L’esperienza del Museo Valdese

dr
Davide Rosso

Memoria e stupore

Oggi la fede e la conoscenza del mondo non entrano più in contesa sulla verità».

Parte da quest’affermazione il teologo Jürgen Moltmann nel suo saggio su Scienza e sapienza. Interazioni fra teologia e scienze della natura1, lo studioso poi, nell’articolazione del suo discorso, ci conduce nella dimensione del tempo e ci mostra nell’arte dell’interpretare (l’ermeneutica) la strada percorsa dalla teologia che parte nel suo ragionare dal passato (la tradizione biblica) estendendosi fino al presente e quindi al futuro.

Per il teologo tedesco il vero nodo su cui riflettere qui è la memoria. «La teologia rappresenta una componente essenziale della memoria culturale del nostro mondo, e nella memoria noi ricordiamo pericoli e liberazioni, catastrofi e riscatti, tempi di guerra e tempi di pace, stili di vita riusciti e altri falliti: ciò che ricordiamo lo reinterpretiamo in vista del futuro…». Peraltro, anche le scienze della natura hanno a che fare con la memoria: «Noi – ci dice Moltmann – non conosciamo mai in contemporanea, ma sempre in successione».

A questo punto siamo introdotti al concetto di stupore: «Nell’essere stupiti disponiamo i nostri sensi a ricevere le impressioni che la realtà in noi suscita. Nello stupore noi ci apriamo, disponibili a lasciarci afferrare dalla nuova impressione. Lo stupore della prima volta svanisce poi nell’assuefazione. La prima volta noi “scopriamo”, conosciamo ciò che prima era nascosto, ignoto.

Anche una cosa che già conosciamo e che ci è familiare suscita sempre, nella nostra conoscenza, un certo grado di stupore, poiché, propriamente parlando, non c’è nulla in natura, e nemmeno nel nostro cervello, che si ‘ripeta’, essendo il tempo irreversibile. Ciò che è passato non ritorna più».

In gioco seguendo questo ragionamento ci sono i concetti di verità e di conoscenza. «Chi ha disimparato a stupirsi considera vero soltanto ciò che all’apparenza rimane sempre uguale a se stesso, e non si aspetta nulla di nuovo». Qui arriviamo finalmente, visto il nostro tema, al campo dell’arte: «In un tempo in cui tutte le opere sono riproducibili, si cerca l’imprevedibile e si producono events e performances».

Il sapere, non nasce dalle esperienze che facciamo, ma dal rapporto che con tali esperienze intratteniamo. L’arte ci serve a scoprire e a capire cose nuove, quello che però ci serve è anche «un saggio rapporto con le scoperte fatte». La ricerca è importante per progredire nel sapere e per essere trasformati e trasformare il mondo intorno a noi, ma non anticipiamo i tempi.

Di tutto il ragionamento che porta avanti Moltmann, e che arriverà al suo nocciolo con il passaggio al rapporto tra memoria e “aspettativa”, o meglio alla possibilità che tradotta significa “speranza”, mi interessa qui il rapporto tra verità e conoscenza, perché mi pare importante nel lavoro che portiamo avanti nei musei, ed al Museo valdese in particolare, e sul patrimonio e sul suo essere in un contesto. «Ogni realtà è possibilità realizzata – ci spiega Moltmann -, e non c’è reversibilità».

L’aspetto interessante può essere proprio capire la realtà, studiarla e darsi un punto di partenza, «l’apparente irreversibile» che grazie allo stupore (o «al momento esplosivo» come, invece, lo chiama il semiologo J. Lotman2) mi porta al passo successivo della conoscenza. Moltmann ci ricorda che «Dio opera all’interno del mondo sopportando tutto con pazienza, concedendo tempo alle cose, dando spazio e aprendo nuovi campi di possibilità ai loro movimenti. Se pensiamo alla storia della natura e degli uomini, non saremo indotti a cercare l’onnipotenza di Dio in interventi miracolosi e grandiosi che calerebbero dall’alto, ma la vedremmo piuttosto nella sua pazienza che sopporta in silenzio e che apre tempi e fa emergere nuove possibilità». La speranza è la possibilità, lo stupore o l’esplosione sono le condizioni per arrivare a percorrere questa strada facendo uno scarto dalla normalità che mi permette di capire e di essere inseriti nella dimensione della trasformazione.

