La suggestione è intensa, soprattutto perché inattesa. Inattesa cioè la bellezza di una chiesa situata in un piccolo borgo appartato, affacciato alla valle, a poca distanza da Collodi.

San Gennaro è una frazione del comune di Capannori, in provincia di Lucca, che si dice fondato da partenopei migrati nei primi secoli in Toscana, forse per sfuggire a una pestilenza. Un borgo silenzioso, di poche case, che però custodisce un gioiello, la Pieve di san Gennaro, appunto. Molte sono le particolarità della romanica basilica, fondata nel 980 e anche prima, ricostruita nel dodicesimo secolo. Delle tre absidi oggi resta solo quella di sinistra, mentre sono restate intatte le tre navate.

Ma la singolarità è in alcuni particolari decorativi, come la forma geometrizzata dei capitelli delle colonne di spoglio, caratterizzati da un multiplo e insolito assetto di cubi disposti a cascata. Me lo spiega una guida di eccezione, Francesco Lucchesi, studioso appassionato come pochi del territorio, approfondito nella genesi storica del sacro tempio. Curiosa è la sagoma di un asino che appare su di una colonna e che, mi spiega, è l’inequivocabile indizio della provenienza partenopea dei primi abitatori del villaggio. Ma l’attrazione quasi miracolosa della chiesa è una statua oggi preservata da una teca e che sembrerebbe attribuibile a Leonardo da Vinci. Vinci, la città natale del genio, è distante una quarantina di chilometri e Leonardo lavorò a lungo nella valle per una serie di opere idrauliche di cui ebbe incarico.

È dunque possibile che l’opera possa essere di sua mano. In mancanza di riscontri certi oggi viene attribuita genericamente alla bottega del Verrocchio, ma il prof. Carlo Pedretti dell’Istituto Hammer della California, uno dei maggiori studiosi di Leonardo, non ha dubbi. Il braccio, i piedi e soprattutto la capigliatura, e altresì lo sguardo, quel tipico sorriso leonardesco, a metà tra riso e pensamento, sono proprio suoi. La scultura in terracotta sarebbe in effetti una delle poche del maestro. Resta il dubbio, naturalmente, proprio per l’eccezionalità del ritrovamento e la scarsità di confronti con opere simili. Ma resta anche il fascino indiscutibile dell’opera che, nella penombra di una chiesa quasi sconosciuta e nell’isolamento del luogo brilla come un inatteso e inestimabile tesoro. Da raggiungere e assolutamente da visitare.

Giorgio Agnisola