AT2020

La bellezza come sguardo condiviso

Vladimir Zelinskij

«In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gen. 1, 1). Poi segue un’affermazione stupenda: a Dio è piaciuto tutto ciò che aveva fatto. “E Dio vide che questo era buono” (Gen. 1,10). “Questo” vuol dire: ogni giorno della creazione è accompagnato dalla meraviglia del Creatore di fronte alla propria opera. Egli trae dal nulla la terra e il cielo, le acque e gli animali e si sorprende davanti ad essi. Non è un principio impersonale che gestisce l’universo, ma una Persona che ha un rapporto diretto e visivo con il frutto del proprio lavoro. Davvero il primo rapporto con il mondo era la meraviglia. Il miracolo dello sguardo che l’ha accarezzato. Quel miracolo aggiunge qualche cosa di nuovo alla creazione stessa: tutte le cose fatte da Dio acquistano la proprietà d’essere viste dall’alto e meravigliate.

Questa qualità si rivela a noi come bellezza. La bellezza, direi, è proprio questo: una cosa visibile ed invisibile toccata dallo sguardo del Creatore, lo sguardo condiviso con noi. L’occhio di Dio cade sulle cose uscite dalla Sua parola, dalle Sue mani, diciamo in un modo azzardato, dal Suo amore, e queste cose ricevano la proprietà che rimane con loro: lo sguardo accolto. Quest’accoglienza è aperta anche per noi, come visione del mondo rivelata dal Signore, imbevuta dall’amore. Non soltanto la natura, il mare ed i monti, gli alberi e gli uccelli, ma anche le diverse creazioni umane, il concerto di Mozart, il poema d Dante, la formula d’Einstein, la partita di scacchi del gran maestro… Manifestano la bellezza, “investita” in qualsiasi dono umano che scopre la bontà dell’atto creatore, del vincolo dell’amore con tutto ciò ch’è amato. Ma anche noi, esseri umani, siamo capaci di condividere il Suo sguardo, di “vedere insieme” il mondo creato e questa condivisione ci apre all’icona del creato.

Tra le icone russe se ne trova una intitolata: «L’occhio che vigila». Vi sono raffigurati la terra e il cielo, gli uomini e gli angeli all’interno di una grande sfera che abbraccia lo sguardo in un’unica visione globale. L’occhio che la contempla è simile alla culla che ospita il bimbo e questo bimbo è la creazione tutta, vista, scrutata, accarezzata, quasi sostenuta nella pupilla dei suoi occhi. Vi riposa come in un palmo di mano invisibile. Lo sguardo sostiene e tocca tutto ciò che esiste, in modo che, impercettibilmente, il fruscio ne cambia la natura. Rispondendo al contatto che ci impegna, prestiamo l’orecchio a quel cambiamento che agisce su di noi, ci disarma, ci mette a nudo e ci protegge.

Nella vita davanti a Dio il contatto visivo è primordiale, quello che ci mette davanti ai Suoi occhi. La luce del suo Volto precede perfino la sua parola. Ma bisogna aprire le porte della nostra percezione del “visibile invisibile”, saper entrare in comunione con tutto ciò che i nostri occhi ci presentano. A cominciare dalle cose diventate più familiari. “Vedo un albero, e sono impegnato nel rapporto con lui”, scrive Martin Buber (”Io e Tu”). Posso dirgli ′′tu′′ e questo ′′tu′′ si impadronisce di me, si imprime in modo impercettibile nella mia esistenza. Quando mi volgo al mio prossimo, il messaggio del suo stare davanti a me, il complesso dell’informazione che esso contiene mi cambiano molto di più. Un’immagine, un riflesso della sua personalità penetrano in me e fanno parte di me stesso. Ma nel rapporto con Dio, questo cambiamento tocca e trasfigura tutta la mia esistenza. Perché Lui è il primo che mi dice ′′tu′′ e mi trova bello come fossi all’inizio. E questo richiamo è più originario, più antico, più possente, più esigente. Allora mi scopro come il suo ′′Tu′′, in quanto creatura umana che si trova sotto l’occhio di «Colui che mi vede». Sono interpellato dallo sguardo di Dio. La sua visione avvolge, condivide e penetra il mio essere.

Ma quando quello sguardo non è più esterno, quando viene dall’intimità della sua persona? L’uomo alza lo sguardo al Signore i cui occhi sono posati su di lui, si risveglia nello spirito perché è preso da una forza che vigila in lui. Accede alla coscienza dell’essere che riempie la sua esistenza e scopre la bellezza. Ma questa bellezza è sempre tradita. L’uomo non può liberarsi della presenza dell’Altro che lo afferra, lo risveglia, lo inquieta, lo trafigge…

«L’anima dell’altro è crepuscolo», dice il proverbio russo. Con questa espressione talvolta si intendono i demoni che la abitano. Ma per Dio, questa parte dell’anima è illuminata anche dalla sua luce invisibile. È qui, in primo luogo, che Dio vigila su di noi. «Il divino osserva tutto, sente tutto, prova tutto», dice Gregorio di Nissa. Il suo spirito mi immerge nella sua visione per mettersi tra me e tutte le persone che amo, tra me e il mio passato, tra me e il mio avvenire, tra me e la mia anima. «Ma la sua visione è l’amore» (Romano Guardini).

«La lucerna del corpo è l’occhio.
Se dunque il tuo occhio è sano,
tutto il tuo corpo sarà illuminato» (Mt 6, 22).

«Sta′ attento a te stesso – dice San Basilio il Grande, interpretando Deut 15, 9 – non avrai bisogno di cercare le tracce del Costruttore nell’ordine dell’universo, ma in te stesso, come in un piccolo mondo, tu vedrai la grande sapienza del Creatore». Quando vedo un albero, ed esso lascia la sua impronta dentro di me, entro in contatto con una sola cosa creata. Ma è Dio che svela in me l’individualità della sua creatura e mi invita a dialogare con lei. Quando dico ′′tu′′ ad un altro uomo, il Cristo si lascia vedere sul suo volto. Ma quando dico ′′Tu′′ a Dio stesso, Egli mi risponde dal mio abisso, dalla coscienza di essere vivente, dal cielo che ha messo dentro la mia esistenza.

Non sono soltanto io a guardare un altro, ma Colui che non può essere nominato invano lo guarda attraverso me. L’albero, penetrato da quello sguardo, mi vede a sua volta. Tutta la creazione mi guarda con gli occhi del Signore e cerca ospitalità nel mio cuore. Tutto ciò che esiste aspira ad essere accolto dall’occhio puro che ha visto la bellezza del mondo che verrà…