
L’Ortodossia non può essere compresa al di fuori dell’amore, e l’amore autentico si manifesta in due dimensioni fondamentali: il perdono e la misericordia. Queste due virtù esprimono l’essenza stessa dell’opera salvifica di Dio e costituiscono criteri essenziali per il discernimento di una vita spirituale autentica. Ben lontani dall’essere semplici norme morali o manifestazioni affettive, il perdono e la misericordia rappresentano modi di esistere in Cristo, liberamente assunti dal credente nel cammino della deificazione.
A partire dalla preghiera del “Padre Nostro”, nella quale il fedele implora il perdono divino « come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori», fino alla terribile parabola del Giudizio Universale (Mt 25), in cui Cristo si identifica con l’affamato, il nudo e il malato, l’intero Vangelo si articola attorno a queste due dimensioni dell’amore: il perdono accolto e donato, e la misericordia concreta verso il prossimo.
Non a caso, la Chiesa le rinnova incessantemente nella propria vita liturgica, ascetica e caritativa.
La teologia ortodossa insegna che il perdono e la misericordia non sono solo atti di eroismo, ma condizioni ontologiche per la partecipazione alla vita divina. Esse non possono essere ridotte a gesti esteriori, ma richiedono una profonda conversione del cuore.
Il perdono implica la rinuncia al giudizio, mentre la misericordia esige umiltà, sacrificio e una vera solidarietà con l’altro. In tal senso, il Padre Rafail Noica osservava che “il perdono è l’inizio dell’amore”.
1. Fondamenti biblici del perdono e della misericordia
Il tema del perdono e della misericordia non appare nella Scrittura come una dimensione secondaria del rapporto dell’uomo con Dio, ma come l’essenza stessa dell’economia della salvezza.
Fin dai primi capitoli dell’Antico Testamento, Dio si rivela non solo come Giudice del peccato, ma anche come fonte di misericordia e di pazienza, offrendo una promessa salvifica dopo la caduta dell’uomo: « Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe…» (Gn 3,15), versetto considerato dai Padri come una protoevangelia.
Questa dimensione della misericordia è confermata dalla ripetizione costante, nei Salmi e nei Profeti, della formula: «Il Signore è misericordioso e pietoso, molto paziente con noi e ricco di grazia» (Salmo 102,8), ripresa anche nelle preghiere liturgiche ortodosse.
I termini ebraici ḥesed (amore leale, misericordia attiva) e raḥamim (compassione profonda) esprimono non solo uno stato emotivo, ma un atteggiamento attivo di Dio nei confronti dell’uomo caduto, che Egli desidera rialzare, non condannare.
I testi profetici chiariscono ulteriormente questo aspetto teologico: la misericordia è preferibile a ogni sacrificio esteriore. Nel libro di Osea Dio dichiara per mezzo del profeta: « Poiché voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti » (Os 6,6), versetto ripreso esplicitamente da Gesù nei Vangeli.
Qui si manifesta un’inversione della prospettiva religiosa: non è l’uomo che offre qualcosa a Dio per ottenere misericordia, ma è Dio stesso che offre per primo perdono e amore, aspettandosi in cambio un cuore smerito.
Nei Salmi, il perdono appare come un’opera di restaurazione: « Abbi pietà di me, o Dio, secondo la tua grande misericordia…» (Sal 50). Questo salmo non è solo un testo poetico, ma lo scheletro della preghiera di pentimento ortodossa, recitata quotidianamente durante l’ufficio del mattino e nelle preghiere personali. La sua struttura è estremamente significativa: il salmista non chiede perdono per qualche merito proprio, ma facendo appello esclusivamente alla misericordia divina: «…nella tua grande compassione cancella il mio peccato ».
In questa stessa linea, il profeta Isaia trasmette un messaggio escatologico di perdono: « Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come la neve» (Is 1,18), dove il perdono è descritto come un atto di purificazione ontologica – una trasformazione interiore e non una semplice assoluzione giuridica.
Nel libro del profeta Ezechiele, Dio esprime apertamente la Sua volontà di salvezza per il peccatore: « Io non voglio la morte del peccatore, ma che si ritorna ed essere vivo » (Ez 33,11). Questa dichiarazione non è soltanto un’offerta condizionata, ma un’espressione della volontà salvifica universale di Dio, che l’Ortodossia considera fondamento della chiamata alla conversione.
Nel Nuovo Testamento, il perdono e la misericordia non sono semplici continuazioni dei temi veterotestamentari, ma trovano compimento pieno nella persona di Gesù Cristo. Egli non si limita a insegnare la misericordia: la incarna. Tutta la Sua opera pubblica è una manifestazione continua di compassione verso i peccatori, i malati e i marginalizzati, che non vengono respinti ma restaurati. Alla base di questa restaurazione sta il perdono: « Figlio, ti sono perdonati i peccati » (Mc 2,5), dice Gesù al paralitico, prima ancora di concedergli la guarigione fisica.
