
dice il vostro Dio .
Parlate al cuore di Gerusalemme
E gridatele che è finita la sua schiavitù,
e stata scontata la sua iniquità,
perché ha ricevuto dalla mano del Signore
doppio castigo per tutti i suoi peccati.
(Is. 40, 1-2 )
Q uesto brano può riassumere il messaggio profetico, che è insieme di condanna del peccato e di correzione del peccatore, mentre manifesta la pedagogia divina scaturente dal suo amore misericordioso. Ogni profeta è, infatti, costituito « per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare » (Ger. 1,10) attraverso la Parola del Signore posta sulla sua bocca. Il profeta è, infatti, portatore di una parola non sua e che spesso comunica senza il consenso diretto della sua volontà e controvoglia ad un popolo di dura cervice (Ez 3,7) che si ostina a non ascoltare.
Una Parola che costringe il profeta alla solitudine per poter essere ascoltata, compresa e poi annunciata: una solitudine che separa il profeta da tutti e dal comune modo di pensare:
, per condurlo sui sentieri di Dio, così diversi da quelli degli uomini, così come lo sono i suoi pensieri (Is 55,8). Una Parola che è gioia e letizia del cuore (Ger 15,16) ed insieme dolce alla bocca, ma amara nelle viscere (Ez 3,1-3), una Parola che promette insieme sventura e consolazione, morte e vita, castigo e salvezza, in cui la misericordia non è sterile irenismo né la severità intransigenza infruttuosa. Una Parola che diviene il centro della storia di questi uomini senza storia, che scompaiono dietro il rapporto conflittuale, e per questo sanante e redentivo tra la parola dell’uomo e la Parola di Dio che si invera nella storia.
Ecco perché il profeta è definito « uomo della Parola ».
2. La misericordia nei Profeti minori
Es 34,6-7 contiene la rivelazione del nome di Dio a Mosè sul monte: Dio si presenta con il suo nome, il Tetragramma, accompagnato da una serie di attributi che ne definiscono l’identità. Egli è il Dio di misericordia viscerale, il Dio di grazia, Dio di ḥesed we’emet, grazia e stabilità (e quindi fedeltà e verità, Sal 85,11: endiadi amore fedele, gratuità stabile e fondata sulla verità).
Gl 2,13 e Gn 4,2 riprendono letteralmente la rivelazione del nome di Dio. Gioele lo inserisce in un’esortazione al popolo perché ritorni al Signore, approssimandosi il giorno del Signore, mediante una liturgia penitenziale: dinanzi a questo Dio, il Profeta invita il popolo a pentirsi, poiché in tal modo l’ira di Dio non si sfogherà, essendo Dio lento all’ira.
Giona rinfaccia indispettito al Signore la sua misericordia che, nel suo caso, ha toni universalistici, estendendosi agli abitanti di Ninive. In ogni caso Gioele e Giona riprendono la definizione di Dio di Es 34,6-7 e in tal senso, guardando alla redazione, si potrebbe ipotizzare che tale è la visione che di Dio hanno e offrono i profeti minori.
I loro oracoli sono di denuncia dei mali del tempo, di previsione del castigo divino, di annuncio di restaurazione in seguito al pentimento. La stesura redazionale li unisce mediante o espliciti richiami di passi (Gl 4,16 in Am 1,2) o prosiegui tematici (Canaan ed Esaù in Abd 1, 20-21 e la missione di Giona a Ninive per contrasto).
Il libretto di Osea è quello in cui il termine ḥesed abbonda maggiormente: ricorre infatti 6 volte. Alla forma assoluta ricorre in 4,1, dove il profeta lamenta la mancanza di ’emet e ḥesed unitamente all’esperienza conoscitiva di Dio, assenza per la quale Dio intenta un riḅ con il suo popolo (le conseguenze di quest’assenza sono delineate nei vv. successivi). In 6,6 ritorna insieme con la conoscenza del Signore, esprimendo nel cap. 6 il rammarico di Dio per questo popolo che vuole conoscerlo (v. 3), ma il cui amore (ḥesed con suff 2 m pl: v. 4) è come nube del mattino e rugiada dell’aurora, per cui Dio è costretto ad ucciderli con le parole profetiche (il tono è tale a dire che queste non basteranno per cui si dovrà ricorrere ad altri giudizi.
Il testo sarà ripreso da Gesù in Mt 9,13). In 10,12 l’invito è a seminare secondo giustizia per raccogliere secondo ḥesed, anche se si tratta di un invito che si sa già non ascoltato (si accostano qui i termini zedaqah e ḥesed: si semina nella giustizia, dalla quale scaturiscono frutti di amore; Gc 3,18 alludendo a tale versetto tradurrà ḥesed con pace). In 2, 21 ricorre con la particella be in un’allitterazione che narra i modi in cui Dio sposerà Israele dopo il tempo del tradimento e dell’abbandono: nella giustizia, nel diritto (ordine sociale: diritto e giustizia discendono dalla santità di Dio e ne sono il riflesso nell’ordine sociale), nel ḥesed e nell’amore viscerale (ordine dell’amore conseguente al primo). A questi si aggiunge la ’emunah, la fede- fedeltà, per cui Israele conoscerà il Signore (in Osea ritorna frequentemente il motivo del conoscere il Signore, associato, fra gli altri, al tema del ḥesed).
