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autore
Benedetto Colucci

Gli ideali di compassione e perdono, riassumibili nella parola amore, sono posti al centro della maggior parte delle tradizioni religiose. I più grandi maestri e guide spirituali si sono adoperati per rafforzare i legami d’amore tra gli esseri umani, e molte opere artistiche, letterarie e filosofiche sono state create con l’obiettivo di edificare la comunità e ispirare a un amore più elevato.
Nonostante la nobiltà di tali insegnamenti e sforzi, secondo la tradizione cristiana ortodossa risultano comunque insufficienti. Come afferma l’anziano Padre Kallistratos:

«L’amore non è sorto dalla terra, ma è concesso dal cielo ».1

In questa affermazione si riassume l’approccio cristiano apostolico e patristico alla vita spirituale e all’acquisizione delle virtù.
Nel cristianesimo ortodosso, l’amore è l’ultima virtù ad essere acquisita, ma la prima per valore. L’amore, la compassione ed il perdono, insieme a tutte le altre virtù, sono considerati attributi esclusivi di Dio: « Non c’è nessuno buono se non Uno solo, che è Dio » (Mt 19,17). Queste virtù non possono dunque essere possedute o generate dagli esseri umani.
Ciononostante, gli esseri umani sono stati creati per partecipare e condividere pienamente la vita di Dio. Siamo, quindi, chiamati a manifestare amore, compassione, perdono e le altre virtù come frutti della crescita spirituale verso la somiglianza a Dio.

Il punto di partenza della comprensione ortodossa della compassione e del perdono è Dio. Dio, il Creatore amorevole. Dio, il Padre misericordioso e compassionevole. Dio che è « clemente e pieno di compassione, lento all’ira e di grande misericordia » (Sal 145,8).
La verità fondamentale dell’infinito amore e compassione di Dio per noi è sottolineata in tutti gli inni della Chiesa. Ripetutamente nella liturgia ortodossa, i fedeli invocano Dio come Philanthropos – l’Amico, l’Amante dell’uomo – e celebrano la loro esperienza della Sua bontà e amorevolezza. Il ritornello incessante del cristiano ortodosso è Kyrie, eleison – Signore, abbi pietà – che non viene mai cantato con disperazione, ma sempre nella speranza e nell’aspettativa che Egli lo faccia davvero, perché è il Dio della « grande misericordia ». « Dio è amore » (1 Gv 4,8).

I Padri della Chiesa Ortodossa insegnano che Dio è chiamato amore, non semplicemente per il Suo amore per l’uomo, ma perché Egli stesso è una comunità d’amore, una comunione di Persone Divine unite in un eterno amore disinteressato. Padre, Figlio e Spirito Santo non sono maschere diverse indossate da una divinità solitaria, ma piuttosto i Nomi con cui le vere Persone della Santissima Trinità si rivelano in una relazione libera e amorevole tra loro: il Padre, che è la fonte della divinità, il Figlio che è generato eternamente dal Padre, e lo Spirito Santo che procede eternamente dal Padre e riposa eternamente nel Figlio.

Solo Dio è amore, ma l’uomo è stato creato ad immagine del Dio Uno e Trino: Padre, Figlio e Spirito Santo. Proprio come il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo condividono un’unica vita divina, così noi esseri umani siamo tutti chiamati a una vita comune di comunione nell’amore. Secondo l’insegnamento ortodosso, il Signore Dio ci ha creati espressamente per condividere la Sua vita divina e per partecipare pienamente a tutti i Suoi attributi divini: santità, amore, bellezza, gloria, immortalità e così via. I Padri chiamano questa nostra vocazione divina Theosis, che nella tradizione ortodossa significa deificazione o glorificazione. Gli esseri umani sono chiamati a diventare, per grazia di Dio, tutto ciò che Egli è per natura. Creati a immagine del Dio Uno e Trino, gli esseri umani sono personali e relazionali. Come per le Divine Persone della Santissima Trinità, la personalità di ogni uomo si rivela nella relazione: persona umana si realizza e si rivela solo nella comunione con Dio e con i suoi simili, nella libertà dell’amore. Questo dono divino della libertà significa che la realizzazione della vita umana nell’amore non è mai stata un evento automatico.