Le parabole evangeliche sono punti focali della teologia della misericordia. Nella parabola del figlio prodigo (Lc 15), il perdono del padre è pieno, inatteso, privo di rimproveri o condizioni. L’immagine del padre che corre incontro al figlio diventa simbolo della misericordia divina in azione, mentre la veste, l’anello e il banchetto rappresentano i segni del ripristino della dignità umana. Questa parabola è considerata dagli esegeti ortodossi come un’«evangelo nell’evangelo», perché sintetizza l’intera missione di Cristo.
Nella parabola del buon samaritano (Lc 10), l’accento è posto sull’azione concreta della misericordia: avvicinarsi al ferito, curare le sue ferite, spendere per lui – in contrasto con l’indifferenza del sacerdote e del levita. L’Ortodossia vede in questa parabola non solo un invito alla filantropia, ma una mistica iconografia di Cristo stesso – il Samaritano che si china sull’umanità ferita dal peccato e la guarisce con l’olio e il vino della grazia.
L’Omelia della Montagna (Mt 5-7) include nel cuore della sua etica la beatitudine della misericordia: « Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia » (Mt 5,7). Qui la misericordia è criterio fondamentale di appartenenza al Regno dei Cieli, non solo un’opzione etica. È una virtù reciproca: chi mostra misericordia, ne riceve. Lo stesso principio si ritrova nel versetto: « Perdonate, e vi sarà perdonato » (Lc 6,37), che pone il perdono all’interno di una logica spirituale di reciprocità: chi perdona si apre alla grazia del perdono.
Un passo cruciale è la preghiera del Padre nostro, dove Cristo stabilisce chiaramente la condizione: « Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori » (Mt 6,12). Questa reciprocità non è simbolica, ma normativa: nei versetti successivi, Gesù ammonisce che « se non perdonate agli uomini le loro colpe, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre » (Mt 6,15).
L’Ortodossia ha mantenuto questa dimensione come centro della prassi del digiuno, del pentimento e della confessione. In effetti, in tutti i Sacramenti, il perdono è presente in forma esplicita o implicita. Nell’Eucaristia, la preghiera prima della comunione dice: « Perdonami, Signore, tutti i peccati volontari e involontari…», segno che il perdono è la condizione per entrare in piena comunione con Cristo.
Nel pensiero biblico, il perdono e la misericordia non sono solo attributi di Dio, ma anche comandi rivolti all’uomo. Non basta ammirare la misericordia divina; il credente è chiamato a farsi portatore di essa nei rapporti con gli altri. Nella parabola del servo spietato (Mt 18,23–35), Cristo offre un avvertimento severo: chi non perdona, pur essendo stato perdonato, si attira la condanna. Il re che perdona un debito immenso, ma punisce il rifiuto di perdonare un debito minimo, diventa immagine di Dio giusto e misericordioso, che però esige il riflesso della Sua misericordia nella vita umana. Questa parabola mostra che il perdono è più di un dovere morale: è condizione di accesso al Regno.
L’Ortodossia ha adottato questa pratica non solo in dottrina, ma anche liturgicamente: nella Domenica del Perdono, che precede la Grande Quaresima, i fedeli si chiedono perdono reciprocamente in modo concreto. Questo gesto rituale è una traduzione ecclesiale dell’insegnamento evangelico: senza perdono non può esserci digiuno, preghiera né comunione reale.
Nel Nuovo Testamento, l’elemosina non è solo un dono materiale, ma l’espressione concreta dell’amore cristiano. Negli Atti degli Apostoli, la comunità primitiva metteva tutti i beni in comune e « aveva un cuore solo e un’anima sola » (At 4,32), e la carità era una manifestazione naturale di questa unità.
San Paolo Apostolo esorta frequentemente alle opere dell’amore, indicando che «..tutta la legge si compendia in quest’unico precetto: Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Gl 5,14). Anche la Lettera di Giacomo sottolinea la dimensione pratica della fede: « Il giudizio sarà senza misericordia per chi non ha mostrato misericordia. Ma la misericordia trionfa sul giudizio» (Gc 2,13). Questa affermazione è cruciale: la misericordia diventa non solo virtù, ma criterio del giudizio finale. Per questo l’Ortodossia l’ha mantenuta nei testi liturgici legati alla morte e al giudizio finale.
In tutta la Scrittura, il perdono e la misericordia non sono presentati come debolezze, ma come forze spirituali salvifiche, capaci di ricostituire l’ordine caduto del mondo. Il perdono offerto apre la via alla propria salvezza; la misericordia concretamente vissuta diventa ponte tra cielo e terra. I fondamenti biblici del perdono e della misericordia sono solidi, chiari e vitali. Dio non si limita a richiederli all’uomo, ma li offre per primo, e poi lo chiama a riviverli e ad estenderli nel mondo, attraverso la vita spirituale, comunitaria e eucaristica. In questa luce, l’Ortodossia non fa che continuare e attualizzare il modello evangelico, in cui la misericordia non è solo dottrina, ma vita vissuta in Cristo.
