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Academy
autore
Maria Cristina De Mariassevich

La riflessione sull’arte accompagna la storia della Chiesa fin dalle origini, con una sistematica alternanza di astensione se non addirittura rigetto e di convinta adesione all’arte sacra come strumento privilegiato per “significare e simbolizzare le realtà soprannaturali” evocate dalla Liturgia (S.C. VII, 122). Basti pensare al contrasto, nel XII secolo, tra l’abate Suger di Saint Denis e S. Bernardo di Chiaravalle: quest’ultimo preoccupato di distogliere i monaci dalle “ridicole mostruosità, quella bellezza, per così dire, deforme e quella bella deformità” dei capitelli istoriati nei chiostri romanici (Apologia a Guglielmo abate), il primo di impreziosire la casa di Dio con i materiali più rilucenti perché l’anima, con l’aiuto della grazia, sia traferita simbolicamente dalla sfera terrena a quella celeste (De rebus in administratione sua gestis).

La Costituzione Sacrosanctum Concilium dedica all’arte ed alla suppellettile sacra il VII capitolo, in cui riconosce l’importanza e il ricorso all’arte sacra da parte della Chiesa nei secoli, senza che questa tradizione abbia stabilito un canone stilistico particolare (come è avvenuto, per esempio, nella Chiesa Orientale). Condizioni per l’accoglienza di opere e progetti per lo spazio sacro sono il rispetto e la corrispondenza al rito che sono chiamati ad accompagnare ed ospitare, una forma sobria, di “nobile bellezza”, la capacità di favorire la partecipazione e l’edificazione dei fedeli.

Seguono indicazioni operative per sollecitare una ricerca artistica autentica, sempre più consapevole della mistagogia dei sacramenti e della Parola, attraverso il riferimento costante alla Commissione di Arte Sacra ed alle Conferenze Episcopali regionali, ma anche con l’istituzione di accademie di arte sacra per la formazione degli artisti. Parallelamente, anche i chierici dovrebbero ricevere nel percorso seminariale un’istruzione sulla storia e i fondamenti dell’arte sacra, per potersi occupare con competenza sia del patrimonio loro affidato dalla Chiesa che della committenza di nuove opere, arredi e adeguamenti liturgici.

Se sul piano pratico, secondo quanto afferma Ralph van Bühren a Chiara Santomiero (intervista su Aleteia del 24-6-2013), ancora molte di quelle intenzioni aspettano un’applicazione sistematica, sul piano teorico e pastorale il Magistero ha approfondito le intuizioni racchiuse nel documento conciliare in numerose occasioni di incontro con gli artisti, a partire dall’omelia di S. Paolo VI nella Messa degli Artisti celebrata in Cappella Sistina il 7 maggio 1964. Il Santo Padre riconosceva la necessità di riannodare il filo di un dialogo tra artisti e Chiesa che si era interrotto ma che era necessario riaccendere per quella missione particolare dell’arte di “carpire del cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di parola, di colori, di forme, di accessibilità”. Arte e sacerdozio sono accomunati dalla tensione a cogliere e tradurre, nelle cose sensibili, la trascendenza, il mistero, ma hanno bisogno l’uno dell’altra: se il ministero è balbettio incerto senza la “forza dell’espressione lirica della bellezza intuitiva”, l’arte pare smarrire la sua finalità se non è introdotta nella “cella segreta, dove i misteri di Dio fanno balzare il cuore dell’uomo di gioia, di speranza, di letizia, di ebbrezza”, dove soffia il vento della grazia, dell’ispirazione. Nel 1973, a coronamento del patto di amicizia stretto con gli artisti ed auspicando una nuova primavera dell’arte sacra nel rispetto del “canto libero e potente” dello Spirito, S. Paolo VI inaugura la Collezione di Arte Religiosa Moderna dei Musei Vaticani.

S. Giovanni Paolo II portò avanti l’esortazione agli artisti ad essere “custodi della Bellezza”, di cui il mondo contemporaneo ha bisogno “per non sprofondare nella disperazione” (Messaggio agli Artisti, Chiusura del Concilio Vaticano II, 8-12-1965): nel 1982 fonda il Pontificio Consiglio per la Cultura nella convinzione della necessaria sintesi fra cultura e fede; nel 1994 nella messa per la fine dei restauri definì la Cappella Sistina “santuario della teologia del corpo umano”, che esprime la “speranza di un mondo trasfigurato…inaugurato dal Cristo risorto e prima ancora dal Cristo del monte Tabor”. Nella Lettera agli Artisti (23-4-1999) paragona la creazione dell’artista all’atto creatore di Dio, cui partecipa in quanto Sua immagine e somiglianza: l’arte autentica penetra necessariamente nella sfera religiosa poiché cerca di rispondere alle domande fondamentali dell’esistenza e di carpire il mistero dell’universo; è quindi “voce dell’universale attesa di redenzione”, affine a quella della fede , “luogo teologico” (P. M. D. Chenu) essa stessa, non semplice illustrazione estetica di verità di fede. L’intera creazione “attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio” (Rm 8,19) anche attraverso l’arte: nella Sacra Scrittura e nell’incarnazione del Figlio c’è la rivelazione del destino dell’uomo. Il Pontefice sollecita gli artisti ad immergersi nel mistero del Risorto per ritrovare lo stupore e la ricchezza della vita e aprire gli animi al senso dell’eterno. Durante il Giubileo degli artisti (udienza del 18-2-2000) S. Giovanni Paolo II sottolineò l’analogia tra attività artistica e l’ “arte della santità”, entrambe sostenute dalla grazia (l’“ispirazione” nell’arte). L’artista è mosso da una “salutare inquietudine” a superare la mediocrità e la banalizzazione dell’esistenza nella ricerca del bello, che è la particolare vocazione a lui rivolta dal Creatore della Bellezza: l’arte così diventa una “via verso Dio”.

