OSSERVATORE ROMANO, aprile 2022

«Getta il tuo pane sulle acque perché col tempo lo ritroverai» è – incastonata in un’immagine di straordinaria suggestione iconica e simbolica – una perla di saggezza che ci viene donata dal Libro biblico di Qoèlet, alias Ecclesiaste (11,1): “manuale d’istruzioni per l’uso della vita” trapunto di squarci sorprendentemente luminosi e, nel complesso, assai meno pessimistico di come lo dipingono coloro che trascurano di leggerlo con discernimento e per intero. A questo consiglio dell’antico sapiente sembra essersi in qualche modo ispirato Alfredo Tradigo nell’ideazione, articolazione e pubblicazione di Abitare i giorni, edito a fine 2021 da Mimep-Docete (pagine 160, euro 12).

Giunto all’apice della sua maturità umana e intellettuale, Tradigo ha ripercorso a ritroso la riva del fiume metaforico lungo il quale aveva negli anni gettato i bocconi di pane della sua libera creatività. Ha ripescato dal filo della corrente i più saporosi, i più rappresentativi della sua cifra espressiva, e – non diversamente da altri alunni delle Muse, italiani e stranieri – li ha riuniti in questa auto-antologia di selected poems che ora si offre, sia a chi già ben lo conosce sia a una platea di nuovi lettori, come un bilancio provvisorio: una conferma e, per certi aspetti più “segreti”, una parziale rivelazione con riferimento (come spiega Vincenzo Sansonetti nella sua partecipe introduzione) a un ventennale esercizio di pensiero poetante alimentato da una perseverante “fedeltà alla fede”.

Una lettura distesa e continuativa, scandita solo da brevi pause di respiro tra l’una e l’altra delle nove “arcate” strutturali, riscontra anzitutto il riflettersi e il sublimarsi, nella trama dei giorni poeticamente abitati da Tradigo, delle altre sue competenze: giornalista culturale, storico dell’arte, in particolare sacra (Icone e santi d’Oriente, 2004; L’uomo della croce, 2013; Icone e volti d’Oriente, 2020), appassionato frequentatore e cantore della montagna (Per salire bisogna crederci, 2018).

Deriva forse da questo connaturato eclettismo la capacità di variare, di volta in volta, la messa a fuoco dell’obiettivo poetico. Scenari grandiosi, paesaggi esotici o domestici, collinari e montuosi, vaste marine compongono un macrocosmo ispirativo che armonicamente convive con microcosmi scrutati e rappresentati attraverso un filtro lenticolare, sempre nel rispetto, anzi nell’amore per la natura in ogni sua epifania creaturale, vegetale e animale ma soprattutto umana e – talora – sovrumana, se non addirittura sovrannaturale: nel quadro unificante di un’ecologia davvero integrale, sullo sfondo delle encicliche di Papa Francesco Laudato si’ e Fratelli tutti, e sulle tracce di una santità non circoscritta solo a modelli innalzati dalla Chiesa alla gloria degli altari (Francesco d’Assisi, Riccardo Pampuri, Giovanni Paolo II…) ma individuata anche in figure di toccante semplicità naturaliter christiana.

Così come semplice si presenta l’architettura formale, il modulo stilistico dominante, improntato a una brevitas quanto mai pregnante sia dei singoli versi sia delle agili lasse che li raggruppano. Una semplicità peraltro ingannevole, esito evidente di un processo “artigianale”, di un austero ed esigente labor limae, di una ininterrotta tensione verso un maximum semantico spremuto da un minimum lessicale. Fino all’estrema rastremazione dei Frammenti, simili a lacerti di poeti-filosofi presocratici o ad ellittici haiku giapponesi.

L’impegno maggiore nella ricerca di una superiore verità poetica sembra tuttavia concentrarsi nella sezione Alle sorgenti, dove Tradigo si cimenta nell’arte della scrittura “apocrifa”, riplasmando episodi e personaggi evangelici secondo angolazioni inedite, tutt’altro che scontate, tutt’altro che ricalcate pedissequamente sulla falsariga dei Vangeli, con affondi a volte spiazzanti: come là dove il poeta-apocrifista dà voce, con un’audace quanto suggestiva inversione prospettica, all’angelo ribelle (Tentazione) e al dissipatore pentito (Figliol prodigo). Qui si approda all’arduo eppure non impossibile connubio di fides e ars poetica. Qui si celebra una forma di alleanza sapienziale tra vita e letteratura, sulle orme – si direbbe – proprio di Qoèlet: «I nostri giorni riservano spazi / che la poesia inabita, / quasi fosse una dea; / giorni passati e giorni futuri, / giorni abitati e giorni da abitare; / e, nel bel mezzo, / l’eterno presente della poesia».

Marco Beck

Recensione ABITARE I GIORNI, Tradigo Alfredo, Mimep Docete