2. La dimensione patristica del perdono e della misericordia
Il pensiero patristico ortodosso sviluppa in profondità il tema del perdono e della misericordia, considerandoli non solo come tratti della morale cristiana, ma come condizioni fondamentali della divinizzazione. I Santi Padri non vedono queste virtù come semplici manifestazioni di buona volontà, ma come espressioni dell’opera della grazia nell’anima umana. Il perdono e la misericordia sono, in questa tradizione, segni di un cuore trasformato dallo Spirito Santo e di un’autentica vicinanza a Dio.
San Giovanni Crisostomo (†407), una delle voci più eminenti della patristica, afferma che « nulla avvicina di più l’uomo a Dio quanto il perdono dei nemici ». Per lui, il perdono non è debolezza, ma testimonianza di una forza spirituale superiore, una vittoria sul male dentro di sé e nel mondo. Nelle sue Omelie sottolinea costantemente che Dio « non ci perdonerà, se anche noi non perdoniamo », riprendendo così esplicitamente il messaggio evangelico.

Nello stesso spirito, San Basilio Magno (†379) mostra che la misericordia non è un’opzione, ma un comandamento divino, radicato nell’essenza stessa dell’essere umano. Nelle Grandi Regole, egli afferma: « Tu non doni del tuo, ma di ciò che ti è stato affidato per essere distribuito », una prospettiva che trasforma l’elemosina in un obbligo ontologico, non solo morale. In un’epoca di grandi disuguaglianze sociali, questo Padre Santo pone al centro il concetto di solidarietà cristica, secondo il quale il prossimo è carne della nostra carne.
San Gregorio Teologo (†390), in un’omelia celebre per la Festa della Natività, dice che Cristo si è incarnato « per guarire con la misericordia ciò che era stato ferito dal peccato ». Per lui, la misericordia non è solo un attributo divino, ma la chiave per comprendere l’opera di Dio nella storia. In un testo poetico e profondamente teologico, egli associa la misericordia alla kenosi (svuotamento di sé) di Cristo, segno che essere misericordiosi significa seguire l’esempio sacrificale del Salvatore.
Una posizione radicale è quella di San Isacco il Siro (†VII sec.), il quale afferma: « Il cuore misericordioso arde per tutta la creazione: per gli uomini, per gli uccelli, per le bestie…». In questa visione, la misericordia è universale, trasfigurante e scaturisce dall’amore che proviene da Dio. Egli lega direttamente la capacità di perdonare e di essere misericordiosi allo stato di illuminazione dell’anima.
Questi Padri, sebbene provenienti da contesti culturali differenti, convergono su un punto essenziale: il perdono e la misericordia sono prove che l’uomo vive in Dio. Non possono essere simulate, né imposte dall’esterno, ma solo coltivate attraverso la preghiera, l’ascesi e la partecipazione alla vita sacramentale della Chiesa.
Un altro momento essenziale nello sviluppo della teologia della misericordia è rappresentato dagli scritti di San Giovanni Cassiano (†435), fondatore del monachesimo occidentale di ispirazione orientale. Nelle Conferenze spirituali, egli afferma che « la custodia dell’amore e il perdono del fratello sono l’inizio della purezza del cuore ». Si insiste particolarmente sul fatto che nessun progresso spirituale è possibile senza la liberazione dal risentimento, che considera una forma di avvelenamento dell’anima. Così, il perdono diventa condizione della preghiera pura e della pace interiore.
San Giovanni Climaco (†649), nella Scala del Paradiso, lega la misericordia e il perdono allo stato di apatheia (assenza delle passioni). Nel gradino diciottesimo, dedicato alla mitezza e alla condanna dei pensieri cattivi, afferma che « il perdono è segno che lo Spirito Santo dimora nell’uomo ». In questo senso, il perdono non è solo una scelta etica, ma una testimonianza mistica, una prova che il cuore è stato illuminato dalla grazia. Di conseguenza, chi non perdona « adora l’odio, non Dio ».
Un altro testimone importante è San Efrem il Siro (†373), le cui composizioni liturgiche sono permeate da una profonda sensibilità al tema del perdono. Egli dice in una preghiera: « Signore e Padrone della mia vita, donami… lo spirito dell’amore e della mitezza », preghiera divenuta centrale nel periodo della Grande Quaresima. La vera mitezza e il perdono non possono nascere da una volontà naturale, ma solo dall’opera misteriosa dello Spirito in un cuore umile.
