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Recensioni

L’arte della silenziosa gioia – Nelle opere di Nuzzi Ivancich Chiereg

Alba Canali

Pazzini Editore, Villa Verucchio (Rimini) 2025

GioiaIl pregevole e appassionato lavoro di Alba Canali vede la luce proprio in occasione dei 120 anni dalla nascita di Nuzzi Ivancich Chierego; certamente il modo migliore per fare memoria e celebrare questo anniversario. Da tempo si avvertiva l’assenza di un’opera in grado di ricomporre in modo organico e sistematico la vasta e variegata produzione creativa di un’artista che ha attraversato per intero il XX secolo. Lo ha percorso delicatamente, in punta di piedi, lasciandosi interpellare dalla cultura del suo tempo, subendone inevitabilmente diversi influssi, ma ricercando incessantemente spazi di libertà entro i quali imprimere un proprio tratto personalissimo di levità, eleganza e bellezza.

Come si evince da questa accurata pubblicazione, frutto di un’appassionata e instancabile ricerca durata molti anni, quasi una vita, Nuzzi Chierego è stata una delle personalità artistiche femminili tra le più rilevanti del Novecento, vissuta prevalentemente in disparte e anche per questo lasciata ai margini dalle rassegne ufficiali della critica d’arte, sebbene non siano mancate numerose mostre in tante città d’Italia e le sue opere si siano progressivamente diffuse in molte parti del mondo. Un’artista vissuta umile e discreta, benché vivace e animata da una naturale effervescenza empatica e creatività, lontana dai clamori, dalle elette cerchie e correnti dei principali movimenti artistici di avanguardia e non che hanno segnato il secolo scorso, ella sembra aver privilegiato una solitaria vocazione artistica generata dal silenzio, come assorta nella gioiosa contemplazione dell’adorata luce del giorno, tra poesia e preghiera.
La sua feconda creatività abbraccia un ampio spettro di soggetti che spaziano dai rarefatti e rigogliosi paesaggi di montagna alle marine dell’infanzia istriana, dalla raffinata ritrattistica, introspettiva e mai celebrativa, all’infinita serie di “nature in posa”, vive e “silenti”, colme di risonanze simboliche. Una ricerca artistica e stilistica composita e poliedricità che le ha permesso di passare con rara maestria e disinvoltura dal disegno alla pittura (pastello, acquerello, olio), fino alla scultura, minuta e monumentale, sperimentando sempre nuove tecniche e quasi immergendosi nelle plastiche forme della materia e della natura.
Nuzzi Chierego, nobile pellegrina sulla via della bellezza, ha saputo muoversi tra le avanguardie del Novecento mantenendo sempre un suo tratto, una personale ed autonoma ricerca, contrassegnata da un realismo lirico, quasi onirico, capace di condurci sulla soglia tra realtà e mistero, ove ciò che viene messo in opera, non è solo la realtà fenomenica che appare visibilmente, ma anche apertura verso un “oltre”, passaggio simbolico dall’immanenza alla trascendenza. Per questo tutta la sua opera sembra innervata da un invisibile palpitare di nessi, di legami affettivi e interiori che intessono una continuità organica e pittorica dello spazio proteso oltre il confine.

Se la natura ama nascondersi tra infinite variazioni e mutamenti, Nuzzi Chierego sembra inseguire con persuasione solo ciò che è essenziale e risponde al suo ritmo interiore, al suo senso dell’armonia. Una disciplina dell’essenzialità e della gioia perseguita con sorprendente tenacia e naturalezza. È la gioia di quel consenso misterioso con il tutto, legata alla terra, all’accordo improvviso fra il suo sguardo, il suo respiro e quello della terra che parla attraverso i campi fioriti, le spighe di grano, i boccioli di rosa, le radure illuminate dai raggi di sole, i sentieri interrotti dei boschi… La sua è un’arte che nasce dalla contemplazione, da un ricongiungimento poetico e spirituale con la creazione mediante l’umile presenza di piccole creature, oggetti e cose dimenticate che attendono di essere viste, per essere salvate dall’oblio… uno sguardo che salva, perché sa riconoscerle. Qui sta il nesso più intimo e profondo con la francescana laetitia, più volte evocata dalle sue opere, sempre frutto di un incontro riuscito, sia pura tra fratture e ferite.
La sua è una pittura della luce e della gioia, dei colori e dei suoni misteriosi della natura e dell’anima, delle forme concrete, discrete e simboliche che sempre custodiscono un sentire, un sentimento, emozioni che si fanno corpo della pittura, alle quali cerca di dare ordine; un’arte di raffinata tessitura che intreccia il ritmo della vita interiore con il flusso misterioso della natura e di ciò che circonda la nostra quotidianità.

