Uno spunto per riflettere insieme

Continuano a sconvolgere le immagini dei tanti morti nei teatri di guerra, spesso civili inermi, bambini, anziani… come pure quelle della violenza nelle case e nelle strade delle nostre città, specialmente tra i giovanissimi.
Sono una fitta al cuore le offese e le ostilità presenti in tante relazioni e preoccupano i frequenti segnali di abbrutimento manifesti nella quotidianità, spesso incupita da una logica del “occhio per occhio dente per dente” che si credeva ormai superata. C’è troppa rabbia in giro, spesso nascosta e covata a lungo; affiora talvolta in maniera improvvisa, talaltra come sottofondo ordinario di un paesaggio sempre più sinistro.
Su tutto questo giunge l’invito evangelico al perdono e alla riconciliazione. Ma come si fa?! Eppure, se ci si riflette, il perdono ha una sua razionalità, è urgenza impellente ed è il passo più saggio che si possa fare per ricostruire sulle macerie e ricucire l’umanità lacerata.
scriveva, con voce profetica, Giovanni Paolo II nel messaggio della pace del 2002.
Il perdono non cancella il passato – sarebbe un’aberrazione pretendere ciò – ma permette di cambiare il futuro, aggiunge Papa Francesco nella bolla di indizione del Giubileo della speranza: è l’unica strada per interrompere una spirale senza fine di morte e dolore.
Questo non significa che perdonare sia scelta o pratica facile, anzi! Sbagliamo quando ne parliamo semplificando troppo, quasi potesse essere un gesto magico ed immediato.
Suona, perciò, quantomeno indelicata la domanda “a caldo” che talvolta si sente fare chi ha appena subìto l’uccisione di un familiare: “Ma lei perdona?” Nemmeno per coloro che vivono una vita di fede è facile perdonare.
Non bisogna colpevolizzare o colpevolizzarsi se non vi si riesce anche per molto tempo. Certo, per un misterioso intervento della grazia, in alcuni casi, il perdono può arrivare presto e completo; più sovente, invece, impegna in un cammino lungo, faticoso, fatto di piccoli passi dagli esiti incerti.
Si tratta di attendere con pazienza che la sua fragranza si faccia largo nel cuore, nella mente, negli sguardi, nelle parole e nei gesti, ma soprattutto è importante sentire che lo si è già ricevuto. Sarà un passaggio inevitabile e necessario quello di lasciar emergere tutto il dolore, la rabbia sperimentati per l’offesa ricevuta, senza minimizzarla o scusarla in fretta.
Qualche autore, infatti, cercando di integrare spiritualità e psicologia, distingue quattro fasi nel cammino verso il perdono: la prima fase consiste proprio nel permettere ancora una volta il dolore. Non bisogna sorvolare, infatti, sul proprio dolore, ma permettersi la libertà sofferta di attraversarlo, di abitarlo. La seconda fase è quella di ammettere la rabbia: questo aiuta a creare un distacco, a prendere le sane distanze da chi ci ha ferito; infatti, se si permette al coltello dell’offensore di rimanere nella piaga, il perdono non riesce e potrebbe essere un gesto, sia pure inconsapevolmente, di autolesionismo. Un terzo passo, sarà quello di osservare il più obiettivamente possibile cosa è realmente accaduto durante l’offesa. L’altro ha scaricato su di me le sue frustrazioni, la sua insoddisfazione, le sue ferite? Il cardinale Martini, per esempio, commentava così gli schiaffi dati dalle guardie a Gesù durante l’interrogatorio. Non si tratta di scusare l’altro, ma neanche di accusarlo: si tratta soltanto di cercare di capire quanto realmente accaduto e ipotizzare le possibili motivazioni.
Soltanto il quarto passo sarà quello dove posso raggiungere il perdono vero e proprio, liberandomi di tutta la negatività che mi portavo dentro. Sarà anche lecito e umano, infine, chiedere come Pietro:
e aprirsi alla risposta spiazzante:
cioè sempre. Come se non bastasse, Gesù aggiunge che siamo chiamati a perdonare di cuore, bonificando, nel tempo, non solo le azioni e le parole, ma i sentimenti per guarire finanche la memoria.
A chi non verrebbe da dire: non puoi chiederci questo, Signore, è esagerato, impossibile. Eppure qualcosa in noi, una sorta di fiuto recondito e di nostalgia dell’anima, ci fa percepire che il perdono è la vera ribellione alla regressione nostra e dell’umanità; è il nostro rifiorire alla gioia e alla pace del cuore che contribuisce a rinnovare il mondo. Soprattutto quando, all’azione della grazia, si accompagnano l’empatia e l’amore compassionevole verso chi ci ha fatto del male.
Ricordo con commozione l’invito di mia madre a considerare che dietro l’offesa dell’altro c’era una persona sofferente, forse incattivita da un vissuto triste e doloroso che, proprio per questo, aspettava di essere capita, amata e perdonata.
Così come mi è rimasto impressa la testimonianza del fratello del prof. Bachelet, che da cappellano incontrò in carcere l’assassino di suo fratello, un giovane terrorista. Pieno di commozione questo giovane chiese di far pervenire il suo grazie al figlio di Bachelet per le parole di perdono che a nome della famiglia pronunciò proprio durante il funerale del papà. Furono quelle parole, disse, che lo avevano sollecitato ed aperto ad un cammino di vero pentimento e di redenzione.
È proprio vero:
Nelle paludi che stiamo attraversando, ecco una parola che bonifica e guarisce come solo lo Spirito sa fare, Lui che fa nuove tutte le cose. Nulla è impossibile a Dio.
