In memoria

Il 23 settembre scorso è scomparso Pasquale Maffeo, uno dei maggiori scrittori cattolici del dopoguerra. Intellettuale di grande integrità morale e di profonda cultura, narratore, poeta, saggista e traduttore, gli è stato dedicato un “Armadio” nell’importante Archivio degli autori cattolici dell’ l’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano. Per ricordarlo pubblichiamo un limpido saggio che Grazia Sotis, scrittrice e saggista, ha dedicato in particolare alla sua attività di poeta e traduttore.

« I fiumi del bene scorrono in silenzio, questo ho scoperto. […] La nostra vita cammina nel chiaroscuro delle giornate, dei mesi, degli anni. Se non squarciasse le tenebre, la luce non avrebbe senso» […] «Ove occorra, sarò pietra d’inciampo, pilastro di scandalo che non teme la solitudine dei naufragi della storia »

(Pasquale Maffeo, Memoriale di un papa , Caramanica Editore, Minturno 2016)

PASQUALE MAFFEO POETA E TRADUTTORE

La vasta produzione di Pasquale Maffeo, nato a Capaccio nel 1933, contribuisce ad arricchire il vasto panorama letterario e culturale della seconda metà del Novecento e dei primi anni del 2000. Le sue opere coprono il campo della prosa – racconti, romanzi, rappresentazioni teatrali, saggi, traduzioni di autori di lingua inglese – e della poesia. Quest’ultima è raccolta nell’elegante opera omnia Nostra Sposa la Vita (Caramanica Editore) comprendente liriche che vanno dagli anni Settanta all’anno della pubblicazione del volume (2010). La sua vena poetica si rivela anche attraverso traduzioni di poeti, quali John Keats, C. Rossetti, William Blake, e il saggio biografico-poetico su Jacopone da Todi.

Di Maffeo si evidenzia, nella particolarità di questa nota introduttiva alla sua poesia, la valenza lirica e il rapporto con due scrittori in particolare, appartenenti a mondi e periodi diversi: l’inglese W. Blake (Settecento-Ottocento) e Jacopone da Todi (Medioevo italiano). La produzione lirica di Pasquale Maffeo si estrinseca e si sviluppa anche nella resa in italiano di una parte della poesia di William Blake e del racconto biografico di Jacopone da Todi. In questi lavori Maffeo continua la sua attività di poeta. Nella sua scrittura egli coniuga il mestiere di scrittore alle prese con la parola capace di fissare il fluire e l’estensione del pensiero come divenire, come fare, come azione, come possibilità di rendere “il visibile invisibile o l’invisibile visibile”.

Lo sguardo che Maffeo dedica ad altri scrittori lo porta ad andare oltre i confini nazionali e temporali, consentendo alla sua stessa poesia di espandersi e a lui di diventare parte dell’universo. Le parole sono da intendersi come sintesi di esperienza, dove il particolare confluisce nel gesto per cogliere il significato universale nell’epifania della realtà, che l’occhio vede libera della sua dimensione concreta. Ci si chiede perché un poeta dei nostri tempi inviti ad una lettura di Jacopone da Todi. Maffeo lo presenta come la risposta ad un mondo, quello di oggi, che “si dimena, rimarca il vuoto dell’esistere, l’assenza dello sguardo”. L’argomento è reso con una scrittura fluida e accattivante tale da permettere al lettore di intraprendere serenamente un viaggio nel tempo di Jacopone (1233-1306). La lettura scorre veloce, tanto da avere la sensazione di trovarsi di fronte non a un saggio dottissimo, quale è, ma a un piacevole racconto della vita e del lavoro del frate poeta. Maffeo ne analizza la poesia come espressione dell’essere, ed è evidente un’affinità fra lui e Jacopone: nel saggio egli proietta il suo sentire civile e politico, ma soprattutto poetico, nell’intensità con la quale affronta le emozioni e le ingiustizie che umiliano e mortificano l’uomo.