Ma perché citare in maniera così diffusa questo ragionamento di Moltmann per parlare dell’Arte come segno di Speranza? Perché il mio mestiere è quello di chi si occupa di storia, di memoria e di narrazione di essa. In un museo come quello che dirigo, il Museo valdese, ci si interroga sulla conservazione degli oggetti (opere d’artista o di artigiani, oggetti di memoria o immagine portatrici di senso), ma anche sul loro valore, sul loro significare, sul loro essere parte di quella ricerca di conoscenza e trasformazione che scaturisce dallo stupore o dall’esplosione.

Un museo di storia e non di arte

Proviamo a contestualizzare un po’ il ragionamento prima di arrivare alle conclusioni.
Del museo valdese, recentemente riallestito, si è scelto di farne un museo di storia e non di arte, anche se le opere d’artista vi sono contenute e giocano un loro ruolo. Il cammino percorso dal museo nei suoi 134 anni di vita indicava con molta chiarezza l’orizzonte narrativo verso cui tendere: da una storia strettamente valdese, anche da un punto di vista geografico (pur con l’apertura alla dimensione missionaria) del primo museo del 1889, il raggio si è sempre più esteso dall’Italia all’Europa (museo valdese del 1974), inserendo la vicenda valdese nel contesto di un movimento religioso e poi di un protestantesimo letto su scala europea, mondiale (pensando per esempio agli Stati Uniti e all’America Latina) ed ecumenica.

La missione, il messaggio

Per quanto si sforzi di essere obiettivo però un museo di storia è comunque un museo ideologico. Lo è perché l’interpretazione della storia che propone risponde a una domanda presente, ma anche perché come strumento di rappresentazione della storia il suo fine è quello di comunicare un messaggio, di dare un senso alla storia in ragione degli obiettivi che gli assegna. La missione del museo ne determina il senso rispondendo a un doppio ordine di domande: perché lo si fa, con quali motivazioni e a quali fini? Alcuni musei comunicano bellezza, altri mistero, nostalgia, speranza, inquietudine… Dalla visita di ognuno – se la visita ha avuto un senso – nascono delle idee nuove, sul passato, ma anche sul presente e il futuro.

Per il Museo valdese si è scelta la costruzione di un discorso in forma di percorso costituito da unità di senso ognuna delle quali – nel caso specifico – corrisponde a un periodo storico, cui attribuire un significato chiaro, la cui somma produce un senso complessivo: il messaggio che dal loro complesso ne trae il visitatore, che è a sua volta portatore di valori, conoscenze, domande che entrano in relazione con quanto il museo propone e definiscono il senso che ne trae. La dimensione quindi della conoscenza, passa per la relazione; lo stupore o l’esplosione sono le condizioni per arrivare a percorrere questa strada facendo uno scarto dalla normalità, cosa che mi permette di capire e di essere inseriti nella dimensione della trasformazione.

Il tempo: una storia non lineare

Anche solo a un primo sguardo la storia “valdese”, che si dispiega per oltre otto secoli e che abbiamo difronte, non è lineare. Gli oggetti e le opere d’arte nel percorso sono funzionali al percorso narrativo, significano nella narrazione cercando però di non essere staccate dal loro contesto di origine (ogni oggetto o apparato iconografico è per scelta curatoriale, di realizzazione coeva al periodo che è raccontato nella sezione in cui è inserito). Lo stupore e la trasformazione arrivano dal dialogo con il tempo e dall’incontro delle culture e delle memorie.

L’arte, e l’esposizione museale, come segno di speranza?

