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Carmelo Torcivia

Per dare una risposta a questa articolata domanda credo sia opportuno partire dal viaggio. Come è ben noto a tutti, il viaggio a scopo è stato intrapreso fin dall’antichità da poche persone – il cui livello socio-culturale era alto – e aveva una finalità fortemente conoscitiva. Si viaggiava per conoscere altre genti, altre culture e per acquisire nuovi saperi. Per raggiungere tale intento occorreva pertanto che il viaggiatore stesse, dimorasse nelle terre di cui voleva conoscere le genti e gli usi.

Oggi il trend dei viaggi di massa ha stravolto il senso elitario-conoscitivo che per secoli aveva connotato il viaggio. L’obiettivo del viaggio risulta pertanto emotivo e lo si raggiunge attraverso o la fruizione estetica di monumenti e opere d’arte – molte volte così superficiale da doversi limitare a un “che bello!” – o lo shopping più o meno compulsivo e, in ogni caso, assolutamente richiesto dalla società. Questo trend è ormai così forte da dovere interessare anche le modalità con cui si organizzano i pellegrinaggi – almeno alcuni di questi! – cosicché sembra, mettendoli in comparazione, che tra il viaggio e il pellegrinaggio cambi certamente l’oggetto ma non la finalità e neanche l’esercizio di alcune modalità. È il prezzo che probabilmente si paga non solo alla massa – soprattutto per quanto riguarda i viaggi – ma anche ad una certa mentalità del consumo frettoloso e superficiale. Sia la corretta conoscenza di una cultura altra, che l’usufruizione dell’arte e il corretto rapporto religioso con Dio e con i Santi sono così lesi nelle loro originarie caratteristiche.

Che tipo di azione intraprendere per imprimere una svolta positiva a questo trend?
La risposta non può che essere articolata e sinergica.

Partiamo ancora una volta dal viaggio. Non si può pensare che sia solo dedicato allo svago e al divertimento. Seppur questi siano molto importanti, soprattutto a fronte di super-lavori cui sono soggetti tanti uomini e tante donne, tuttavia risulterebbe negativa la loro mera usufruizione in tal senso. Bisogna allora legare e tenere ben uniti l’esigenza turistica del viaggio con la conoscenza storica, artistica e antropologica del territorio che si visita e con l’esperienza culinaria che vi si fa. Perché vi sia questa feconda sinergia occorre che si operi in tal senso innanzitutto al livello delle proposte di qualificati tour operator, che sia in città sia soprattutto nei paesi individuino dei pacchetti che permettano uno “stare” in quei luoghi in modo che a un salutare riposo sia legata una buona conoscenza del territorio. Per raggiungere questo obiettivo c’è bisogno di formare figure professionali qualificate, delle vere e proprie guide, che abbiano competenze storiche, artistiche, antropologiche e teologiche. Occorre qui precisare che la competenza teologica non è un optional , che si aggiunge quasi come un vezzo di moda alle altre ben più importanti e fondanti competenze. Non si può infatti comprendere un’opera d’arte religiosa, ma la storia culturale e architettonica di un paese senza che ci sia una competenza teologica che incrocia quella artistica e quella storico-antropologica.

Sentiero per Santiago
Foto di Alfredo La Malfa

In alcuni territori della nostra Italia si sono già svolte queste sperimentazioni. Già a livello formativo, infatti, si sono incrociati i saperi storici, artistici, antropologici e teologici. Le guide turistiche che hanno beneficiato di questa articolata formazione hanno così acquisito una marcia in più rispetto alle tradizionali guide. E, d’altro canto, i visitatori, che ne hanno beneficiato, hanno portato con sé una comprensione più globale della cultura che hanno incontrato. Facendo così, si ritorna così al viaggio come esperienza culturale, che è il portato plurisecolare della nostra storia, ma senza più la caratterizzazione elitaria, che pure lo connotava in profondità.

Per quanto riguarda il pellegrinaggio occorre dire che fin dai primi secoli del cristianesimo esso ha assunto un ruolo centrale nell’esprimere la fede del popolo. E così, il popolo cristiano si è ritrovato come viatore nelle strade del mondo per raggiungere un luogo, un monumento, una chiesa, espressioni significative di una certa presenza di Dio e del divino.
L’esperienza del pellegrinaggio è la messa in atto di una vera e propria espropriazione dalle proprie personali sicurezze/certezze e degli abituali costumi. Mettersi in viaggio per cercare Dio e le sue tracce è un uscire da se stessi, è un’opera di rinnovamento interiore, quasi di rinascita. Anche qui, in questi contesti così sacri, è possibile che s’inseriscano delle perniciose derive consumistiche. Occorre ben vigilare per stroncarle sul nascere. Occorre infatti che tutte le espressioni della fede popolare non siano ridotte a mero folklore né diventino strumento per una sorta di accrescimento o rimpinguamento dell’economia locale.

Anche in questo contesto la preziosa sinergia tra storia, antropologia, arte e teologia preservano la dignità dei luoghi e dei pellegrinaggi che vi convengono. Pertanto, può risultare feconda la formazione di operatori pastorali che possiedano, come un tutto unitario, queste competenze, ma anche la creazione di sussidi, ove non esistano, in tal senso transdisciplinari.

Come ben si vede, è solo il concreto esercizio di una vera e propria sinergia di approcci e di discipline che può garantire la verità del viaggio e del pellegrinaggio. Il nostro è un tempo che ha bisogno di ritrovare l’unità dei saperi, senza che le discipline e i diversi approcci ne facciano filtro negativo. Le figure professionali di cui si ha allora bisogno – la guida turistica e l’operatore pastorale – non possono che percorrere questo sentieri transdisciplinari.