Interviste

Roberta ForestaRoberta Foresta

Nata a Padova il 18/08/1969, ha studiato per il baccalaureato a Padova, ha conseguito la Licenza in teologia biblica alla Pftim sezione San Luigi a Napoli e il dottorato in storia religiosa all’Università La Sapienza di Roma. Insegna religione cattolica ad Aosta nelle scuole secondarie di secondo grado. Ha conseguito in Diploma in Arte e Teologia presso la Pftim – sezione S. Luigi, Napoli.

 

1) Che cos’è per lei il silenzio?

Prima di chiedermi che cos’è il silenzio, e quindi di provare a rispondere alla sua domanda, mi sono posto, d’impulso, un altro quesito: il silenzio esiste?
In un mondo di “rumori”, in un’esistenza di “trambusti”, in un’epoca di “tumulti” dove è possibile, se è possibile, fare l’esperienza del silenzio? E ancora, se fosse sperimentabile, dove “incontrare” il silenzio in architettura?

de luca
Mario De Luca

Riflettendo sulla dimensione del silenzio, il pensiero si è fermato alla sua essenza astratta, al suo valore utopico, alla sua entità irraggiungibile: in una parola, alla sua immaterialità. All’impossibilità di immaginare un angolo di mondo in cui vi sia davvero silenzio, si aggiunge la difficoltà di poter vivere nell’assoluto silenzio.
L’immediata conclusione di questa breve premessa, nella consapevolezza di poter essere prontamente smentito, è stata: il silenzio non esiste!
Ma (paradossale), fatto “un minuto di silenzio”, razionalizzando il pensiero, ecco che prendono forma alcune riflessioni. E, contravvenendo immediatamente alla mia irriflessiva tesi, il silenzio si manifesta e la sua dimensione può diventare “possibile”.
Non mi riferisco, ovviamente, alla mera definizione di silenzio quale “assenza di rumori, di suoni o di voci”, e cioè quella condizione che ciascuno di noi vorrebbe sperimentare almeno una volta nella propria vita. Ma nemmeno al silenzio della liturgia cattolica, quello in cui i fedeli esprimono la loro partecipazione attiva alle celebrazioni praticando il “religioso silenzio”.
Allora, che cos’è per me il silenzio?
È un’auspicabile esercizio di introspezione personale; è il porre delle “pause” vere allo scorrere del vivere quotidiano; è il cimentarsi con il tema dell’ “ascolto” quale antitesi a quello del “parlare”; è il credere ad un’esistenza fatta non solo di sospensioni “verbali o acustiche”, ma anche “visive”.

2) Da architetto, che cosa ha provato nel confrontarsi con la dimensione del silenzio nella costruzione di edifici sacri?

Nel mio confronto con la dimensione del silenzio nella costruzione di spazi sacri ho riflettuto sul silenzio della morte nella prospettiva della speranza cristiana della risurrezione. L’occasione mi è stata offerta dalla progettazione della cappella per il clero diocesano realizzata nel cimitero di Venosa, una cittadina della mia diocesi nel nord Basilicata, nota perché è la città natale del poeta latino Orazio.

cappella
Cappella (Venosa) – Click per ingrandire

L’uomo si misura sistematicamente con l’ineluttabilità della morte e con la disperazione per la perdita di una persona cara. Anche Gesù ha sperimentato il silenzio della morte, di cui si fa memoria liturgica con il silenzio della Chiesa del Sabato Santo, nella certezza, però, della Pasqua di Risurrezione. La cappella è stata costruita in occasione della morte di un giovane sacerdote, evento che ha segnato profondamente la mia persona e la comunità diocesana. Questo luogo è diventato, per me, momento di valutazione formale (ricerca di “purezza”) e opportunità di indagine interiore (ricerca di “serenità”). Ho provato a restituire l’idea della purezza con forme compositive nette, semplici, decise, come pura ed inesorabile è la morte. Ho, invece, espresso la serenità attraverso la scelta della monocromia del materiale lapideo di cui è interamente rivestita la superficie, anche quella del piccolo spazio interno che invita alla sosta, alla preghiera, al ricordo.

3) Come descriverebbe la relazione esistente tra il silenzio e la presenza di Dio in un edificio sacro?