Nell’epoca bizantina tarda, San Simeone il Nuovo Teologo (†1022) sottolinea che perdono e misericordia non possono essere autentici senza un profondo pentimento. Egli scrive: « Non chiedere perdono se non hai prima perdonato tu stesso tutti dal profondo del cuore. Perché come puoi chiedere a Dio ciò che tu stesso rifiuti di offrire? » Nel suo pensiero, il perdono è un atto sinergico: Dio perdona colui che, dal profondo del cuore, perdona anche lui. Non è uno scambio, ma un’armonizzazione dell’anima con l’azione divina.
Questi Santi Padri contribuiscono a una comprensione complessa ed equilibrata del tema: da un lato, il perdono è dono di Dio; dall’altro, è atto libero dell’uomo. Non è automatico, ma nemmeno meritato. La misericordia, a sua volta, non è solo una risposta alla sofferenza, ma un riflesso dell’amore assoluto di Dio, che si dona senza misura. In questo senso, i Padri sottolineano che perdono e misericordia sono segni che l’uomo è sul cammino della divinizzazione. Non possono essere simulate o imposte, ma solo coltivate attraverso la preghiera, l’ascesi e la partecipazione eucaristica, come risposta alla grazia che purifica il cuore e lo rende capace di vero amore.
Nel periodo moderno e contemporaneo, l’eredità patristica riguardante il perdono e la misericordia viene ripresa e approfondita da padri spirituali e teologi ortodossi che uniscono fedeltà alla Tradizione con sensibilità pastorale verso l’uomo contemporaneo. Un esempio eloquente è Padre Sofronio Sakharov (†1993), che nei suoi scritti afferma che « in ogni gesto autentico di perdono si compie una piccola risurrezione ». Per lui, il perdono non è solo un atto etico, ma partecipazione all’amore sacrificale di Cristo, che fa risorgere l’anima dalla morte dell’odio e della separazione.
Nella stessa linea si situa San Silvano dell’Athos (†1938), la cui celebre esortazione « Tieni la tua mente all’inferno e non disperare » sintetizza il dramma della lotta interiore per l’amore e il perdono. Egli afferma che « l’anima che non ama i nemici non conosce Dio », una frase radicale, ma profondamente radicata nel Vangelo. Nel suo insegnamento, il perdono è la prova ultima della presenza dello Spirito Santo, e il rifiuto del perdono è segno dell’assenza della grazia.
Nella tradizione romena recente, Padre Arsenie Papacioc (†2011) sottolinea che « se non perdoni, ti escludi da solo dal Paradiso ». Nella sua visione, il perdono non è negoziabile: è l’atto con cui l’uomo riapre il cuore a Cristo. Anche la misericordia è vista come una forma concreta di amore nella vita quotidiana – nei gesti piccoli, nelle parole, nella presenza silenziosa. Per questo santo padre, il perdono è l’inizio di una vita nuova.
Padre Dumitru Stăniloae (†1993, recentemente canonizzato), il più importante teologo ortodosso romeno del XX secolo, spiega dogmaticamente che « il perdono è un’opera delle energie increata che ristabilisce la comunione ». In questo senso, il perdono non è solo una riparazione psicologica, ma un atto ontologico, mediante il quale si guarisce la relazione tra le persone alla luce dell’amore trinitario. La misericordia è vista come proiezione dell’amore divino nel mondo, non come semplice atteggiamento caritatevole.
Tutte queste testimonianze convergono in una sola conclusione: nel pensiero patristico e nella viva tradizione ortodossa, il perdono e la misericordia non possono essere separati dalla vita in Cristo. Non sono tratti esteriori, ma il respiro naturale dell’anima che vive in comunione con Dio. Perdonare significa partecipare alla vita della Trinità; essere misericordiosi significa diventare veramente umani, a immagine di Cristo. Alla luce di questa comprensione, l’Ortodossia non propone una morale della misericordia, ma un’antropologia trasfigurata: l’uomo è chiamato non solo a comportarsi con perdono, ma a diventare perdono; non solo a donare misericordia, ma a diventare misericordia – un prolungamento dell’amore divino nel mondo.
3. Il perdono e la misericordia nella vita liturgica e ascetica
L’Ortodossia non separa il perdono e la misericordia dalla vita liturgica, ma li integra profondamente nella struttura stessa della preghiera e della partecipazione ai Sacramenti. Il culto ortodosso è impregnato della richiesta di misericordia e dell’esortazione al perdono, in un linguaggio in cui si incontrano il pentimento personale, la speranza della salvezza e l’amore divino. Non è un caso che quasi ogni ectenia si concluda con l’invocazione: « Signore, abbi pietà! », un grido che non chiede solo aiuto nelle difficoltà, ma esprime il desiderio di ristabilire la comunione con Dio. Questa invocazione si ripete costantemente nella Divina Liturgia, nei vespri, nei mattutini e nei servizi per i defunti. La sua ripetizione non è meccanica, ma teologica: ha un valore sacramentale, come espressione della coscienza del peccato, dell’umiltà e della speranza. Il padre Alexander Schmemann spiega che « Signore, abbi pieta » è il respiro della Chiesa, è la preghiera essenziale del caduto che cerca la risurrezione.