I comportamenti del frate tuberte, gli attacchi verbali, le laude, diventano strumenti di denuncia. Maffeo entra subito in sintonia con il frate, come dimostra il sottotitolo “frate rovente poeta mordente”. Il cammino poetico conduce Maffeo ad una ricerca spirituale che denuncia la povertà esistenziale degli uomini. Nel delineare la vita e l’opera di Jacopone, non avrebbe potuto non sottolineare l’inizio di una crisi spirituale.

Maffeo si addentra nella poesia e ne evidenzia la modernità dei versi “che anticipano di cinque secoli il martelliano: Jacopone disegna a colpi di plastica evidenza e palpiti di commozione la ventura spirituale di Francesco…”. Vita e poesia si intersecano. La poesia diventa provocazione quando attacca i potenti, ma si arricchisce di un profondo afflato drammatico quando racconta i sentimenti, le emozioni e gli stati d’animo. La sofferenza terrena è intessuta con la poesia, è sofferenza di uomo e di poeta. La pazzia di Jacopone è prerogativa del genio, personaggio incompreso, deriso, emarginato, felice di “essere scandalo e pietra d’inciampo”.

Queste parole rivelano il Maffeo poeta: la pietra d’inciampo è della sua stessa lirica, ed è ciò che aiuta a crescere, a divenire, ad andare oltre, ad espandere lo pneuma del genio, della creatività, della pienezza dell’esistenza e dell’essere che entra in sintonia con l’idea dell’assoluto. Maffeo sottolinea la genialità poetica di Jacopone nella capacità di creare con versi di scenica plasticità.

Il periodo in cui visse Jacopone è descritto da Maffeo con un tocco da pittore impressionista, come un tempo “luminoso… tempestoso… che udì i suoni della lingua di Dante e vide i colori del pennello di Giotto”. In questa espressione di Maffeo ritroviamo il poeta che fa sentire il proprio soffio creativo. Con William Blake Maffeo condivide la poesia come fucina di ispirazione e ragione di “godimento del genio” per la creatività e la forza scrittoria che ne derivano. “Is an immense world of delight, clos’d by your senses five”, di Blake, è tradotto da Maffeo con “È un immenso mondo di gioia catturato dai vostri sensi”.

Il “M’illumino d’immenso” ungarettiano, di origine blakiana, si ripercuote in questa traduzione che rende moderna la poesia sia da un punto di vista stilistico sia di contenuto. All’andamento cantilenato di Blake, Maffeo contrappone una versione che apre i versi, li rende più vicini a noi per forza di emanazione e distensione prosastica, liberandoli dalla costrizione del suono che nell’originale sigilla e racchiude la compiutezza della strofa. Quest’ultima, in Blake, è parte di una tradizione volta al recupero di una fonesi che ci riporta agli elementi sonori primordiali, se per essi intendiamo una magia ritmica che evoca ed esorcizza, tale da inglobare il visibile con l’invisibile. Questo è un punto essenziale per avvicinare i due poeti.

Maffeo, attraverso la sua traduzione, s’inoltra nell’universo di Blake, nella comprensione del nuovo mondo mitologico da lui creato in cui appaiono le forze primordiali dell’esistenza, Urizen, Albion, Los, affascinanti e terrificanti, contrastanti e coesistenti, caotiche e ordinate, che sono della mente dell’uomo. Blake con i suoi personaggi, che hanno anche radici nel Vecchio Testamento (dove appare un creatore terrificante e vendicativo), ha voluto fissare dei punti fermi nell’universo dove la mente umana vaga cercando di capire l’origine dell’esistenza e la sua finalità. “Canti dell’Innocenza”, “Canti dell’Esperienza”, “Nozze di Cielo e Inferno” sono le sillogi blakiane che Maffeo sembra prediligere, avendo lui dedicato parte della sua traduzione ad esse. Nella dimensione spirituale troviamo empatia fra Maffeo e Blake ed anche nei risvolti di una forte critica sociale che è presente nelle opere sopracitate. Per quest’ultimo aspetto possiamo parlare di satira sociale, che non risparmia neppure l’apparato religioso.