La Scrittura ci insegna che Dio si manifesta sempre nel silenzio e nel nascondimento. In 1Re 19,11-13, il racconto del profeta Elia sul Monte Oreb, viene detto che Dio si rivela non in un «vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce», neppure in un terremoto, ma in un vento leggero, quasi un sussurro che il profeta riconosce immediatamente come la voce del Signore. Allo stesso modo la nascita di Gesù avviene nel silenzio di una notte stellata, nella povertà di una stalla, senza clamori e senza roboanti proclami. Inoltre sono raggiunti dall’annuncio gli ultimi della terra, i pastori, che per primi si recano ad adorare il Redentore. Il silenzio viene da dentro, è una dimensione dell’anima, vive in noi quando permettiamo alla concentrazione di interrompere il flusso consueto dei pensieri. Ecco perché, per chi crede, può essere vissuto nella preghiera e nella contemplazione.

4) In che modo ha declinato il silenzio nella dimensione spaziale e quali elementi ha selezionato per mettere in risalto il silenzio, facendo un esempio di un edificio sacro da lei progettato?

Nella progettazione della Chiesa dell’Immacolata Concezione a Monticchio Sgarroni sono stato ispirato dalla bellezza del paesaggio circostante e dal silenzio “pieno” che avvolge la valle dell’Ofanto e guida lo sguardo a scrutare l’orizzonte. Spesso si usa a sproposito l’espressione quel luogo è un’oasi di pace. Per questa chiesa, credo che non ci possa essere definizione più appropriata, giacché l’edificio di culto, isolato ed immerso in un suggestivo contesto naturalistico, si presenta come un luogo di devozione e di silenzio.
Ho concepito uno spazio scandito dall’alternanza tra volumi e tagli verticali vetrati che stabiliscono un proporzionato equilibrio tra vuoti e pieni e consentono l’illuminazione naturale degli ambienti interni secondo la luce che varia nelle diverse stagioni. La dimensione del sacro nella mia idea progettuale ha assunto sfumature e suggestioni che ben si raccordano con il contesto vitale del territorio perché, dal mio punto di vista, nella Chiesa, non edificio di culto, ma luogo dell’incontro con il Dio Trino e Unico, si deve poter gustare la bellezza della preghiera individuale e la vitalità della devozione comunitaria, si deve poter assaporare la forza rigeneratrice dei sacramenti e vivere il Miracolo dell’Eucarestia. Nell’architettura l’atto della fruizione dello spazio consente anche un attraversamento fisico del silenzio, oltre alla possibilità di vivere e contemplare il silenzio.

Chiesa
Chiesa dell’Immacolata Concezione
5) C’è un edificio sacro che si è proposto a lei in modo silenzioso?

Devo ammettere che a questa domanda ho subito pensato alla Cappella votiva progettata da Peter Zumthor nelle campagne di Colonia. Quando la visitai, alcuni anni fa, non mi ero prefigurato quello che avrei trovato o, per meglio dire, quello che avrei provato. Silenzioso è stato il cammino per avvicinarsi a questo piccolo scrigno di meditazione; silenzioso il tratturo che separa, e quasi nasconde, l’opera dalla distante viabilità carrabile di campagna. Per la sua posizione isolata nel verde e la sua struttura monolitica, la Cappella si propone come un invito a fermarsi e a pensare. Eppure, in particolare al suo interno, avvolti dalla “silenziosa” natura che ti circonda, tutti i sensi vengono stimolati: la luce che penetra dall’alto, l’odore acre dei tronchi bruciati, la superficie irregolare delle pareti interne. Più che un edificio sacro, un capolavoro concepito per la contemplazione personale.

6) Ci sono degli architetti che l’hanno particolarmente ispirata nella progettazione anche di uno spazio o di elementi che richiamino il silenzio?