Ruotando attorno alle minuziose e dettagliate riflessioni artistico-biografiche, esplorate in tutta la loro immediatezza e sorgiva freschezza, prende forma questo originale lavoro di Alba Canali, che all’eredità artistica e spirituale di Nuzzi Chierego ha consacrato gran parte della sua vita, non solo per ragioni affettive e familiari, ma anche e soprattutto perché ha avvertito nella cura e custodia di questa memoria il senso più vero di una consegna del dono ricevuto. Pertanto, prima ancora che un valore storico-artistico di attenta ricognizione della vasta e variegata opera dell’artista fiumana, l’opera di Alba Canali assume una speciale rilevanza testimoniale ed affettiva, frutto soprattutto della lunga e prolungata frequentazione dell’amata “madrina”, dalla quale ha appreso, a partire dalla prima infanzia, l’arte della gratuità e della gioia presente nelle piccole cose della vita quotidiana. I sei capitoli che compongono il presente volume, dall’arte civile ai paesaggi, passando attraverso i ritratti, la natura in posa e tante altre prodigiose forme messe in opera dalla Nuzzi, sono anzitutto un compendio di relazioni e legami, una fitta trama che ricompone un misterioso ordine degli affetti attraverso lo sguardo nitido e simbolico dell’infanzia, miracolosamente ritrovato.
Lo sguardo e la lettura che Alba Canali ci offre e propone per avvicinare e scoprire le opere dell’artista, non hanno mai particolari ambizioni teoriche o ermeneutiche, bensì evocative, rivelative, simboliche e affettive… Anche per questo si muovono in profonda affinità con la visione poetica e simbolica di Nuzzi Chierego, per restituirla, generosamente, allo sguardo dell’osservatore, fino a condurlo verso lo stupore di fronte alle semplici forme della vita quotidiana. Certamente anche questo è il frutto di una lunga attesa, offrire l’ombra e lo spazio necessari per far fiorire una vocazione, un amore alla vita che genera vita.
Come è stato colto acutamente: «Nuzzi Chierego dipinge la terra, ma parla di cielo; fissa paesaggi esteriori ma evoca momenti interiori; ritrae visi ma svela anime». In tutto ciò avvertiamo il senso più profondo della sua spiritualità, attraverso i suoi fiori, i suoi paesaggi interni ed esterni, una laica religiosità fatta di silenzi, lontani dal rumore del mondo, di spazi dilatati che attendono e invocano una parola che salva, un colore che dona senso alla grigia fatica del giorno. È qui forse il senso quasi mistico della quotidianità e della prossimità, fino a rendere possibile l’adorazione e la benedizione, la gratitudine e la riconoscenza, una gioiosa accoglienza di qualcosa di apparentemente inutile e insignificante, che ci viene incontro come dono.
Così l’opera d’arte per Nuzzi si fa lavoro umile di ricucitura concreta attraverso la materia, ma anche di contemplazione e di lode, incarnando quella potenza poetica che porta in sé un dono di grazia e assumere una postura adorante. Porte, finestre e cancelli, che sembravano sbarrati ora si schiudono in fondo al viale della vita grazie alla dolcezza di quelle tonalità di colori e suoni che sanno toccare senza ferire. Nuzzi è sempre in movimento nel suo essere contemplativa e assorta, un costante movimento interiore, uno slancio vitale che genera amore alla vita, nelle sue voragini e splendori, attraversandone oscurità e dolore.