Il Sacramento della Confessione (o della Penitenza) è lo spazio in cui il perdono divino diventa concreto nella vita personale del credente. In questo Sacramento non si enunciano soltanto i peccati, ma si vive il dramma della caduta e il desiderio del ritorno. L’assoluzione pronunciata dal sacerdote: « Il Signore e il nostro Dio Gesù Cristo, con la grazia e con le misericordie del Suo amore per gli uomini, ti perdoni…» è più di una formula giuridica: è una chiamata a tornare in comunione con Cristo e con la Chiesa. La pratica della confessione richiede non solo sincerità, ma anche disponibilità al perdono. Il Canone Ortodosso impone che, prima di ricevere l’assoluzione, il penitente non nutra odio e abbia cercato la riconciliazione con il prossimo. Per questo, il perdono non è solo una richiesta, ma anche un dovere. Il padre Petroniu Tănase, egumeno del monastero di Prodromu, sottolineava: « Non puoi chiedere perdono a Dio se non hai prima perdonato tu. Il perdono non è solo un dono ricevuto, ma anche un’opera compiuta ».
Anche in senso liturgico, un momento profondo è costituito dalla Domenica del Perdono, che conclude il periodo del Triodion e introduce la Grande Quaresima. In questo giorno, i fedeli si chiedono perdono reciprocamente in un atto comunitario e simbolico. Il gesto è semplice: un inchino e le parole « Perdonami! »,« Dio ti perdoni! ». Ma il significato spirituale è immenso: si spezza la catena del rancore, si ricostruisce la comunione, si entra nel digiuno con il cuore leggero. La dimensione ascetica dell’Ortodossia è indissolubilmente legata al perdono ed alla misericordia. L’ascesi non è uno sforzo astratto, ma un movimento concreto dell’anima verso Dio e verso il prossimo, una purificazione interiore che porta alla capacità di amare e perdonare senza condizioni. Senza queste virtù, ogni digiuno, prosternazione o veglia notturna diventa una forma priva di contenuto.
San Giovanni Climaco avverte che « senza perdono, il digiuno è un corpo senza anima ». Per lui, il perdono non è solo una tappa nel cammino spirituale, ma una soglia essenziale, senza la quale nessuno può raggiungere l’amore perfetto, l’ultimo gradino della scala verso il cielo. In questo senso, l’intera struttura della Grande Quaresima è concepita come un percorso spirituale di purificazione dalle passioni, in cui l’elemosina, il perdono e la preghiera procedono insieme. Le preghiere del periodo quaresimale rafforzano questa direzione. La preghiera di San Efrem il Siro, recitata quotidianamente nelle chiese e nelle case, chiede esplicitamente « lo spirito dell’amore, della mansuetudine, della pazienza e del perdono ». È un riassunto dell’intera morale cristiana, in cui la misericordia è vista come un dono chiesto a Dio e non come una prestazione umana.
In questa linea, il padre Dumitru Stăniloae mostra che la vera ascesi non è negazione del mondo, ma « apertura del cuore verso tutti e tutto, in un amore che scaturisce dalla croce ». Questo amore include necessariamente il perdono, che diventa non solo un atto di ristabilimento delle relazioni, ma un’espressione della somiglianza con Dio. Nella spiritualità orientale, il perdono è inteso come un’opera delle energie increata, attraverso le quali Dio restaura l’uomo nella comunione.
La vita monastica offre numerose testimonianze sull’importanza della misericordia e del perdono. Il venerabile Paisios dell’Athos, in una parola rivolta ai laici, dice: « Se non perdonate, non avrete pace. La pace entra nel cuore solo quando dici con lacrime: Perdonami!’ e Ti perdono con tutto il cuore! ». Questa pace è frutto dello Spirito Santo e non può essere ottenuta se non attraverso un’opera interiore costante. La misericordia, nell’Ortodossia, non è solo un’opera individuale, ma anche una realtà comunitaria. La Chiesa, nella sua struttura profonda, è lo spazio in cui si impara e si vive il perdono. Ogni servizio liturgico è una preghiera per la misericordia, per la misericordia di Dio verso gli uomini e per la misericordia dell’uomo verso il prossimo. Questa dimensione comunitaria si vede in modo particolare nei riti liturgici della Quaresima, dove le preghiere sono pronunciate al plurale: « Che il Signore ci perdoni…, Che ci abbia misericordia…, Perdoniamo tutto per la Resurrezione ».