La dimensione spirituale possiamo evincerla per esempio nella poesia “The Shepherd”, da “Songs of Innocence”.
La seconda strofa della lirica

For he hears the lambs innocent call And he hears the ewes tender reply, He is watchful while they are in peace, For they know their Shepherd is nigh

è così tradotta da Maffeo:

“Ascolta l’innocente chiamare dell’agnello il tenero rispondere della pecora, rimane vigile se madri e figli sono quieti. Essi sentono se il vicino è il loro Pastore”.

La resa stilistica rimanda un orecchio attento alla scrittura di Maffeo, e qui in particolare a “Voce del cammelliere” (in Diciture):

“Risana il sonno il passo dei cammelli, langue la veglia intorno ai fuochi del bivacco, punge l’alba nell’ispida barba…”.

Mettere a confronto una lirica tradotta e una propria mostra una unità di stile attraverso cui  le immagini si complementano e si arricchiscono di significato, sia per la soluzione iconica sia per il contenuto. Il deserto è lo sfondo contro cui si stagliano il pastore e il cammelliere: a un lettore attento, non può non rievocare l’implacabilità del deserto di Ungaretti.

Qui è il caso di dire che la parola si carica di significati, rende l’idea della migrazione in un’immagine, come quella del deserto, dove la dimensione spirituale si esplica nelle diverse sfaccettature. Blake, Maffeo e Ungaretti (quest’ultimo ha tradotto “La tigre” del poeta inglese) mostrano come un influsso venga elaborato ed assimilato per poi essere sviluppato in una sua propria identità. La traduzione diventa l’occasione per una ricerca di sé, del proprio iter poetico. Attraverso il lavorio di ricerca scrittoria il traduttore opera una ricerca personale: la traduzione diventa analisi critica del proprio percorso artistico. Prendiamo ad esempio la lirica di “The Lamb” (da “Songs of Innocence”): “little lamb” è reso da Maffeo con “agnello bambino”, scartando la praziana traduzione di “agnellin”.

Infatti, nella scissione interna tra “I a child & thou a Lamb” io e tu implicano già una simbolica identificazione con un’entità superiore per una ritrovata innocenza e felicità: il bambino, l’agnello, il cammelliere e il pastore sono tutti aspetti dall’alto contenuto trascendentale di cui sono imbevute le rispettive liriche. Il “Cercali i doni” della maffeana poesia “Voce del cammelliere” manifesta il lavorio di ricerca del poeta in un tempo impoverito di significati, e dunque la ricerca del paradiso perduto. Blake aveva interesse per la magia, ed è un aspetto che ritroviamo nella scrittura dei moderni: attraverso di essa scopriamo un linguaggio che diventa fucina di continue metamorfosi.

L’apparente semplicità stilistica di Blake è un banco di prova importante per un traduttore, spinge alla ricerca della parola capace di recuperare l’aurea trascendentale degli oggetti e degli individui. La traduzione e la scrittura sono campi di ricerca complementari per uno scrittore che traduce, comportano scelte e soluzioni lessicali e di immagini acclimatate non solo al proprio gusto, pur cercando di non allontanarsi troppo dall’originale, ma soprattutto al proprio tempo. Il lavoro di traduzione opera un aggiornamento per una comprensione di opere e di autori con i quali abbiamo molto da condividere, malgrado le distanze temporali. Maffeo ha riposto nella poesia tutto il suo io, le si è concesso con sincerità, onestà e grazia in quanto ammette che, nonostante la molteplicità dei possibili significati, essa può avere un limite se non è dettata da vere esigenze di ricerca profonda di sé e di ciò che lo circonda.

L’onestà di un poeta è anche nell’avvertire la possibilità del limite della parola fine a se stessa, che non riesce ad assurgere a simbolo con la capacità di creare richiami e rimandi interni che allarghino l’orizzonte e possano aprire altri livelli di interpretazione e comprensione: il lavoro di traduzione conduce il poeta oltre, a confrontarsi con altre possibilità e soluzioni di stile e di immagini. La proteiformità di linguaggio che riscontriamo in Maffeo, oltre a stabilire un itinerario di crescita e compattezza della sua poesia, fa sì che la parola si arricchisca della sua innata qualità, tale da non rapportare la lirica maffeana a correnti e contenuti prestabiliti.

Grazia Sotis