento di grazia naturale, ma quello che vi auguro, il momento di ispirazione e di grazia soprannaturale. 26

Di tale grazia papa Montini vedeva impregnata la Commedia dantesca e durante il suo pontificato (1963-1978) si fa promotore di scritti e attività riguardanti il poeta fiorentino. Per sua volontà il 19 settembre 1965 dona alla Chiesa di san Francesco a Ravenna una croce d’oro per rendere onore alla sepoltura dello scrittore e il 14 novembre una croce d’alloro al Battistero di san Giovanni a Firenze, riparando il rifiuto dei concittadini di incoronare Dante come avrebbe meritato. Il pontefice istituisce pure una Cattedra dantesca, con intento filologico, presso l’Università Cattolica di Milano affidandone il compito al Rettore Ezio Franceschini. Ricordiamo le parole attribuite in quell’occasione a Dante definito:

sintesi di umana saggezza e di religiosa sincerità; sintesi di elevata civiltà letteraria e artistica, e di sofferta autenticità di preghiera e di ricerca di Dio; sintesi di zelo, di libertà e di amore alla Chiesa.27

Del 1965 è invece la Lettera apostolica Altissimi cantus28 dedicata a Dante in occasione del settimo centenario della nascita e in coincidenza con la chiusura del Concilio Vaticano II. Essa in 68 paragrafi viene pubblicata il 7 dicembre, festività di sant’Ambrogio. La scelta non è casuale, dal momento che il Vescovo di Milano, lettore appassionato di Virgilio, rappresentava per la Chiesa un anello di congiunzione tra mondo classico e cristianesimo e Paolo VI vedeva in Ambrogio un cantore dell’umanesimo cristiano prima dell’Alighieri. Nel giorno conclusivo del Concilio il papa fa avere ai padri conciliari una copia della Commedia con una dedica in latino: Divini poematis vatis summi vereque oecumenici/Quod veritatem nos tam extollentem Mirus mire concinit.29

Nella Lettera letteratura e teologia convivono in una significativa congiunzione, una mutua alleanza,30 voluta dal papa, assertore della Commedia come tramite ideale che potesse avvicinare Cristo all’uomo contemporaneo. La letteratura, e nella fattispecie la poesia, si apre –secondo il pontefice, sulla scia di autorevoli dantisti31 – alle vantaggiose relazioni con la modernità e quella di Dante assume una funzione centrale nel cammino della conoscenza. I versi del Divin Poema sono un sostegno alla fede e segnano uno spirituale incontro tra l’umanesimo cristiano e l’umanesimo universale; in sintesi, essi costituiscono l’enchiridion del buon cristiano. All’amico J. Guitton papa Montini così sintetizzava la solidità delle fonti del pensiero dantesco:

le idee di Platone, la sintesi aristotelica, la singolare intuizione agostiniana della storia (come il fluire del tempo, la ricapitolazione operata da san Tommaso […] il fervore di san Bonaventura, l’ardore di san Domenico, l’avvento puro di san Francesco d’Assisi, la tenerezza ascetica e regale di san Bernardo, le bizzarre profezie di Gioacchino da Fiore.32

Dalle fonti suddette Dante ricava una poesia sublime, ontologica per eccellenza, un atto supremo dell’anima che invita l’uomo ad alzare lo sguardo, a puntare all’essenziale su cui spesso fa silenzio la società contemporanea; una poesia che per papa Montini assume una dimensione epifanica, rivelatrice, per cui il poeta è mistagogo, sacerdote, che sa introdurre nel santuario dell’arte poetica, oltre ad essere psicagogo nel suo condurre gli animi là dove si era proposto.33 L’umanesimo di Dante, di conseguenza, è strumento di elevazione spirituale, che non annulla il finito ma lo esalta, un umanesimo che, sulla scorta delle Metamorfosi ovidiane (lettura cara al pontefice), invita al rinnovamento, a quella renovatio che Dante concretizza nel suo viaggio dal castigo al premio fino a giungere all’immortalità. Un umanesimo, inoltre, ecumenico, che si avvale dell’alterità e si protende verso il soprannaturale, verso la realizzazione di una Civitas Dei, che l’uomo riscopre raggiungibile pur tra le debolezze della sua umanità. Paolo VI spiega così l’ecumenicità della Commedia:

Egli merita […] il titolo di poeta appartenente a tutte le genti, o ecumenico […] Il poema di Dante è universale: nella sua immensa larghezza abbraccia cielo e terra, eternità e tempo, i misteri di Dio e le vicende degli uomini, la dottrina sacra e le discipline profane […] e le memorie della storia, l’età in cui visse, e le antichità greche e romane; insomma costituisce evidentemente il monumento più rappresentativo del Medioevo.34