Il matrimonio avverrà dopo un nuovo fidanzamento che richiama il tempo del deserto, dove Dio parlava al cuore di Israele e vi parlerà ancora (v. 16: il motivo del parlare al cuore ricorda Is 40). Il tempo del deserto è il tempo della giovinezza di Israele ed è il tempo dell’esodo (v. 17cd). Colei che non è presa da amore viscerale da nessuno (v. 25: ruḥamah), perché gli amanti suoi non li trova più e nessuno la strappa dalle mani del Signore a causa del castigo di Dio stesso che le toglie tutto per farle capire che i suoi amanti non la amano, perché l’hanno abbandonata nel bisogno e capisce che le sue ricchezze erano dono di Dio e non dei suoi amanti (vv. 8-15), il Signore la amerà di amore viscerale (v. 25: riḥamti). Il capitolo si conclude con la formula di alleanza: « Tu sei il mio popolo” – “Tu sei il mio Signore ».
3. La misericordia in Amos
Amos è il primo dei Profeti scrittori. Il nome deriverebbe da una radiche che significa “portare”, “sollevare” e, di conseguenza, “liberare” (Sal 68,20; Is 46,3). La sua attività profetica non è mossa dalla consapevolezza di essere stato chiamato da Dio per portare la sua parola. Rifiuta di qualificarsi come naḅi, profeta, di fronte ad Amasia: in tal senso, sottolinea l’origine divina della sua vocazione, accettata non senza resistenze, come un uomo tremante di fronte al leone che ruggisce (3,8). Il suo intervento profetico si situa sotto Geroboamo II (786 – 746) negli anni 760-750. Nonostante si rivolga al Regno del Nord, Amos è originario di Tekoa, una località distante 12 Km da Gerusalemme e 9 Km da Betlemme, situata al confine con il deserto di Giuda.
Amos appare come un contestatore solitario, la cui attività profetica dura o un mese o un anno, fino alla sua cacciata da Samaria in seguito all’incontro con il sacerdote Amasia. I luoghi degli oracoli sono il santuario di Betel e la stessa città di Samaria. Quando Tiglat-Pilezer III (747-722) inaugura la sua politica di espansione annettendo IL Regno del Nord, Amos torna a Tekoa e decide di mettere per iscritto i suoi oracoli.
Le interpretazioni circa il messaggio di Amos sono varie: è difficile, infatti, comprendere, come gli oracoli di giudizio possano costituire l’espressione di misericordia di Dio e non essere, invece, una condanna senza appello manifestata al Regno del Nord. Alcuni studiosi affermano che Amos sia l’ultima occasione che Dio dona ad Israele perché si converta, altrimenti non lo avrebbe inviato.
In 2,6-16 sono elencati i peccati di Israele: i ricchi considerano i poveri un nulla oppure costringono alla povertà e alla schiavitù per debiti irrisori (può essere interpretato nei due sensi. Per la schiavitù per debiti (2 Re 4,1; in Es 22,25-26; Dt 24,17 è proibito trattenere il mantello la notte come pegno).
Amos combina il linguaggio dell’oppressione con quello cultuale. Dinanzi alle opere di Dio, gli Israeliti hanno risposto attentando ai suoi servi: ai nazirei hanno fatto bere vino e ai profeti impediscono la profezia. Il fuggire è l’unico scampo, ma non servirà neppure all’eroe che resterà nudo (Is 20,3-4 per la nudità segno dell’esilio) in quel giorno, cioè il giorno del Signore di cui si parla in Am 5,18-20: qui l’espressione “giorno del Signore” non è coniata da Amos e sembra essere conosciuta ai suoi contemporanei. Secondo le parole del profeta esso avrebbe dovuto rappresentare un giorno di luce, ma, a seguito dei peccati di Israele, sarà un giorno di tenebra.
Il tema è ripreso in 8, 9,13, ma il tema dell’oscurità appare nei vv. 9-10 del cap.8. Qui il motivo della testa rasata e del sacco come vestito richiama le espressioni del lutto (Gen 34,37; Lm 2,10; Is 15,2; 22,12; Ez 7,18). Il motivo del figlio unico è ripreso in Zc 12,10 e prima in Ger 6,26. Il tema del lutto è universale al v. 8 e questo accade per i misfatti di Israele (si richiama 2,16). A « In quel giorno» del v. 9 corrisponde « Ecco verranno giorni» del v. 11: qui la fame e la sete non saranno di pane e di acqua, ma di ascoltare la parola del Signore, cioè la parola profetica, ritenuta importante, anche se assoldata al re (7,12-13).
Dal Mediterraneo (occidente) al Mar Rosso (meridione) e da settentrione ad oriente vagheranno per cercare, cioè per chiedere di ascoltare questa parola, ma non la troveranno.
In Os 5,6 ricorre il motivo del cercare il Signore e del non trovarlo, perché egli si è allontanato da Israele. Il motivo del cercare il Signore ritorna in 5,4.6.14, ma adesso il cercare, non eseguito, è diventato un chiedere la parola del Signore che più non viene data.
Solo l’esilio permetterà una felice conclusione agli oracoli di avvertimento di Amos.