Tra gli architetti che mi hanno particolarmente ispirato non nella progettazione, bensì nella riflessione sul senso più profondo dello spazio sacro in relazione con il silenzio c’è Mario Botta e la chiesa della Divina Provvidenza da lui progettata a Leopoli, in Ucraina. L’esperienza di un cantiere in una città in guerra, devastata dalla violenza cieca e da una malvagità irrazionale mi ha suggerito un’immagine antitetica: il silenzio del cantiere contrapposto al rumore della guerra. Nella nostra Europa, in Italia, nel mondo pacificato, nella routine della professione, costruire un edificio significa vivere la frenesia del progetto, a cui seguirà il “rumoroso” cantiere; significa respirare l’ansia che i lavori procedano senza intoppi, farsi trascinare dall’adrenalina di vedere crescere la propria “creatura”, di vedere trasformate le proprie idee in realtà tangibili. Ma in un paese devastato dalla guerra, in cui la città di Leopoli è sfigurata dalla violenza, ha senso costruire, e in particolare, costruire una nuova chiesa? La risposta è certamente “sì”, perché l’architetto ha il dovere etico di sostituire al rumore dell’orrore che si sta consumando la speranza della rinascita che opera nel silenzio dell’attesa. Forse non sono stato esaustivo nella mia risposta, ma questo progetto dell’architetto Botta mi ha insegnato che costruire esige sempre un atteggiamento positivo: costruire è dare vita!

7) Quali suggestioni possono giungere dalle architetture sacre provenienti dalle altre religioni?

Il silenzio è un elemento di grande significato nelle tre religioni monoteiste, ebraismo, cristianesimo e islam. Pur avendo radici e tradizioni diverse, queste religioni condividono una profonda comprensione del silenzio, vissuto come strumento per favorire la preghiera e la contemplazione del credente.
Nelle sinagoghe, si osserva il momento di silenzio durante i servizi, perché il silenzio è un modo per aprirsi alla presenza divina e per cercare la quiete interiore. Presso il Muro del Pianto gli ebrei praticano un profondo e solitario silenzio pur nella concitazione e nella frenesia circostanti.
Nell’Islam il silenzio è molto importante durante il digiuno nel mese del Ramadan, poiché i musulmani cercano di raggiungere uno stato di calma interiore. Inoltre, nel corso delle quotidiane cinque preghiere islamiche ci sono sempre brevi momenti di silenzio durante le prostrazioni, che permettono ai fedeli di fissare la loro attenzione su Dio.
Nella tradizione cristiana, il silenzio è spesso relegato alla vita monastica. I monaci e le suore dedicano lunghi periodi di tempo alla preghiera silenziosa, al raccoglimento e allo studio delle Scritture. Attraverso il silenzio, cercano di raggiungere una profonda unione con Dio e di vivere in intimità con il divino.
Come è facile dedurre, le modalità per praticare il silenzio nelle religioni monoteiste possono variare, ma senza dubbio non possono prescindere dalla meditazione, dalla preghiera intima e comunitaria, dalla lettura contemplativa dei testi sacri e dal ritiro in luoghi tranquilli o solitari. È importante notare che il silenzio non significa necessariamente l’assenza di suoni esterni, piuttosto uno stato interiore di calma e tranquillità in cui l’individuo può concentrarsi sul divino.

8) Quale contributo possono offrire alla riflessione teologica le cosiddette architetture laiche del silenzio?

Una conseguenza dell’emancipazione del sacro dai luoghi tradizionalmente adibiti al culto è rintracciabile nella nascita di «cappelle» interconfessionali, dedicate alla meditazione e al raccoglimento. Fra le molteplici proposte, una in particolare sembra negli ultimi anni attirare interesse: le cosiddette «stanze del silenzio», spesso situate in aeroporti, ospedali, alberghi e università. Questi luoghi sono concepiti come ambienti nei quali persone diversamente credenti possono convergere, incontrarsi, senza confondersi. La loro nascita è ascrivibile al fatto che la nostra società sempre più secolarizzata, multietnica e multiculturale, continua ad avvertire il bisogno del sacro, non univocamente concepito come la frequenza con cui le persone si recano in chiesa, in una moschea o in una sinagoga, ma essenzialmente come una ricerca spirituale. L’uomo di oggi, infatti, è alienato da se stesso, perché frastornato da tante cose che lo circondano e lo sollecitano, e soprattutto lo illudono di poter riempire il vuoto interiore, che è il vuoto di Dio. Questi luoghi laici del silenzio possono aiutarci a riacquistare la nostra umanità perduta senza necessariamente imporre un’etichetta confessionale. Con questo non voglio dire che bisogna progettare templi interreligiosi che potrebbero generare, in una società non ancora pronta, confusione e ambiguità. Al contrario, queste architetture laiche ci suggeriscono la validità di spazi in cui persone diversamente credenti possono convergere, incontrarsi, senza tuttavia lasciarsi condizionare nella propria identità religiosa.