Nel poeta fiorentino, secondo il papa, si concentrano insieme le qualità del poeta, del teologo nonché del filosofo, dell’esperto di Scrittura, e poi ancora del musico, dell’artista; in sintesi, Dante possiede tutti quei talenti che lo proclamano nei secoli auctoritas fidei, speculum Dei, a tal punto da meritare appellativi quali onore del nome cattolico, cantore ecumenico, e educatore del genere umano.35

In base a tali virtù teologiche e artistiche Dante nell’interpretazione montiniana non è precursore del laicismo, come in molti ambienti si era pensato, ma un poeta che ha affermato la sua cattolicità36 e l’unicità di Roma, pertanto la sua indignatio verso i papi corrotti, lontani dal vero messaggio evangelico (celebri le invettive contro Adriano V, Niccolò III, Bonifacio VIII, Clemente V, Giovanni XXII) è l’espressione del disagio dell’uomo virtuoso che vede offuscare la luce nel cammino del buon cristiano a vantaggio delle tenebre sociali e politiche. Anzi Dante, secondo Paolo VI, può essere considerato un autorevole garante dell’incontro tra cultura laica ed ecclesiastica, tra religioso e sociale, tra umano e divino. Così si esprime il pontefice:

Dante Alighieri è nostro per un diritto speciale: nostro, cioè della religione cattolica […] nostro perché amò molto la Chiesa, di cui cantò gli onori; nostro perché riconobbe e venerò nel Romano Pontefice il Vicario di Cristo in terra. […] Conosciamo bene infatti quanta e quale fu l’amarezza del suo animo, amarezza che fu tale da non risparmiare ben più duri rimproveri alla sua patria dilettissima, Firenze. Senza dubbio bisogna concedere alla sua arte e alla sua passione politica, soprattutto perché riprende vizi deplorevoli, una benigna indulgenza, che il compito di giudice e di correttore che egli rivendica a sé gli concilia.37

La stessa visione politica ha di conseguenza una forte dimensione etica, dalla quale non si può prescindere per realizzare un buon governo:
La Chiesa e l’Impero sono stati ordinati da Dio perché conducano gli uomini a conseguire la felicità […] e farla fruttificare […] far trionfare la giustizia e annientare l’avidità, che è causa di disordini e di guerre38

La vera politica richiede una costruzione morale non a vantaggio di una generica armonia o di un Dio astratto, come quello dei filosofi, ma del raggiungimento dell’unico Dio cristiano. Il vertice è così costituito non tanto dalla Chiesa o dall’Impero quanto da una persona viva, una presenza cristocentrica ed escatologica, una prospettiva indicante una Chiesa in cammino e una comunità civile che non escluda nessuno e si orienti verso quella perfezione che si raggiunge solo nell’accostarsi alla luce della fede.

La Divina Commedia – prosegue il papa – è un esempio di catarsi, una prospettiva di eternità un trasumanare verso la beatitudine con un impegno etico ed ecumenico. La poesia dantesca, incurante di ogni limite temporale, si avvale dell’intuizione, della purezza, dell’ispirazione e in quanto tale riduce ma non esclude la forza della logica, ma si manifesta come alterità ad essa. Su queste basi, l’ascesa verso Dio per L’Alighieri è:
epos di vita interiore, epos di grazia celeste, epos di viva esperienza mistica, di virtù multiforme; diventa teologia della mente e teologia del cuore.39

Per Paolo VI, in ultima analisi, la poesia dantesca è in possesso di una coscienza gnoseologica, che testimonia la vocazione umana alla verità e alla ricerca di senso, una poesia “inquieta”, nel senso di “questionante”, in direzione di un legame e di una stabilità per ogni uomo viator. Per tutte queste ragioni Dante è definito ancora una volta:
genio italico […] sintesi di umana saggezza e di religiosa sincerità; sintesi di elevata civiltà letteraria e artistica, e di sofferta autenticità di preghiera e di ricerca di Dio; sintesi di zelo, di libertà e di amore alla Chiesa.40

