
Inoltrarsi nei meandri del tema del perdono è sempre un rischio: da una parte la percezione della pratica del perdonare come un obbligo quasi asettico e meccanico dettato dal «70 volte 7» del Vangelo, con tutta la frustrazione che ne consegue e con la consapevolezza della fatica di metterlo in pratica; dall’altra parte il rifiuto del perdono, giustificato sostanzialmente dalla necessità della vendetta come unica pratica possibile di fronte al male ricevuto.
In entrambi i casi sfugge la possibilità di guarigione e rigenerazione personale per il perdono porta con sé.
1. Perdonare è un pellegrinaggio interiore
Il perdono, nella sua realtà intrinseca, è un processo complesso e personale: un “pellegrinaggio” che tocca varie tappe interiori per poi realizzarsi solo in un ultimo momento, e neppure necessariamente, come apertura concreta verso l’altro.
Tutto ciò richiede tempo, soprattutto di fronte alla consapevolezza di quanto sia faticoso perdonare.
Lo sfondo, sarebbe meglio dire il panorama, di questo cammino è sicuramente l’esperienza di una identità di “perdonati”. Se manca questa consapevolezza ogni pratica di perdono resta relegata nel fragile ed instabile mondo della buona volontà umana o, peggio, del quieto vivere.
L’esperienza del perdono ricevuto motiva e incoraggia sempre la capacità, o quantomeno l’impegno, a perdonare. Solo vivendo la misericordia di Dio nella propria esistenza si può coltivare la misericordia nei confronti dell’altro, ma soprattutto vivere la liberazione interiore insita nel perdono e la capacità di comprendere la debolezza dell’altro.
La misericordia di Dio è la fonte vera di ogni perdono e riconciliazione.
In quest’ottica la prima conquista è la certezza che non si è soli: il perdonare non è mai un “cammino in solitaria”.
La prima tappa di questo pellegrinaggio consiste nel riconoscere ed isolare il dolore e la sofferenza provocati dal torto subito. La seconda tappa è l’accettazione della rabbia e del risentimento, la cui risoluzione è necessaria per non permettere che il percorso intrapreso possa tramutarsi in sete di vendetta. È la tappa dell’empatia e della compassione: empatia che indaga le motivazioni dell’offensore, compassione nei confronti di sé stessi e capacità di leggersi in una dimensione di fragilità e nella necessità di essere perdonati a propria volta, oltre che riuscire a perdonare.
Isolato il dolore, accettata la rabbia come condizione della propria fragilità umana, diventa quindi possibile una lucida elaborazione della responsabilità personale nella scelta del perdono, ed è questa la terza tappa del pellegrinaggio interiore, quella finale, prima di un perdono ad extra che possa essere autentico, ma soprattutto strumento di una guarigione dal risentimento e come opportunità di rigenerazione personale, perché il perdono fa bene anzitutto a sé stessi.
In questa tappa la scelta del perdono è frutto di una spiritualità robusta, dal momento che la parte più interiore di sé stessi, quella che ha a che fare con l’Introspezione, la Meditazione, la Contemplazione, di relazione con Dio-perdonante, è il luogo della motivazione e della elaborazione del perdono.
Ed è solo nell’ambito di una robusta spiritualità personale che Perdono può essere colto non come un armistizio, ma come una nuova realtà personale e relazionale.
Perdonare non significa dimenticare l’offesa, il torto subito, assolvere le azioni e le responsabilità dell’offensore; tantomeno, per quanto paradossale possa sembrare, significa necessariamente riconciliarsi con l’offensore. Il Perdono, infatti, è autentico quando vissuto nella sua dinamicità di opzione e mai di obbligo.
2. Perdono e liturgia
Nella Liturgia celebrata nella sua dimensione comunitaria si può fare esperienza dello sguardo perdonante di Dio su cui declinare le desinenze del perdono “orizzontale”.
Tutta la Liturgia, infatti, celebra la Misericordia di Dio per il mondo, in un dialogo continuo perdono-pace.
L’ Incarnazione e Redenzione operata da Cristo hanno a che fare con la dinamica del perdono: Cristo è colui che ha riconciliato il mondo con il Padre ed è, quindi, naturale che la Liturgia nella sua vocazione di “azione del popolo” (litourghéia) risenta di questa consapevolezza.
In ambito cristiano il Perdono-Riconciliazione è elevato addirittura a dignità di Sacramento, luogo per eccellenza dove sperimentare la propria realtà di peccatori e la grazia di una Misericordia che, diventando perdono, schiude alla possibilità di una vita nuova che ha nella pace interiore e relazionale la sua efficacia.
La stessa preghiera identitaria del cristiano, poi, il Padre Nostro, ruota attorno all’asse perdonati-perdonanti. Infine, in quest’anno giubilare, ben si esprime la dinamica del perdono come cammino nell’elemento costitutivo per eccellenza dell’esperienza del Giubileo che è il pellegrinaggio prodromico al Perdono invocato e ricevuto attraverso il dono dell’Indulgenza.
3. Perdonare è un’arte che dialoga con l’arte
Se, come già detto, il perdono è anzitutto cammino interiore, non sembrerà fuori luogo considerare l’arte come realtà che dialoga con la dinamica del perdono.
Infatti, proprio l’interiorità dell’uomo è incubatrice sia del perdonare che della ispirazione ad ogni forma di arte e perciò non è azzardato ritenere che l’arte del perdonare sia in relazione a tutte le forme di arte prodotte dall’ingegno e della sensibilità umana.
La stessa rabbia e la elaborazione che questa chiede a inizio di ogni “pellegrinaggio di perdono” è una energia che opportunamente incanalata può diventare una valida espressione emotiva, se non fonte di ispirazione artistica.
L’arte stessa, d’altronde, può aiutare nel cammino di perdono in molti modi. Può essere un mezzo per esprimere ed elaborare le emozioni che la fatica del perdonare porta con sé: dolore, rabbia, tristezza.
Può essere sostegno alla personale introspezione ed esperienza di perdono ed al significato che questo comporta nella vita del perdonante, così come del perdonato.
Può essere un codice simbolico e anche non verbale che aiuti a comprendere il guadagnare una nuova, rigenerata esistenza.
Ma prima di ogni altra cosa l’arte può isolare spazi metafisici che attraverso la riflessione, l’Introspezione e la preghiera possono aiutare a vivere il percorso perdono-riconciliazione.
L’arte, quindi, è un potente strumento e sostegno all’elaborazione del Perdono, della Riconciliazione e della Pace in un nuova Estetica Spirituale che davvero può essere viatico di Salvezza per l’umanità, come profetizzato da Dostoevskij.