Al rumore confuso e lacerato del mondo, ai suoi ritmi frenetici e aggressivi piegati alle logiche della produzione e del consumo, Nuzzi contrappone la delicatezza del timbro sfumato e la carezza della pennellata diluita intrisa di colore come corpo del Silenzio, la ricerca di una Voce che attende l’Ascolto, l’accoglimento gioioso del dono della vita, del creato, di una Luce-Grazia che apre all’azzurro dell’eterno. Si cattura il colore solo quando si entra nella sua luce. La gioia sta nel miracolo di un accordo che abolisce ogni separazione. È questa una pittura che accoglie la materia per trasfigurarla poeticamente, in un delicato splendore del gratuito. Così il suo sguardo si posa delicatamente sul miracolo della maternità e della vita appena nata, dell’apparire improvviso e indeducibile di un fiorire di rosa. Spontaneo giunge a questo proposito l’accostamento con gli splendidi versi del mistico Angelo Silesio:

«La rosa che il tuo occhio esteriore vede, è fiorita in Dio dall’Eternità». Come ogni amore puro e gratuito, anche questa rosa «è senza perché / fiorisce perché fiorisce / a sé stessa non bada / non le interessa se la si guardi»1;

nel mistero indeducibile che essa dischiude, si dona nella sua sublime gratuità e inutile bellezza, più necessaria dell’utile. Una gioia che non fugge dalla fragilità della natura e dal dolore del mondo, ma lo attraversa e lo trasfigura poeticamente e spiritualmente, nella calma inapparente di una silenziosa benedizione che la pittura di Nuzzi ci dispiega.

Natalino Valentini

NOTE
1. Angelus Silesius, Cherubinischer Wandermann, Glatz 1675, 1, 289, ed. it., Il pellegrino cherubico, a cura di G. Fozzer e M. Vannini, Cinisello Balsamo (MI) 1992, 156.


Il velo di Lucrezia

Carla Maria Russo

Neri Pozza, pp.352, Euro 20,00

veloNon fu un religioso esemplare fra Filippo Lippi, uno dei grandi artisti del quindicesimo secolo, ma restò senza dubbio fedele alla bellezza, allo spirito incarnato nell’arte, a quei transiti dell’anima che si aprono al mistero della vita. Della sua ventura umana scrisse Giorgio Vasari. Figlio di un beccaio fu cresciuto col fratello Giovanni da monna Lapaccia, zia paterna, essendo morta la madre di parto. Fu affidato a soli otto anni al convento dei carmelitani perché avesse un futuro; ribelle per natura, incapace di tenere a freno istinti e parola, fu tuttavia ammirato profondamente fin da ragazzo dai suoi contemporanei per il suo dono artistico.
Fu Masaccio a impartirgli disciplina e metodo, ebbe in Cosimo de Medici un amico devoto e un protettore. La sua fama crebbe a misura della sua sregoletezza, come racconta Carla Maria Russo in un libro suggestivo e coinvolgente che ruota, al di là della biografica del maestro, attorno alla storia di una sua opera, la celebre Lippina, di cui fu modella Lucrezia Teti, donna dal viso d’incanto che suggestionò l’anima del pittore non più giovane e già ampiamente affermato. Lippi quasi cinquantenne aveva conosciuto Lucrezia nel monastero pratese di santa Margherita, di cui era diventato cappellano, allorché, incaricato di realizzare una pala raffigurante “La Madonna che dà la cintola a San Tommaso”, aveva chiesto una modella per eseguire il ritratto della santa martire in preghiera dinanzi alla Vergine. Di Lucrezia si innamorò perdutamente, ed ella corrispose, sicché, incurante di ogni convenzione, durante la processione della Sacra Cintola egli la trasse in fuga dal monastero in cui anch’ella forzatamente era stata rinchiusa assieme alla sorella per fuggire ad una sordida povertà. I due amanti andarono a vivere nella casa di Prato del maestro; da Lucrezia Filippo ebbe due figli, Filippino, che poi fu anch’egli grande artista, ed Alessandra.
Sul piano narrativo il libro è articolato in una felice e doppia e parallela partitura, la storia del maestro e della sua vita artistica e la corrispondenza epistolare tra Lucrezia e la sorella Spinetta, un legame quasi morboso, intensissimo, la cui trama fa da specchio al destino dei protagonisti e da sfondo al clima storico e sociale di cui furono testimoni. Bellissime sono le pagine del libro che raccontano il primo incontro del frate con la monaca, il suo restare catturato dalla sua soavità e dalla sua energia, da quello sguardo in cui il bisogno di libertà si tendeva fino alla sfrontatezza, ma che racchiudeva anche una piena autenticità, una assoluta voglia di vivere, che poi era la sua, di Filippo, intollerante d’ogni convenzione, di ogni riparo moralistico, e che tuttavia nel rapporto con Lucrezia fu fedele, perché fedele era a ciò che ella rappresentava, la bellezza fisica inoltrata in una bellezza metafisica. E belle sono le pagine, anche sotto il profilo psicologico, in cui si narra come con lucidità Lucrezia avesse compreso cosa Lippi abbia visto in lei, che pure amava intensamente, e che trascendeva il suo stesso bene, e che ravvisava nel suo viso di ineguagliabile grazia quel senso dell’oltre, non etereo ma concreto e vivo, capace di raccordare cielo e terra in un unico indecifrabile destino. Il velo di Lucrezia è romanzo di forte presa, costruito con rara intelligenza narrativa in cui la storia si apre e si intensifica a mano a mano che l’arte si palesa, sfondo una nitida Firenze medicea di pieno Quattrocento, di cui l’autrice delinea luci ed ombre con fine maestria.