Sant’Ireneo di Lione spiega che l’uomo, al momento della sua prima creazione, era « come un bambino » e aveva bisogno di crescere attraverso la cooperazione con la grazia divina fino all’amore perfetto e alla piena unione con Dio.2

Come tutti sappiamo fin troppo bene, abbiamo abusato della nostra libertà e ci siamo allontanati dalla nostra alta vocazione a condividere la vita eterna di Dio.
Nell’insegnamento ortodosso, la « Caduta dell’uomo » non è stata una discesa da uno stato elevato di perfezione, ma piuttosto una sorta di arresto dello sviluppo di una creatura la cui vocazione è molto più grande di quanto possa immaginare. Allo stesso modo, il peccato non è concepito principalmente come trasgressione legale, come violazione di regole, ma come rottura di una relazione. Soprattutto, è una mancanza di amore – una mancanza di realizzazione nella nostra vita della compassione di Dio, a cui siamo chiamati a partecipare ed a manifestare agli altri.
In effetti, tutta la Legge, tutti i comandamenti dati al popolo di Dio, sono riassunti nel Comandamento dell’Amore: amare Dio con tutto il nostro cuore, con tutta la nostra forza e con tutta la nostra mente, e amare il prossimo come noi stessi (Dt 6,4, Lv 19,18). Questa era la nostra vocazione fallita; questo è ciò che il Signore Gesù Cristo è venuto a compiere.
« Vinto dall’amore », scrive San Romano il Melode, Dio « venne al mondo per cercare la sua creatura che si era smarrita ».3

A causa della sua infinita compassione, Cristo, che era per natura Dio, si fece uomo, per restituirci alla nostra vera vita in comunione con Dio. Il diavolo ci aveva ingannati allontanandoci da questa vita, dall’amore verso Dio e il prossimo. E così, secondo San Massimo il Confessore, lo scopo stesso dell’Incarnazione di Cristo era quello di liberarci dal potere del diavolo e di « revocare l’antica maledizione di Adamo » attraverso il completo compimento dell’amore:

« Che guerra meravigliosa! Invece dell’odio mostrò amore e con la bontà sconfisse il padre del male. Perciò sopportò tanto male per mano loro, o meglio, per amor loro, e combatté come un uomo fino alla morte per il comandamento dell’amore ».4

« L’amore è concesso dal cielo ». In Cristo, l’uomo è reso nuovamente capace di crescere liberamente verso la vita divina dell’amore disinteressato. Questo è il cuore della fede cristiana ortodossa: una relazione trasformante e salvifica con il Cristo vivente. L’Ortodossia ha preservato con cura l’antico modello terapeutico cristiano di salvezza, insegnando che la Chiesa è l’ospedale spirituale in cui il cuore umano – biblicamente, il centro della persona umana – viene guarito dal perdono compassionevole di Dio.

Questa « terapia della salvezza » è un duplice percorso, intrapreso attraverso la partecipazione ai santi misteri (sacramenti) della Chiesa, gli atti sacri con cui Dio condivide la Sua vita e grazia increate con l’uomo, e attraverso gli sforzi ascetici – preghiera, adorazione, digiuno, elemosina – con cui il cuore umano si apre a ricevere questa grazia divina. Solo quando i nostri cuori sono guariti dalla grazia di Dio e iniziamo a crescere nella vita che siamo chiamati a vivere in unione con Lui, possiamo veramente imparare ad amare.
L’inizio della vita spirituale è l’accettazione da parte dell’uomo della misericordia e del perdono sconfinati di Dio. Tuttavia, affinché l’amore di Dio permei i nostri cuori, dobbiamo lottare in cooperazione (synergeia) con la grazia divina per liberarci dalle passioni egoistiche. Questa lotta necessaria non viene intrapresa alla leggera, come spiega Sant’Ignazio (Brianchaninov):

« All’inizio del lavoro, il discepolo dell’amore deve sopportare la lotta brutale con se stesso, con la propria natura profondamente danneggiata; il male, innato nella natura umana dalla caduta nel peccato, divenne per essa una legge bellicosa e ribelle alla Legge di Dio, alla legge del santo amore ». 5

La vita spirituale richiede, nelle parole di San Gregorio Magno, che offriamo « a Dio sull’altare dei nostri cuori il sacrificio di noi stessi ».6
Sebbene questo sacrificio di sé e questa lotta contro preoccupazioni egoistiche e utilitaristiche siano difficili e durino tutta la vita, le ricompense sono abbondanti, come dice Sant’Ignazio:

« Il miglioramento nell’amore offre inspiegabili consolazioni spirituali, gioia e illuminazione ».7

I Padri della Chiesa sottolineano ripetutamente il principio biblico secondo cui essere perdonati e perdonare sono due facce della stessa medaglia spirituale. San Teofane il Recluso scrive:

« Perdoniamo – e saremo perdonati; perdoniamo di nuovo – e saremo di nuovo perdonati; e così via senza fine. Chi perdona camminerà egli stesso sotto il perdono totale di Dio, nell’abbraccio della misericordia e dell’amore di Dio ».8

Infatti, scopriamo e approfondiamo la nostra esperienza di perdono perdonando gli altri, come ci insegna San Massimo il Confessore:

« Amiamoci gli uni gli altri e lasciamoci amare da Dio; siamo pazienti gli uni con gli altri ed Egli sarà paziente con i nostri peccati. Non rendiamo male per male e non riceveremo il dovuto per i nostri peccati. Perché troviamo il perdono dei nostri peccati nel perdonare i nostri fratelli; e la misericordia di Dio è nascosta nella misericordia verso il nostro prossimo ».

Per San Massimo, la relazione tra il perdono di Dio verso di noi e il nostro perdono verso gli altri – il « Perdona, e sarai perdonato » significa che « la nostra salvezza è nelle mani della nostra volontà ».9
In altre parole, ci è stata data la possibilità di ricevere la misericordia e il perdono di Dio, e noi esercitiamo questa scelta scegliendo di perdonare: Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
I Padri, tuttavia, riconoscono sempre che la crescita nella vita spirituale è un processo graduale. Quando i nostri cuori sono stati così a lungo feriti e oscurati dalle nostre passioni e dalle ferite ricevute dagli altri, non possiamo semplicemente o improvvisamente scegliere di manifestare la pienezza dell’amore e del perdono di Dio. Nella sua guida alla vita spirituale, Il Cammino della Salvezza, San Teofane delinea una serie di passi pratici che il cristiano deve seguire:

« Certo, non è possibile acquisire all’improvviso una pace così profonda e abbondante da inghiottire ogni colpo offensivo. Il primo grado di insensibilità alle offese e, di conseguenza, del perdono è il silenzio. Quando ti offendono, taci. Fallo una volta, e la volta successiva tacerai più facilmente; e più spesso taci, più spesso affronterai le offese con meno turbamento. La mancanza di turbamento porterà riposo, mentre il riposo rinascerà come pace. Allora, di fronte alle offese, sarai come un muro solido esposto ai granelli di sabbia sollevati dal vento. Il perdono frequente delle offese non solo conferisce facilità e abilità a questo, ma sviluppa persino una sete di offese, per amore del Signore, durante la quale chi viene colpito sulla guancia porge l’altra, e chi è costretto a porgerne una Un miglio vale due. Questa è un’altezza che a noi sembra irraggiungibile, ma alla quale chi ha iniziato a perdonare come si deve ascende facilmente, naturalmente, senza particolari sforzi ».10

L’enfasi dei Padri sulla nostra necessità di scegliere di perdonare non cambia mai la verità fondamentale che tutto l’amore e il perdono appartengono solo al Signore; noi possiamo solo partecipare e manifestare il Suo amore. In quei momenti della nostra vita spirituale in cui sentiamo il nostro cuore.


NOTE

1. Velimirovich, Nikolaj. Cassiana: Lezioni sull’amore divino e cristiano, Asterios editore 2020, 80.
2. A. Bendit, Saint Irénée. Introduction à l’étude de sa théologie, Paris 1960, 227-223.
3. Romano il Melode, I Kondakia, Silva editore 2004, 180.
4. Massimo il Confessore, Sulla carità, ESD 2024, 65.
5. Ignazio Brianchaninov, Preghiera e lotta spirituale, Gribaudi 2000, 30.
6. Gregorio Magno, Opera Pastorale, UTET 2013, p 46.
7. Ignazio Brianchaninov, Preghiera e lotta spirituale, Gribaudi 2000, 80.
8. Teofane il Recluso, La vita spirituale, Città Nuova 1996, 153.
9. Massimo il Confessore, La vita ascetica, Libri Libreria Editrice Fiorentina 1944, 66.
10. Teofane il Recluso, La vita spirituale, Città Nuova 1996, 54.