La Divina Commedia offre un linguaggio composito e funzionale, per una predicazione concreta al servizio dell’uomo. Ogni verso, ogni metafora o simbolo o allegoria, ricavati dalle tre cantiche, apre allo spiritus veritatis, anche se porta con sé i caratteri della tensione, della fatica e del dolore, La parola dell’Alighieri con l’intreccio di una frequente connexio oppositorum profetizza, secondo Paolo VI, la moderna inquietudine novecentesca, che è del resto l’inquietudine universale insita in ogni uomo. E in ciò consiste l’attualità del poeta, nel possesso di un respiro profondo che procede integro fino alla contemporaneità. La Commedia si offre all’uomo come via per una somma conoscenza, una direzione orientativa, una bussola per approdare a quel versante invisibile della realtà, che costituisce in ultimo il nucleo vitale dell’esistenza. Attraverso quest’opera letteratura e arte e teologia percorrono un analogo cammino verso un nuovo umanesimo, come via verso l’eterno, come testimonianza dell’esperienza dello spirito e ricerca della totalità dell’Assoluto; una poesia che mette l’uomo al riparo dalle illusioni del progresso economico e tecnologico, lo protegge dal regresso spirituale e privilegia quell’umanità che può trovarsi nel buio del tunnel,41 ma all’uscita da esso scorgere la vita rischiarata da senso e valore.42