Giorgio Agnisola


I percorsi del Giubileo

Luigi Ferraiuolo

San Paolo Edizioni, pp. 224 € 20

book«Strade, luoghi, incontri… anche non lontani da te, per decidere come vivere il tuo Giubileo»: ecco le parole ‘scolpite’ in quarta di copertina dell’ultimo libro di Luigi Ferraiuolo, “I percorsi del Giubileo. Cammini di pellegrinaggio che portano alla conversione” pubblicato da San Paolo Edizioni.
Il Giubileo 2025 è un momento per fermarsi, riflettere e ritrovare speranza in un mondo segnato da crisi e incertezze. C’è una parola che dice meglio di tutte lo spirito di questo Anno santo ordinario: pellegrinaggio, cioè mettersi in movimento, in tutti i sensi, per raggiungere una nuova visione delle cose e vivere un nuovo rapporto con Dio e l’umanità. Il Giubileo è un cammino, dunque, che invita a mettersi in movimento, dentro e fuori, per scoprire una nuova prospettiva sulla vita e sulla fede.
Questo libro racconta la storia e il significato del Giubileo, spiegando come viverlo pienamente.
Dalla visita ai luoghi della carità e delle Porte Sante di Roma, all’ascolto delle parole del Papa, fino ai percorsi spirituali che portano e riportano nella Città Eterna, ogni passo diventa un’occasione di crescita. Nell’introduzione al libro il giornalista e redattore di Tv2000 Luigi Ferraiuolo suggerisce: «La prima cosa da fare per chi arriva a Roma è l’iter pauperum: andare in cerca dei poveri e capire come vivono, senza i poveri siamo nulla e perché soprattutto la società contemporanea è portata a nasconderli… Il Giubileo sembra essere diventato un momento di svago, culturale più che religioso, mai rivoluzionario come lo intendeva la Chiesa delle origini».
L’autore rivela le strade da percorrere – letteralmente – per vivere davvero quest’esperienza giubilare: «Si parte dalla scoperta dei luoghi della carità e della povertà, si passa alle Porte sante delle basiliche romane, si ascolta la voce del papa che spiega a cosa mira quest’anno di grazia e poi si scoprono le vie della salvezza: quelle che portano a Roma attraverso luoghi dell’anima e dello spirito e quelle che ci fanno tornare da Roma rinnovati e nutriti d’incontri, conoscenze, testimonianze di fede, speranza e carità». L’Anno Santo 2025 è questo: un appuntamento che coinvolge tutta la cattolicità, ma che lancia anche un messaggio all’umanità intera. Siamo invitati a fermarci e a riflettere su chi siamo e dove stiamo andando, per affrontare un mondo lacerato da disordini e conflitti, smarrimento e squilibri.