Inoltre, il perdono è inseparabile dall’Eucaristia. L’esortazione del sacerdote: « Amiamoci gli uni gli altri, affinché in una sola mente confessiamo…» indica che non possiamo entrare nella comunione del Corpo e del Sangue di Cristo senza riconciliazione con il prossimo. Il padre Gheorghe Calciu diceva a questo proposito che:« chi si avvicina alla comunione senza perdono, si nutre di fuoco ». È un avvertimento spirituale: il perdono non è solo una preparazione per l’Eucaristia, ma parte del mistero stesso. Nella pratica pastorale ortodossa, la misericordia si manifesta anche nel modo in cui la Chiesa applica le regole penitenziali. I canoni, pur essendo fermi, sono sempre applicati con discernimento e compassione. Il padre Cleopa Ilie, noto confessore e santo romeno, affermava che:« il vero pentimento porta non al giudizio, ma alla lacrima e all’abbraccio ». Questo esprime lo spirito ortodosso dell’“iconomia” , l’applicazione dei canoni nello spirito della misericordia, non della lettera.
Poi, i Santi Padri sottolineano l’idea che la misericordia verso il prossimo ha il potere di lavare i peccati. « Fai elemosina e sarai vivo », dice San Giovanni Crisostomo, e questo insegnamento è stato profondamente integrato nella coscienza liturgica ortodossa, soprattutto nelle preghiere per i defunti, dove si chiede a Dio di ricompensarli per « la loro fede e le loro elemosine ».
In una nuova conclusione, vediamo che la vita liturgica e ascetica ortodossa costituisce non solo un quadro teorico del perdono e della misericordia, ma una vera pedagogia spirituale. In questo spazio, l’uomo impara a perdonare perché è stato perdonato, e impara a essere misericordioso perché vive egli stesso della misericordia di Dio. Il digiuno, la preghiera, la confessione e la comunione non sono fini a sé stessi, ma vie verso la restaurazione dell’amore , verso Dio e verso l’uomo. Così, l’Ortodossia non insegna solo sul perdono, ma lo vive e lo coltiva, in modo vivo, attraverso il culto, l’ascesi e la vita comunitaria. E colui che risponde sinceramente a questo ritmo scopre che la misericordia non è solo un comandamento, ma una grazia, e che il perdono non è debolezza, ma inizio della salvezza.
4. La misericordia come forma di santità nella vita dei santi e della Chiesa
L’Ortodossia non offre modelli astratti di virtù, ma volti viventi di santità, in cui la misericordia e il perdono non sono solo predicati, ma vissuti concretamente, talvolta in condizioni estreme. La vita dei santi è la storia dell’amore in azione, un amore che perdona l’ingiustizia, sopporta la sofferenza e mostra misericordia senza giudicare. In questo senso, la misericordia diventa non un atteggiamento morale, ma una forma di manifestazione della presenza di Dio nel mondo.
Un esempio fondatore è quello di Santo Stefano Arcidiacono, il primo martire cristiano, che, mentre veniva lapidato, gridò: « Signore, non imputare loro questo peccato» (At 7,60). Questo gesto di perdono totale, pronunciato nell’agonia della morte, è visto dai Padri come un riflesso diretto della preghiera di Cristo sulla croce. Attraverso il perdono, Stefano non solo compie il Vangelo, ma diventa un modello ecclesiale di santità e martirio.
Durante le persecuzioni romane, numerosi martiri cristiani hanno testimoniato il potere del perdono. San Ignazio di Antiochia, nel suo viaggio verso il martirio, scriveva alle comunità dell’Asia Minore esortandole all’unità, alla dolcezza e al perdono. Egli considerava la sofferenza non un’occasione per l’odio, ma un’opportunità per « rivestire la dolcezza di Cristo ».
Nel Paterikon egiziano, la misericordia è considerata una virtù superiore persino al discernimento. Abba Agatone diceva: « Senza misericordia, non c’è uomo », parole semplici, ma che sintetizzano la teologia dell’amore misericordioso vissuto nel deserto. La misericordia non era ridotta a opere materiali, ma includeva il perdono di chi sbagliava, la pazienza verso i fratelli, la preghiera per il mondo.
Un altro esempio celebre della tradizione orientale è San Nicola di Mira. La sua misericordia non fu solo sociale – salvò tre ragazze dalla prostituzione offrendo loro una dote –, ma anche pastorale: si dice che abbia interceduto per la liberazione di alcuni condannati ingiustamente, diventando simbolo del giudizio misericordioso. È rappresentato nell’iconografia con una mano alzata in benedizione e una aperta nel dono, un chiaro simbolo del perdono e della misericordia.
Questi modelli non sono presentati dalla Chiesa come eccezioni, ma come la vera misura della santità. L’Ortodossia non riduce la santità alla correttezza dogmatica o all’ascesi isolata, ma la comprende come amore pieno in Cristo, in cui la misericordia è « la via migliore di tutte » (1 Cor 12,31).