1. Sull’argomento si veda, tra gli altri, A. Vallone, La critica dantesca nell’Ottocento, Olschki, Firenze 1975.
2. Sulle opere teologico-letterarie dei suddetti teologi si veda F.D. Tosto, La letteratura e il sacro I, Storia-Fonti-Metodi, ESI, Napoli 2009. Sul rapporto tra letteratura e teologia in epoca più recente: Parole e Parola. Letteratura e teologia, a cura di P. Sequeri, Glossa, Milano 2016; M. Ballarini, Teologia e letteratura, Morcelliana, Brescia 2015; Id., Lo spirito e le lettere I, Da san Francesco a Petrarca, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2015; ID., Lo spirito e le lettere II, Dal Boccaccio al Novecento, 2016; C.I. Avenatti, Letteratura: un’importante mediazione ermeneutica per la teologia in “Concilium”, anno VIII, fasc. V (2017), 38-48.
3.  Gaudium et spes, 62, in I documenti del Concilio Vaticano II. Costituzioni-Decreti-Dichiarazioni, Giunti, Milano 1987, 287-288.
4. Paolo VI, Omelia agli artisti, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1964.
5. Cfr. J. Guitton, Dialoghi con Paolo VI, Mondadori, Milano 1967, 240.
6. Dante, Inferno, XI, v. 105.
7. Paolo VI, Omelia, cit., 316.
8. Giovanni Paolo II Lettera agli artisti, in “Il Regno-Documenti” 1/98, XLIII, n. 806, 38-46.
9. Ricordiamo il suo Trittico romano. Meditazioni, Bompiani, Torino 2011.
10. Agostino, De trinitate, I, 7, a cura di G. Catapano-B. Cillerai, Bompiani, Torino 2012, 24.
11. In questi ultimi anni la dimensione religiosa della letteratura e il dialogo tra arte, letteratura e teologia è al centro di varie pubblicazioni, come testimoniano: A. Spadaro, A che cosa serve la letteratura, Elledici, Roma-Leumann 2002; Id., Abitare nella possibilità. L’esperienza della letteratura, Jaca Book, Milano 2008; E. Noè Girardi, Letteratura italiana e religione negli ultimi due secoli, Jaca Book, Milano 2008; P. Boitani, Letteratura e verità, Studium, Roma 2013; M. Naro, Sorprendersi dell’uomo. Domande radicali ed ermeneutica cristiana della letteratura, Cittadella editrice, Assisi 2012; E. Gioanola, La malattia dell’altrove, Jaca Book, Milano 2013; P. Citati, La malattia dell’infinito. La letteratura del Novecento, Mondadori, Milano 2014; F.D.Tosto, La letteratura e il sacro, 5 voll., I-II-III, ESI, Napoli 2009-2011 e voll. IV-V, Bastogi, Roma 2016; Id., Letteratura in dialogo. Incroci tra produzione letteraria e scienze dell’uomo, Bastogi, Roma 2019. E sui rapporti tra letteratura e Sacra Scrittura segnaliamo: P. Gibellini, La Bibbia nella letteratura itaiana, voll. 6, Morcelliana, Brescia 2009-2017; S. Bonati-S. Fontana, Bibbia e letteratura, Claudiana/Emi, Torino-Bologna 2014; M. Naro (ed.), Mi metto la mano sulla bocca, echi sapienziali nella letteratura italiana contemporanea, CittàNuova, Roma 2014; V. Arnone, Bibbia e letteratura, Studium, Roma 2015.
12. Sull’attenzione dei pontefici nei riguardi di Dante si veda: V. Merla, Papi che leggono Dante. La ricezione dantesca del magistero pontificio da Leone XIII a Benedetto XVI, Stilo editrice, Bari 2018; G. Ravasi, Dante e i Papi: Vangelo in poesia, in “Avvenire”, 5 dicembre 2015.
13. Su Leone XIII e Dante si leggano le pagine di L. Fava Guzzetta, Leone XIII, Dante, “Monarchia”, in Dante e i papi. Atti della giornata di studi danteschi, a cura di L. Fava Guzzetta, G. Di Paola Dollorenzo e G. Pettinari, Quaderni della Lumsa, Studium, Roma 2009, 65-74. Molto utili per una quadratura della teologia dantesca ad opera di G. Fallani si vedano: Poesia e teologia nella Divina Commedia, Marzorati, Milano 1959; Dante poeta teologo, Marzorati, Milano 1965; L’esperienza teologica di Dante, Milella, Lecce 1976.
14. Benedetto XV, Epistola Nobis ad catholicam, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2006.
15. Benedetto XV, Enciclica In praeclara Summorum, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2006. Da questa edizione citiamo il brano di seguito nel testo.
16. Pg, XVI, 106-108.
17. Il testo nella stesura latina in w2.vatican.va; in italiano si veda l’edizione di Amicizia cristiana, Chieti 2008. Si leggano pure gli Atti e discorsi di Pio XII, SAS, voll. 8, Roma 1947.
18. Se ne ha notizia in A. Roncalli, Il giornale dell’Anima e altri scritti di pietà, a cura di Loris F. Capovilla, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2000.
19. Cfr. A. Manzoni, Osservazioni sulla morale cattolica, a cura di U. Colombo, Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1986, 36.
20. Paolo VI recupera l’espressione manzoniana affermando che Cristo “svela pienamente l’uomo all’uomo” (hominem ipsi homini plene manifestat).
21. Messaggio di Paolo VI nel I centenario della morte di Alessandro Manzoni, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1973.
22. Cfr. G.B. Montini, Colloqui religiosi, Istituto Paolo VI-Studium, Brescia-Roma 1981, 54.
23. Gentile, Milano 1946.
24. Scheiwiller, Milano 1956.
25. Per una panoramica completa dell’argomento si veda: F. Lanza, Paolo VI e gli scrittori, Istituto Paolo VI-Studium, Brescia-Roma 1994.
26. Cfr. Indirizzo agli scrittori in Giovanni Battista Montini, Discorsi milanesi, VOL. III, a cura di G.E. Manzoni, Studium, Roma 1997, 972-976.
27. Cfr. Insegnamenti di Paolo VI, 4, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1972, 461-462.
28. Paolo VI, Il Signore dell’altissimo canto, www. Totustuusools.net/magistero. Per il testo latino si veda Acta apostolicae sedis, LVIII, Tipografia poliglotta vaticana, Roma 1966, 22-37.
29. In J. Guitton, Dialoghi con Paolo VI, Rusconi, Milano 1986 si trova la seguente traduzione della dedica: Del divino poema di un poeta sommo e veramente ecumenico perché la verità che tanto ci esalta quest’uomo mirabile cantò.
30. Altissimi cantus, 59.
31. Paolo VI forma la sua preparazione dantesca sulle opere di K. Vossler, E. Auerbach, L. Pietrobono, P. Nardi, M. Apollonio.
32. J. Guitton, Dialoghi, cit., 150-151.
33. Altissimi cantus, 43; 47.
34. Altissimi cantus, 63.
35. Ibidem.
36. Sul cattolicesimo di Dante si veda M. Scotti, Sulla ricezione cattolica di Dante, “Il Veltro” 51, 1-2, 2007, 27-45.
37. Altissimi cantus, 9-10.
38. Altissimi cantus, 47-49.
39. Altissimi cantus, 20.
40. Insegnamenti di Paolo VI, 4, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1966, 46.
41. Cfr. F. Castelli, All’uscita del tunnel. Panoramiche religiose dell’odierna letteratura, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009.
42. Tra i commenti più significativi alla Lettera del papa si veda Dante e i Papi. “Altissimi cantus”: riflessioni a 40 anni dalla Lettera Apostolica di Paolo VI. Atti della giornata di studi danteschi, a cura di L. Fava Guzzetta, G. Di Paola Dollorenzo, G. Pettinari, Studium, Roma 2009.