Nel suo libro “Più grande del mare” l’autrice propone la figura del missionario Matteo Ricci, gesuita missionario in Cina alla fine del Cinquecento che ha saputo incontrare la millenaria cultura cinese attraverso il dialogo basato sull’amicizia vissuta con umanità, reciprocità, concordia, benevolenza. Questa via di apertura e di dialogo è stata vissuta dal missionario gesuita come un’esigenza profondamente umana nata dalla contemplazione di una visione, quella di un mondo in cui è possibile stabilire legami di pace e di amicizia tra civiltà diverse.

Ardea Montebelli

Padre Matteo Ricci, considerato uno dei più eminenti missionari cristiani che si è fatto “cinese con i cinesi”, l’unico straniero ad essere sepolto nella Città Proibita a Pechino, ad oltre 400 anni dalla nascita al cielo, è ancora ricordato in Cina con stima e gratitudine. Missionario di pace e di amicizia, grazie a lui due tra le più celebri civiltà di tutti i tempi, la dinastia cinese dei Ming e il Rinascimento europeo, si sono incontrati nel comune vincolo della relazione culturale e spirituale.
Padre Matteo Ricci appare indubbiamente la stella più luminosa nel firmamento degli scambi culturali tra Occidente e Cina; egli infatti ha stabilito un ponte solido e duraturo tra le due grandi civiltà, gettando basi di ogni futuro dialogo basato sulla comprensione reciproca. Questa figura di mistico esploratore è ancora oggi esempio di un atteggiamento evoluto ed etico volto all’incontro del diverso.

Come è stato sottolineato con acutezza, secondo Matteo Ricci: «L’amicizia, dunque, non è semplicemente un concetto teorico, volto esclusivamente all’evangelizzazione del popolo cinese, ma è anche un’esigenza esistenziale che si fa spazio con umanità all’interno della missione dei padri gesuiti e nel suo stesso animo. (…) Il suo metodo è basato sulla potenza esistenziale del dialogo, che riesce a trasformare l’animo dell’uomo, seppur richiedendo molta sofferenza, solitudine e dedizione»1. Senza passione per il popolo cinese, per la sua arte e cultura, la missione ricciana non avrebbe potuto in nessun modo ottenere gli effetti desiderati né lasciare quell’orma profondissima che oggi le viene riconosciuta.

Per Matteo Ricci l’amicizia costituisce una via di apertura alla fede e alla conversione, «egli ha mostrato alla Cina e all’Europa come l’amicizia possa essere la base per poter trasformare il proprio animo e abbracciare un futuro nuovo, privo di conflitti e in grado di tracciare i contorni di una società nuova. L’inculturazione, dunque, è un sogno, una visione, in cui l’amicizia rappresenta il legame tra mondi lontanissimi, tra uomini diversi che, percorrendo strade diverse, possono giungere alla stessa meta»2.

Matteo Ricci affermò che molti brani dei testi classici cinesi concordavano con la dottrina cristiana, a tal proposito fece un parallelismo tra il cristianesimo e il confucianesimo. Il tema dell’amicizia come via della conoscenza e della concordia è fondamentale anche nel confucianesimo. Secondo Confucio, sono cinque le relazioni armoniose fondate sul principio di reciprocità attraverso le quali si esercita l’umana benevolenza: relazione tra padre e figlio, relazione tra sovrano e suddito, relazione tra fratello maggiore e fratello minore, relazione tra moglie e marito, relazione tra amico e amico. Queste relazioni armoniche sono la solida base su cui si costruisce la struttura di uno Stato saldo e duraturo. “Più grande del mare” è il titolo dell’opera che qui propongo, dedicata a padre Matteo Ricci, “operatore di pace” che ha saputo avvicinare con singolare spirito di amicizia la millenaria cultura del Regno di Mezzo, come si evince dai brani delle lettere citate. Ho accompagnato questi passaggi con inserti calligrafici, fotografie e poesie. L’insieme diviene eco vibrante del cammino di un sacerdote che ha saputo pacificamente vivere e comunicare la Gioia del Vangelo in contesti lontani e refrattari.


NOTE

1. A. Spadaro – A. De Caro, Letterati Confuciani e Primi Gesuiti in Cina – L’amicizia come base del dialogo interreligioso, in “Civiltà Cattolica” 3995, 10 dicembre 2016, p. 447.
2. Ibidem, p. 459.


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