Anche Benedetto XVI rivolse un appassionato Discorso agli Artisti nella Cappella Sistina (21-11-2009), richiamando i concetti espressi dai due predecessori e approfondendo la valenza teologica della via pulchritudinis. La bellezza autentica, infatti, come già intuì Platone, colpisce l’uomo, lo fa uscire da se stesso, lo richiama al “suo destino ultimo… gli dona il coraggio di vivere fino in fondo il dono unico dell’esistenza”. Il teologo H.U. von Balthasar fa della bellezza la base della sua Gloria. Un’estetica teologica, perché “essa non fa che incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto”. Simone Weil vede in tutto ciò che suscita il sentimento puro e autentico del bello “una specie di incarnazione di Dio nel mondo, di cui la bellezza è il segno. Il bello è la prova sperimentale che l’incarnazione è possibile. Per questo ogni arte di prim’ordine è, per sua essenza, religiosa”. Citando S. Agostino che identifica la fine della Storia con una visione che supera tutte le bellezze umane, naturali e celesti in quanto saremo confrontati con la “fonte di ogni altra bellezza”, Benedetto XVI esorta gli artisti a farsi “annunciatori e testimoni di speranza” parlando al cuore dell’umanità e di non temere il rapporto con la fede dei credenti, pellegrini anche essi in un mondo sempre più materialistico, rassegnato e sfiduciato.

Papa Francesco in innumerevoli occasioni si è espresso con entusiasmo a favore delle arti, vero baluardo difensivo contro il precipitare del mondo contemporaneo in meccanismi menzogneri e logiche di potere: l’arte è via maestra per accedere alla fede perché la bellezza “unisce Dio, l’uomo e il creato in un’unica sinfonia”, “congiunge il passato, il presente e l’avvenire”, “attira nello stesso luogo e coinvolge nel medesimo sguardo genti diverse e popoli distanti”, “è sorgente di armonia e di pace, ed esprime la dimensione della gratuità” (Udienza con i Patrons of the Arts dei Musei Vaticani, 28-11-2018). Egli pone in primo piano l’esigenza etica, il bisogno di novità che attraversa l’umanità di oggi e l’artista, “fanciullo” e “veggente” (R. Guardini) è chiamato ad essere profeta del nuovo, costantemente in tensione tra realtà e sogno, “alleato del sogno di Dio!” (Discorso agli Artisti in Cappella Sistina del 23-6-2023). Proprio in quanto “sentinelle” dell’umanità, gli artisti sono la coscienza critica della società, sulle cui tenebre possono gettare la luce della speranza perché bellezza è soprattutto armonia, riflesso dello Spirito del Creatore cha compone in unità non omologante le diversità. Nell’Omelia per il Giubileo degli Artisti (letta in S. Pietro il 16-2-2025) l’appello di Papa Francesco si fa più vibrante per l’urgenza della situazione mondiale e, forse, per il tempo che sentiva scorrere via: chiama gli artisti e gli uomini di cultura “testimoni della visione rivoluzionaria delle Beatitudini”, con il compito di “rivelare la verità, la bontà e la bellezza nascoste nelle pieghe della storia, di dare voce a chi non ha voce, di trasformare il dolore in speranza”.

Il Santo Padre sembra affidare ad artisti e poeti (cf “Viva la Poesia!”, a cura di A. Spadaro, febbraio 2025) l’essenza del suo Magistero, l’annuncio di un mondo veramente nuovo: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose!” (Ap. 21,5). Né tale compito si configura come un’utopia, perché il paradosso dell’arte cristiana è proprio la “bellezza” del Crocifisso, il “pastore bello che dà la vita per le pecore”: “nel dono di sé, Cristo trasfigura in bellezza da contemplare ciò davanti a cui di solito ci si copre il volto, cioè la morte…Poiché diventiamo ciò che contempliamo, chi contempla la Bellezza di chi ha dato tutto avrà il desiderio di dare tutto” (J. P. Hernández “Vedere la bella notizia”, Paoline 2025, p. 25.27).

Caricati di una responsabilità così grande, artisti, operatori della cultura e uomini sensibili, non possiamo che ricevere il mandato tessuto con tanta cura dai Pastori universali a partire dal Concilio Vaticano II e lavorare, pregare e auspicare una feconda pioggia dello Spirito che illimpidisca il nostro sguardo, purifichi i nostri cuori accendendo la visione di un nuovo orizzonte della Storia, in comunione con il Padre e con i fratelli.