Nell’agiografia ortodossa, la misericordia è spesso vissuta in forme inaspettate , oltre la semplice filantropia. Si manifesta nella dolcezza con cui i santi ammoniscono, nell’umiltà con cui sopportano l’offesa e nella preghiera incessante per il mondo e per i peccatori. Questa dimensione può essere vista nella vita di San Serafino di Sarov (†1833), che accoglieva ogni persona con le parole: « Cristo è risorto, mia gioia! », una testimonianza pasquale continua, scaturita da un cuore pieno di grazia e misericordia. Questo santo non giudicava, non respingeva e non poneva condizioni. La sua preghiera costante per tutti coloro che gli chiedevano aiuto era un’espressione vivente della misericordia spirituale. Per lui, la misericordia significava partecipazione attiva alla sofferenza altrui, non solo un’emozione passeggera. « Acquisisci la pace e migliaia intorno a te saranno salvati », diceva, indicando che la misericordia è missionaria in sé, poiché porta la grazia nel mondo.
Nella tradizione dell’Athos, numerosi monaci si sono distinti per la loro misericordia nascosta e il perdono. Uno di questi fu San Silvano dell’Athos, che insegnava che: « il vero amore si riconosce nella preghiera per i nemici ». Nel suo pensiero, la misericordia non è una scelta facile, ma l’opera più difficile e più santa, poiché richiede la crocifissione del proprio ego. Egli vedeva nella preghiera per i nemici la prova suprema che la grazia dello Spirito Santo dimora nell’uomo.
Nel XX secolo, in Romania, Padre Arsenie Papacioc fu un testimone vivente del perdono. Durante il periodo delle prigioni comuniste, pur essendo sottoposto a torture, non nutrì odio verso i suoi aguzzini. Dopo la liberazione, continuò a predicare il perdono e l’amore:« Se non perdoni, non ti salvi. Il perdono è il test del tuo amore. Se non superi questo test, tutto è perduto». Nel suo spirito, la misericordia è la misura dell’Ortodossia vissuta, non solo appresa.
Una forma sottile, ma profonda, di misericordia è la cura per chi è caduto. Nella vita di San Paisie di Neamț (†1794), si riporta che non rimproverava mai i fratelli in pubblico, ma solo in segreto, con molta dolcezza, « per non ferire l’anima ». Questa pedagogia misericordiosa è un aspetto essenziale della santità ortodossa: correggere senza schiacciare, sollevare senza giudicare. Ci viene così mostrato che la misericordia è più di una buona azione visibile. È atteggiamento, pensiero, preghiera, parola detta con cura e volto luminoso. Penetra in tutte le fibre della vita spirituale, dando forma all’umanità in Cristo. Perciò, l’Ortodossia non separa il perdono dalla misericordia, né la misericordia dalla santità. Tutto scaturisce dallo Spirito dell’amore divino, che « tutto sopporta, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta » (1 Cor 13,7). L’Ortodossia non percepisce la Chiesa solo come istituzione o spazio di riunione religiosa, ma come corpo mistico di Cristo, in cui si manifesta incessantemente la misericordia e il perdono di Dio verso il mondo. In questo senso, l’intera vita della Chiesa è una pedagogia della misericordia, dalla parola liturgica fino all’ordine pastorale, dai canoni fino all’iconografia.
La Chiesa Ortodossa si definisce costantemente attraverso l’amore e la riconciliazione. La Liturgia inizia con le parole: « In pace preghiamo il Signore…» e continua con l’invocazione della misericordia: « Signore, abbi pietà! ». Queste non sono semplici formule: esprimono una teologia ecclesiale della misericordia, la Chiesa non è l’assemblea dei giusti, ma di coloro che cercano la misericordia di Dio. Nelle parole di Padre Sofian Boghiu (anch’egli recentemente canonizzato), « La Chiesa è un ospedale, non un tribunal », essa non condanna, ma guarisce attraverso l’amore e il pentimento.
Nell’ordine dei Santi Misteri, questa teologia della misericordia diventa concreta. Il Sacramento della Confessione non è un atto di giustizia morale, ma la restaurazione della comunione. Il Sacramento del Battesimo lava il peccato originale, non perché il bambino sia colpevole, ma perché Dio vuole mostrare misericordia prima che l’uomo la chieda. E nell’Eucaristia, la misericordia si dona sotto forma di pane e vino, come Corpo e Sangue di Cristo, per il perdono dei peccati e la vita eterna.
Sul piano pastorale, questa comprensione si traduce in un atteggiamento di indulgenza, discernimento ed equilibrio. I canoni della Chiesa sono fermi, ma sono sempre applicati nello spirito della misericordia – secondo la regola dell’economia, non dell’accuratezza. Padre Paisie Olaru, confessore e santo esperto del XX secolo, diceva: « Tra giustizia e misericordia, Dio ha scelto la misericordia. Così dobbiamo fare anche noi ».