Mary Attento


Giubileo e Giubilei

Gianpietro Olivetto

All Around, pp. 136 € 15

bookGiubileo e Giubilei” racchiude la storia dell’Anno Santo dal 1300 ad oggi ed è un interessante vademecum per il Giubileo 2025 – il ventisettesimo della Chiesa cattolica – che è stato inaugurato alla vigilia di Natale 2024, con l’apertura della Porta Santa in San Pietro, e si chiuderà con l’Epifania 2026. Scritto da Gianpietro Olivetto e pubblicato da All Around, il volume reca il sottotitolo “Luoghi, itinerari, simboli e memorie dell’Anno Santo cristiano” e spiega come nasce il Giubileo, il significato della Porta Santa e cos’è l’indulgenza. Corredato da immagini d’epoca, il libro ripercorre la storia degli Anni Santi, dell’Italia e dell’Europa, dal 1300 (primo Giubileo cristiano indetto da Bonifacio VIII) a oggi, partendo con l’apertura della prima Porta Santa nel 1294 con Celestino V nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio.
Il testo – che non è una lettura meramente per addetti ai lavori – descrive il pellegrinaggio nel cristianesimo e nelle principali religioni, le vie di fede e le guide dei “romei” (così si chiamavano anche i fedeli che si mettevano in viaggio per Roma), le basiliche maggiori e il “giro delle sette chiese”. Racconta della tomba di Pietro, della Veronica e della Sindone. Chiarisce, con approccio divulgativo, quali sono i luoghi dell’Anno Santo a Roma e in Italia e perché Gerusalemme e la Palestina, la Turchia e la Città del Vaticano costituiscono l’ideale itinerario del cristianesimo.
L’opera si sofferma infine sul protagonista di ogni Giubileo, la figura di Gesù, personaggio storico e spartiacque del tempo. In chiusura, il glossario.
Il Giubileo indica un periodo dedicato alla conversione e al cambiamento, al rinnovamento interiore e alla riconciliazione e questo lavoro è un’importante guida al 27° Anno Santo ordinario della Chiesa cattolica, uno degli eventi religiosi più attesi dai fedeli. Papa Francesco ha indetto formalmente il Giubileo del 2025 il 9 maggio 2024, con la bolla d’indizione “Spes non confundit”: il nuovo Anno del Perdono «sia caratterizzato dalla speranza che non tramonta […] e ci aiuti a ritrovare la fiducia necessaria nella Chiesa come nella società, nelle relazioni interpersonali, nei rapporti internazionali, nella promozione della dignità di ogni persona e nel rispetto del creato».

Mary Attento


Le Erbe di San Francesco di Paola

C. Lupia, G. Statti

Rubbettino, pp. 128 € 14

bookDalla bambacia allo zenzero, tutte “Le Erbe di San Francesco di Paola” racchiuse e analizzate in una pubblicazione a cura di Carmine Lupia (etnobotanico) e Giancarlo Statti (ordinario di Biologia farmaceutica all’Unical) per esplorare la connessione tra fede, scienza e natura attraverso le parole del Santo fondatore dell’Ordine dei Frati Minimi e le meravigliose erbe che ha conosciuto, utilizzato e che hanno accompagnato il suo cammino. «Con il presente volume non si vogliono mettere minimamente in discussione le doti di taumaturgo di san Francesco di Paola, ma rafforzare con un approccio scientifico la sua figura di erborista e naturalista, oltre che grande uomo di fede e grande santo vissuto tra il Medioevo e l’eta moderna», chiariscono gli autori nell’Introduzione, che si conclude, dopo un excursus storico sulla fitoterapia e sull’ dei rimedi naturali vegetali e alimentari a scopo salutistico, con l’affermazione: «Nel XV secolo l’opera di san Francesco di Paola non può ridursi solo ai miracoli, che restano comunque alla base della sua assunzione agli altari, ma è necessario riscoprire la sua figura come filosofo e come uomo di scienze e medico. Guariva gli ammalati con le erbe e riusciva dove i medici fallivano».

