Il futuro della memoria

Alessandro Giovanardi
Alessandro Giovanardi

John Lindsay Opie, in memoriam

John Newton Lindsay Opie (Washington DC 1° ottobre 1928- Roma 3 maggio 2021), anglista, indologo, bizantinista, uomo di eleganza e carisma fuori dall’ordinario, è stato il massimo conoscitore dell’icona russa nel mondo accademico italiano. Così lo descrive nel 1976 una pagina di quotidiano: «Alto, dinoccolato, sempre affabile e sorridente, John Lindsay Opie è di antica famiglia inglese. I suoi avi si trasferirono in America nella Virginia intorno al XVII secolo.

Il leggendario comandante dei confederati, il generale Lee è un suo antenato. Suo padre era un ammiraglio della marina americana». Dopo gli studi umanistici al Saint John College, nel Maryland, di Annapolis, ai cui corsi universitari viene ammesso eccezionalmente fin dal tredicesimo anno di età, seguendo il celebre “Great Books Program in Classic and Philosophy”, ideato da Schott Buchanan, il più noto filosofo ed educatore statunitense a cui dedicherà uno smagliante ritratto, proseguirà la sua formazione alla Columbia University, specializzandosi in letterature comparate e studiando Dante con Dino Bigongiari e storia dell’arte con Rensselaer Lee.

Nel 1949 giunge in Italia, con la borsa di studio Fullbright, ed elegge Roma a nuova patria, malgrado i suoi continui spostamenti in Europa e nel mondo orientale (Ceylon, India, Russia). Frequenta come discepolo irregolare Bernard Berenson ai “Tatti”, studia iconografia con Evelyn Sandberg Vavalà e iconologia con Erwin Panofsky. Insegna letteratura inglese e storia dell’arte medievale negli Atenei di Catania, Genova, Roma (La Sapienza), divenendo poi titolare della cattedra di Storia dell’arte bizantina a Roma-Tre.

A Catania conosce Elémire Zolla (Torino 1926-Montepulciano 2002), alla cui rivista «Conoscenza Religiosa» collabora per diversi anni, stringendo un’amicizia delicatissima e profonda con la poetessa e studiosa Cristina Campo (Vittoria Guerrini, Bologna 1923-Roma 1977). Lo stretto rapporto con la scrittrice e la conoscenza sempre più approfondita della comune amica, la principessa russa transfuga in Italia, Varvara Dolgoruki, lo porterà a una decisa conversione religiosa e a chiedere di essere ammesso alla Chiesa Ortodossa Russa in Esilio; negli ultimi tempi passerà, tuttavia, al Patriarcato di Costantinopoli, decidendo di farsi battezzare al Monte Athos, luogo prediletto, con Gerusalemme, dei suoi cammini e dei suoi ritiri spirituali.

Viaggiatore instancabile, alla ricerca dei luoghi del sacro e della loro aura, è stato protagonista dei reportages fotografici, in Grecia e a Ceylon, del canadese Roloff Beny. Alla sua cura scientifica e collaborazione dobbiamo il Museo delle Icone Russe di Palazzo Montanari a Vicenza (Gallerie d’Italia di Intesa-San Paolo), una delle più qualificate collezioni d’immagini sacre d’Europa e i suoi molti e preziosi cataloghi.

Negli ultimi vent’anni ha contribuito all’elaborazione culturale del Museo delle Icone Russe “Francesco Bigazzi” di Peccioli (Pisa), partecipando all’attività scientifica ed editoriale. Dal 1980 i suoi studi critici hanno individuato il proprium di una vera Scuola Greco-Albanese di Sicilia, o meglio di una Scuola Siculo-Cretese, attiva in Italia per secoli dopo la caduta di Costantinopoli, fino ad allora sconosciuta come tale nell’ambito dell’icona post-bizantina.