La comunità ecclesiale è chiamata a diventare icona della misericordia divina. Il perdono reciproco, la cura per il malato, il sostegno del caduto, la preghiera per i nemici, tutte queste sono forme attraverso le quali la Chiesa testimonia di vivere nello Spirito di Cristo. La misericordia diventa così non solo un tema predicato, ma una caratteristica costitutiva della vita ecclesiale.
Come terza conclusione, possiamo dire che l’Ortodossia non parla della misericordia come di un’idea morale, ma come dell’essenza stessa della vita in Cristo. La Chiesa è il luogo in cui la misericordia si riceve, si vive e si trasmette. Attraverso i santi, i servitori, i sacramenti e le preghiere, essa diventa lo strumento dell’amore divino per il mondo. Far parte della Chiesa significa vivere nella misericordia e nel perdono, cioè vivere nello Spirito Santo, nella luce della Croce e della Risurrezione.
5. Conclusioni
Il perdono e la misericordia, così come sono stati analizzati alla luce della Scrittura, della Tradizione patristica, della vita liturgica e della santità ortodossa, non sono semplici tratti di un comportamento cristiano ideale. Rappresentano il modo di essere di Dio e, allo stesso tempo, la chiamata rivolta all’uomo a partecipare alla vita divina. L’Ortodossia non parla del perdono come di un atto psicologico di liberazione emotiva, ma come di un’opera ontologica di restaurazione della persona nella comunione.
Dal punto di vista dogmatico, il perdono è un’opera delle energie increata, attraverso la quale Dio guarisce la relazione con l’uomo e lo reintegra nel Corpo di Cristo. San Gregorio Palamas sottolinea che tutta la vita spirituale si costruisce sulla grazia della riconciliazione: senza perdono non esiste né illuminazione né deificazione. La misericordia, a sua volta, è l’espressione esteriore di questa guarigione interiore: essa diventa opera della grazia operante nell’uomo.
La dimensione comunitaria di queste virtù è essenziale. L’Ortodossia non concepisce la salvezza in isolamento. Vivere in Cristo significa vivere in e con gli altri, e ciò è possibile solo attraverso il perdono e la misericordia. La Chiesa è una comunità di persone che perdonano, si perdonano e vivono della misericordia ricevuta da Dio e donata reciprocamente. In questo senso, il perdono non è solo l’inizio della salvezza, ma la misura reale della crescita spirituale.
Padre Rafail Noica affermava: « ..la misura del nostro perdono è la misura della nostra conoscenza di Dio », una formulazione che sintetizza tutta la teologia della misericordia in Ortodossia. Non possiamo separare il perdono dalla santità, né la misericordia dalla conoscenza di Dio. Perdonare significa lasciare che Cristo abiti in noi, ed essere misericordiosi significa riflettere l’amore del Padre per il mondo.
L’Ortodossia non insegna che l’uomo si salva solo con la fede dichiarata o con l’appartenenza formale alla Chiesa, ma attraverso una vita rinnovata in Cristo, concretizzata nel perdono, nella misericordia, nella preghiera e nella comunione. Questa vita non può esistere senza l’apertura del cuore verso il prossimo. Per questo motivo, il perdono e la misericordia sono espressioni dirette della grazia vissuta e condivisa. In ambito ecclesiale, esse diventano criteri di autenticità della vita in Cristo. Non le conoscenze teologiche, né la posizione canonica, né l’ascesi esteriore definiscono la santità ortodossa, ma la capacità di amare senza condizioni, di essere misericordiosi senza giudicare e di perdonare senza ritardi. Nelle parole di San Giovanni Crisostomo: « colui che perdona somiglia a Dio; colui che serba rancore si separa da Lui ».
Sul piano liturgico e ascetico, l’Ortodossia offre tutti gli strumenti necessari per vivere queste virtù: i Sacramenti, il digiuno, la preghiera, la confessione e l’Eucaristia non sono fini a se stessi, ma vie per trasformare il cuore in uno specchio della misericordia divina. E la comunità cristiana non è solo un’assemblea religiosa, ma un corpo di misericordia e perdono, luogo in cui si impara a vivere insieme l’amore di Dio. Questo amore è sempre attivo: la misericordia non è passiva, non è semplice tolleranza. Si traduce in azioni, in parole dolci, in preghiere per i nemici, nella cura dei caduti, nella pazienza verso i deboli. È « il respiro di Dio nel mondo », come la definiva Padre Sofronio Sakharov.
Concludiamo dicendo che l’Ortodossia propone il perdono e la misericordia non come ideali impossibili, ma come vie reali verso la salvezza, aperte a ogni anima disposta a umiliarsi. Sono segni della presenza di Cristo nell’uomo e la chiave della vita eterna.
Vivere veramente nella Chiesa significa perdonare senza paura ed essere misericordiosi senza misura. Solo così diventiamo « figli del Padre che è nei cieli », che « fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi » (Mt 5,45).
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