G De SimoneGiuseppina De Simone

 

Living beauty means not only recognizing it, but getting involved in it, being deeply touched in feeling, questioning. The experience of beauty is a being present to oneself and to the world; it is a principle that moves the su bject towards a transformation of his own life and of the real. Beauty speaks of God and for this reason it always escapes any attempt at domination. It is a force that guides the human soul to discover the value of gratuitousness , the importance of diversity and the web of interconnections of which reality is made; the human as a place of infinity, the power of rootedness and the capacity fo prophetic vision.

Si potrebbe declinare questo interrogativo muovendo da altri più radicali: perché vivere la bellezza oggi? E cosa vuol dire “vivere la bellezza”? Che cosa c’è dentro questa espressione?
La bellezza chiede di essere vissuta. Questa è la prima fondamentale considerazione da porre. La bellezza non ha bisogno semplicemente o unicamente di essere avvertita, riconosciuta, attestata: ha bisogno di essere assunta in un’adesione esistenziale che ne fa la forma del nostro vivere.
La bellezza si offre a noi come ciò che fa vibrare le corde più profonde del nostro sentire. Ci viene incontro. Ci interpella. E soprattutto ci coinvolge. Non si può parlare della bellezza come qualcosa che è davanti a noi quale immagine o dato. Nel momento stesso in cui l’avvertiamo, la bellezza entra in noi e ci coinvolge.

La contemplazione della bellezza non ha nulla di statico, anche se ci si può immaginare immobili dinanzi a un paesaggio, a un’opera d’arte, a una scena di vita quotidiana. Lo stare fermi dice qui un agire che è azione nel senso più pieno e più propriamente umano. È l’agire che non è fuori di me, nella continua esteriorizzazione a cui il sistema costringe nel bombardamento del nucleo interiore della persona, e non è neppure la fuga dal reale, il rifugiarsi nello spazio nascosto di una interiorità asfittica e consolatoria. Vivere la bellezza, lasciarsene toccare, vuol dire lasciare che tutto il proprio essere sia come messo in movimento, si sporga in avanti e oltre, ma in un concentrarsi e raccogliersi in cui è tutta la persona, in tutte le sue relazioni, e in cui cade ogni separazione tra mondo interiore e ciò che solo apparentemente è fuori di noi. Nell’esperienza della bellezza il soggetto è presente a se stesso, ricondotto a sé con tutto il suo mondo, ed è implicato in un agire che non si dà fuori di lui o senza di lui. La bellezza, nel suo venirci incontro, ci attraversa, chiede un raccogliersi che è un aprirsi più profondo, un fermarsi che è “muovere verso”, un silenzio che è parola.

Un principio di trasformazione del reale

Per questo la bellezza è rivoluzionaria. È il vero principio di trasformazione del reale. Lo sanno quanti ne hanno esaltato la forza nella coincidenza con il bene e il vero, come è nella filosofia classica. E lo sa chi in ambito teologico fa appello al suo splendore per dire della rivelazione di Dio. Ma lo sa anche la Scrittura che invita alla contemplazione del bello come contemplazione dell’agire di Dio da avvertire e gustare interiormente («gustate e vedete come è buono il Signore» Salmo 33 ) e che riconosce in Gesù di Nazareth “il più bello tra i figli dell’uomo” di cui parla il Salmo 44. Basta pensare al racconto della trasfigurazione per cogliere quanta forza ed eloquenza ci sia nella bellezza e quanto essa sia strettamente legata al “dirsi” di Dio, al rivelarsi per noi della salvezza che viene da Lui e che in Lui ci è data: compimento della creazione nel compimento dell’umano.
Ma la forza rivoluzionaria della bellezza non è sconosciuta neppure a quanti tentano di soffocarla, negarla, o peggio ancora neutralizzarla.
Non è sconosciuta a quanti hanno messo in guardia da essa come da una tentazione che allontana dalla purezza di una fede che implicherebbe la rinuncia a tutto ciò che rende bella la vita, in nome di una totale sottomissione a Dio: un Dio sovrano e austero, così trascendente e così potente da essere potentemente disumanizzante. Gli ascetismi esasperati e ricorrenti di ogni fede, paradossalmente anche di quella cristiana, vanno in questa direzione.