Non solo Patrono della Calabria e della gente di mare, allora, ma anche precursore della moderna nutraceutica, la disciplina che nasce dalla fusione dei termini ‘nutrizione’ e ‘farmaceutica’ e che indaga quindi i componenti o i principi attivi contenuti negli alimenti con effetti benefici per la salute, la prevenzione e il trattamento delle malattie.
Ricordiamo che nessun alimento animale può varcare la soglia del convento a Paola, in provincia di Cosenza: l’astinenza dalla carne e da tutti i derivati animali è l’irrinunciabile caratteristica dei frati ed entra nella regola sotto forma di 4° voto di “perpetua vita quaresimale”, dopo i tradizionali voti di castità, povertà e obbedienza.
Avendo pieno rispetto del corpo, oltre che dell’anima, Francesco usa nella sua vita tantissime erbe e piante per lenire le sofferenze altrui e ne coglie le virtù per concessione divina derivata dalla sua incrollabile fede (diceva: “È la fede che fa i miracoli!”). Ed ecco che – come annota nella Presentazione Gregorio Colatorti, Padre Generale dell’Ordine dei Minimi – possiamo «intravvedere alcuni aspetti della persona di Francesco di Paola che si presenta così come illuminata da una profonda sapienza in un pragmatico equilibrio tra conoscenza umana e fede».
Applicando, insomma, allo studio del miracolo un approccio di bilanciamento tra scienza e fede, attraverso le discipline che intervengono per metterlo in pratica, è possibile cogliere il senso più pieno del miracolo e la sua valenza antropologica e teologica: «Viene a realizzarsi, così, quel mutuo rapporto osmotico di controllo che impedisca alla scienza di eccedere la propria misura e alla fede che non degeneri in fideismo. […] Analizzando l’azione di Francesco, sicuramente una figura completa e complessa, si evince che da santo eremita quale era, vita nello spirito, virtù teologali e virtù cardinali si intrecciano e si dipanano dal fulcro centrale delle virtù che è la carità. Perciò il miracolo acquista una valenza ancora più ampia», ravvisa padre Gregorio Colatorti.

A dispetto di alcune agiografie, l’enorme mole di documentazione storica della vita di Francesco dimostra che non fu solo eremita, ma anche pensatore, medico, rabdomante (si pensi al quel bastone da cui non si staccava mai), uomo di scienze, oltre che figura straordinaria da mettere in luce per le sue virtù cristiane, spirituali e umane.
«Francesco divenne presto un punto di riferimento per Paola e il Sud Italia, conquistando il cuore della gente che si presentava da lui per cercare grazia e sollievo a tante forme di problemi. […] Era un grande anacoreta che non faceva distinzioni di classe e trattava tutti allo stesso modo» viene sottolineato nella ricerca dei due autori e confermato nella Prefazione da Claudia Crina Toma, docente alla Facoltà di Farmacia dell’Università “Vasile Goldiș” di Arad, in Romania: «fu assiso agli altari per il suo potere taumaturgico, che riguardò soprattutto l’assistenza agli infermi, per i quali operò guarigioni prodigiose».

Nel testo viene rimarcata la poliedricità della figura e dell’opera, uniche e allo stesso tempo complesse, che attirano a sé, oltre alla fede dei devoti, l’attenzione di studiosi e scienziati desiderosi, come in questo caso, di interpretare le intuizioni del Santo, attraverso evidenze scientifiche che dimostrino la loro veridicità e attendibilità.
Il volume si presenta in forma di raccolta di schede, che riunendo «tutte le piante usate dal santo e citate nei processi per la causa di canonizzazione, – spiega Claudia Crina Toma – ha voluto dare un taglio scientifico, in primis, alla identificazione delle specie secondo criteri propri della sistematica vegetale, con particolare riferimento alla compatibilità, cercando di dare una classificazione definitiva e chiara delle piante riportate nelle trascrizioni processuali, a volte poco precise a causa del problema dell’adattamento dei 102 testimoni. La presenza delle 102 testimonianze sull’ empirico delle piante da parte di san Francesco è praticamente uno degli aspetti più notevoli di questo libro».
Inoltre, l’opera – edita da Rubbettino, che aveva già pubblicato “Orti e i giardini di San Francesco di Paola” a cura di Padre Rocco Benvenuto – approfondisce gli aspetti etnobotanici e fitochimici che giustificano l’utilizzo di queste piante offrendo una prospettiva completa e ricca di conoscenza e, secondo Claudia Crina Toma, è in grado di «affrontare un argomento affascinante anche se poco conosciuto al di fuori del mondo degli addetti ai lavori: quello delle relazioni tra piante e società, tra vegetali e culture locali».