Da sempre la sua metodologia critica, forgiata sul modello di Ananda Kentish Coomaraswamy, Stella Kramrisch, Seyyed Hossein Nasr e, in particolar modo, di Pavel Alexandrovič Florenskij (a Lindsay Opie si deve la prima traduzione in inglese dello scritto L’icona) si è costruita come superamento delle categorie tradizionali della storia dell’arte ch’egli ha comunque frequentato con acribia e sobrietà anglosassoni (filologia stilistica, ricerche documentarie, connoisseurship), in un confronto più serrato con la storia delle religioni, l’antropologia culturale, l’iconologia, la semiologia e, soprattutto, la simbologia (Florenskij, Henri Corbin), valorizzando la dimensione filosofico-metafisica universale e quella teologica peculiare dell’opera d’arte sacra.

Lindsay Opie ha infine difeso strenuamente la realtà “esoterica” delle arti rituali, soprattutto cristiane, intendendo il termine in senso platonico e patristico, come iniziazione al mistero sacramentale, cioè come “mistagogia”, irriducibile alla realtà sentimentale o devozionale che costituirebbe solo la superficie dell’opera d’arte.

L’attenzione per la cultura filosofica e artistica dell’India – così come per quella del Tibet, della Cina, del Giappone – non si è mai eclissata sull’orizzonte intellettuale dello studioso e non solo come pietra di paragone necessaria alla comprensione della stessa arte bizantina: fine conoscitore di culture asiatiche, Lindsay Opie è intervenuto in merito alle tradizioni musicali, ma anche teatrali e coreutiche tradizionali orientali, negli eventi tenutisi a Roma e Parigi all’inizio degli anni Ottanta, scrivendo una serie di recensioni precise ed efficaci, pubblicate sull’«Internetional Herald Tribune», il «Daily American» e l’«International Daily News».

Più rari ma non meno importanti i suoi affondi sull’opera di Jorge Luis Borges, Flannery O’Connor, Cristina Campo. A quest’ultima si deve la traduzione della lettera scritta dallo storico dell’arte ad Alexandr Isaevič Solženicyn – in replica a quella inviata dallo scrittore al III Concilio della Chiesa Russa in Esilio – e superbamente tradotta dalla poetessa. Si tratta, probabilmente, del capolavoro letterario di Lindsay Opie: un accurato pamphlet anti-moderno e insieme un’efficace sintesi del suo pensiero estetico-sacrale che, a tratti, rammenta le tinte apocalittiche di certa letteratura russa.

Breve nota bibliografica

John Lindsay Opie, Nel mondo delle Icone. Dall’India a Bisanzio, a cura e con saggio introduttivo di Alessandro Giovanardi, prefazione di Bruno Toscano, Jaca Book, Milano 2014.

John Lindsay Opie, Le icone menologiche e la metamorfosi del tempo, in Raffigurare il tempo. Le icone dei mesi nella tradizione russa, catalogo della mostra di Vicenza, Intesa Sanpaolo, 2007, pp. 9-20.

John Lindsay Opie, Agnus Dei, in «Ecclesiae Urbis». Atti del Congresso Internazionale di studi sulle Chiese di Roma, Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, Città del Vaticano 2002, pp. 1813-1840.

John Lindsay Opie, The Trinity in Rublëv’s «Icon of the Holy Trinity» in Sante Graciotti (a cura di), Il mondo e il sovra-mondo dell’Icona, introduzione di Massimo Cacciari, Olschki, Firenze 1998, pp. 197-209.

Roloff Beny-John Lindsay Opie, Island Ceylon, Thames & Hudson, London 1971.

Roloff Beny-John Lindsay Opie, A Time of Gods, Thames & Hudson, London 1962; ed. it., Al tempo degli Dei. Un fotografo sulle orme di Ulisse, Electa, Milano 1962.

Alessandro Giovanardi, John Lindsay Opie, estetica simbolica ed esperienza del sacro. Un ritratto intellettuale, prefazione di Boris Uspenskij, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2011 (con bibliografia pressoché completa).