Non è sconosciuta la forza della bellezza a quanti hanno cercato e cercano di asservirla all’affermazione di un sistema di potere. A quanti ne hanno fatto o ne fanno un motivo di esibizione di se stessi e del proprio prestigio. A quanti la vendono, la producono a buon mercato riducendola a un luccichio da vetrina o da cartellone pubblicitario. A quanti la promettono incessantemente come un bene da consumo o come ciò che rende appetibile, desiderabile quanto il mercato propone come essenziale al nostro vivere.
Non è sconosciuta la forza della bellezza a quelli che la negano calpestandola distruggendola sistematicamente nella rapina senza senso di cui è fatto oggetto l’ambiente, nella spazzatura che invade le città come le strade di campagna e di periferia, nell’assoluta trascuranza di ogni criterio di armonia per la costruzione degli spazi di vita personale o della vita comune, nella volgarità del linguaggio o degli atteggiamenti, nella violenza esasperata delle parole e delle azioni senza volto di chi solo nella contrapposizione riesce a darsi una identità.

Una irriducibile trascendenza

Ma la vera bellezza sfugge a queste dinamiche di negazione così come alle logiche di funzionalizzazione.
La bellezza riaffiora anche lì dove è sistematicamente negata. Sporge oltre ogni tentativo di ingabbiarla, di usarla, di identificarla con una parte, un interesse particolare, una logica di potere.
È irriducibilmente trascendente ed è ciò che tiene aperto lo sguardo e l’umana esperienza oltre ogni ritornante tentazione di appiattimento: quelle che derivano dalla paura di cui l’ignoranza si fa complice, come quelle di un sistema che promette sicurezza e benessere a quanti in esso si muovono.
La bellezza è tessuta di gratuità per questo è inafferrabile e sostanzialmente indistruttibile. Si sottrae ai nostri tentativi di determinarla, controllarla, gestirla. È affidata alle nostre mani, dipende per così dire da noi, dalle scelte dai comportamenti e dalle azioni di cui siamo capaci. Ma su di essa non possiamo esercitare in realtà alcun dominio. È da essa piuttosto che ci avvertiamo condotti. È una di quelle che Giuseppe Capograssi, fine giurista e filosofo del Novecento, chiama «segrete e profonde preferenze dell’animo umano», tali che non possiamo strapparle da noi senza svilire e distruggere la nostra stessa umanità.
Fragile e persistente la bellezza è molteplice e sempre nuova. E se necessariamente richiede la definizione di canoni e la determinazione di criteri, altrettanto necessariamente spezza ogni loro rigidità perché non coincide con nessuna forma specifica tanto da identificarsi totalmente con essa. Per questo la bellezza può generare infinite forme e in ciascuna risplendere in maniera unica.

“Vivere la bellezza oggi” vuol dire allora ritrovare in essa la forza irriducibile della trascendenza, l’energia trasformatrice della gratuità che non si lascia a nulla asservire, la ricchezza infinita della diversità che nessuno schema riesce a contenere e ridurre. “Vivere la bellezza oggi” vuol dire scoprire il senso e il valore di una esistenza che si fa coesistenza nella unicità della forma di ciascuno, in una trama di interconnessioni che lascia splendere l’assoluto nel finito e l’eterno nel tempo.
“Vivere la bellezza oggi” è ritrovare nel linguaggio dell’arte la capacità di narrare un umano che è costantemente proteso verso ciò che infinitamente lo supera; recuperare l’umano come luogo dell’infinito riverberarsi del reale; cogliere i fili di senso e di valore che ci tengono insieme e tengono insieme le cose, i luoghi, le situazioni..
“Vivere la bellezza oggi” è ritrovare la potenza di un radicamento che eleva e che libera possibilità nuove, capacità di visione e di immaginazione profetica
Ma non è forse di questo che abbiamo oggi bisogno?

Vivere la bellezza significa non soltanto riconoscerla, ma farsi coinvolgere da essa, farsi toccare in profondità nel sentire, interpellare. L’esperienza della bellezza è un essere presente a se stessi e al mondo; è principio che muove il soggetto verso una trasformazione del proprio vivere e del reale. La bellezza parla di Dio e per questo sfugge sempre ad ogni tentativo di dominio. È una forza che guida l’animo umano a scoprire il valore della gratuità, l’importanza della diversità e la trama di interconnessioni di cui è fatta la realtà; l’umano come luogo dell’infinito, la potenza del radicamento e la capacità di visione profetica.

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