Proviamo ora a trarre un po’ di conclusioni da tutto quest’argomentare. Siamo partiti da Moltmann e dal suo concetto di “stupore” legato alla conoscenza; dalla novità che in realtà significa «comprendere avanzando nel sapere»; questo sapere una volta sedimentato diventa “normalità” abituale. La creatività dell’artista per dirla con Papa Bergoglio nel suo discorso agli artisti del giugno 2023 «sembra partecipare alla passione generativa di Dio»; in realtà però, ci dice Moltmann, è la pazienza di Dio che ci permette di fare strada, di procedere. Per Bergoglio non basta soltanto guardare, bisogna anche sognare, e l’artista ci permette questo. Qui si aprirebbero spazi enormi di riflessione a cominciare dal concetto di sogno come “immaginazione”, dalla sua necessità, ma anche dal suo essere toccato dall’idea di non essere considerato affidabile, come ci ricorda Paul Ricoeur, un altro teologo filosofo interessante nel suo argomentare sulle tematiche del tempo e del guardare al mondo. Immaginare allora significa non essere nel campo del reale? Moltmann però ci dice che lo stupore significa andare oltre gli schemi e questo permette di dare inizio a qualcosa, e nello specifico alla libertà. Lo stupore può essere causato dallo spiazzamento dell’arte, ma anche dall’incontrare prospettive diverse, studi e ricerche che mi fanno capire che l’interpretazione può cambiare nel tempo, che la realtà non è reversibile, ma può essere interpretata, capita.

La speranza è trasformazione, ma mi dà anche la possibilità. già ora nel presente. di immaginare e vivere il futuro. Il passato e il futuro sono correlati alla realtà, a quello cioè che ho già scoperto e provato, e la possibilità a quello che ho davanti e che sto per vivere. Il presente è la soglia che attraverso e che mi dà la possibilità di passare al di là.

Un museo come quello valdese che mi parla di una minoranza perseguitata e resistente nei secoli può essere un luogo di scoperta ed ogni oggetto, opera d’arte, immagine che incontro nel percorso, un segno stupefacente che mi fa avanzare anche nella comprensione della speranza. Se ci fosse solo la realtà sarebbe un mondo sempre uguale, se ci fosse solo la possibilità sarebbe solo utopia.
Il lavoro nel museo, benché spesso si pensi che sia solo rivolto al passato, in realtà ha molto a che fare con il presente e il futuro. Guarda alla realtà, prova a descriverla, a darsi strumenti per raccontarla. Chi lavora in un museo prova a stare in quel presente che è di confine tra la realtà e la possibilità. Prova a dare senso all’idea che trasforma il mondo. «I fatti sono incancellabili – ci spiega Paul Ricoeur -, in compenso, il senso di ciò che è accaduto non è fissato una volta per tutte; a parte il fatto che gli eventi del passato possono essere interpretati in modo diverso, il carico morale legato al rapporto di colpa verso il passato può venir appesantito oppure alleggerito, a seconda che l’accusa imprigioni il colpevole nel sentimento doloroso dell’irreversibile, o che, invece, il perdono apra la prospettiva di una liberazione dalla colpa, il che equivale a una conversione del senso stesso dell’evento»3.

Mi piace allora chiudere quest’intervento proprio parlando della trasformazione, della conversione. Sempre seguendo Moltmann possiamo dire che «Non utilizziamo Dio per cambiare il mondo, ma cambiamo il mondo per gustare Dio… Io credo – dice Moltmann – che ci sia una vera vita già in mezzo a una vita ancora non autentica, altrimenti non accetteremo le brutture della vita»4.
La libertà sta nell’incontrare questa possibilità di guardare al futuro, nel sapere sul passato quello che ci permette di risvegliare il nostro senso del possibile. Occorre anche saper attendere e non adeguarsi alle condizioni di questo mondo, non lasciarsi omologare e non adattarsi: «La speranza non dota solo la fede di ali, ma la rende anche capace di resistere e perseverare sino alla fine»5.


NOTE

1 La citazione riportata e quelle che seguono sono tratte da una conferenza che il teologo protestante Jürgen Moltmann ha tenuto nel settembre del 2006 all’Università degli Studi di Udine. Il testo completo della conferenza è rintracciabile sul blog dell’editrice Queriniana.

2 J. Lotman, La cultura e l’esplosione. Prevedibilità e imprevedibilità. Feltrinelli, Milano 1993.

3 P. Ricoeur, Ricordare, dimenticare, perdonare, Il Mulino, Bologna 2004. p. 41.

4 J. Moltmann, Etica della Speranza, Queriniana. Brescia 2011. p. 285.

5 Ibid., p.19.