Mary Attento


Quanno Dio facette ’o munno

Carlo Avvisati

Francesco D’Amato Ed., € 10

libroÈ da poco tempo in libreria la Genesi in rime napoletane scritta dal giornalista e narratore Carlo Avvisati: “Quanno Dio facette ’o munno”, ovvero “’a storia ’e Adammo e Eva e d’ ’a cacciata r’ ’o Paraviso” come reca il sottotitolo.
«Ve lo dico in versi napoletani quello che successe. E vi racconto pure la storia di Adamo e Eva e quella della serpa fetente e velenosa e l’altra del milo… – ha dichiarato l’autore pochi mesi fa – Stiamo stampando per i tipi di Francesco D’Amato questo poemetto napoletano che non può mancare nella vostra biblioteca. Potete già cominciare a ordinarlo. La prefazione è del cardinale Crescenzio Sepe, al quale va il mio grandissimo Grazie». Ed ecco alcuni versi scelti tra le prime sestine e le successive quartine: «Dinto a stu libbro ca chiammàieno ’a Bibbia/ se conta comme e cquanno ’o Pataterno,/ partenno da na terra meza sgòbbia,/ mpignànnose, nun poco, tutt’ ‘e juorne,/ te puozze caccià fore, chiatto e ttunno,/ chisto ca nuje mo, cca, chiammammo “’o munno”» (seconda sestina del Prologo) e «… Nu lunnerì, de notte, primmo ’e mese,/ ’o Pataterno, tutto appucundruso/ ca steva sempe sulo mParaviso,/ nu pizzo scicco addó teneva ’a casa,// tèccote… penza, e ppo’, dice, parlanno:/ «Che vvita è cchesta ca stongo facenno,/ comm’ ô rummìto… ‘a nu meliöne r’anne,/ senza nisciuno, sulo, ncopp’ ô munno!?».
Una magnifica rilettura della Genesi, raccontando le scene bibliche dei primi giorni della creazione del mondo e di quella del primo uomo, Adamo (’A criazione ’e ll’ommo), e della prima donna, Eva (… Chella d’ ’a femmena), fino alla loro cacciata dal paradiso, «rendendole carnali e appassionanti attraverso l’uso della lingua napoletana», come nota nella prefazione il cardinale Sepe, aggiungendo: «è una sorta di catechesi iniziatica a misura d’uomo, una fabula che l’uomo comune comprende e sente a sé vicina, conservando il senso profondo di un esistere che trova ragione solo nell’affidarsi a Dio. Affidarsi, avere Fede».
Il risultato dell’abile e sapiente lavoro di Avvisati è, dunque, un poemetto in 102 quartine, 2 strofe a 6 versi e una sestina narrativa che, al di là della maestria, della veemenza, della musicalità, si conclude con i riflessivi e melanconici versi della penultima quartina: «Da tanno a mmo nun ce sta n’ora ’e pace:/ disgrazie, guerre, ’e mmeglio malatie;/ che te vuo’ allamentà, t’hê abbraccià ’a croce,/ t’agliutte ’a lengua e ppuorte ncuollo ’e guaie».

Mary Attento


Verso una filosofia. Da Sgalambro a Zambrano

Pierfranco Bruni

Solfanelli editore, pp. 280 € 25

book«Discutiamo di filosofia? Non è facile, ma è necessario. Attenzione. Non colleghiamo la filosofia alla scientificità alle cattedre universitarie agli accademici. La filosofia è ben altro. È avere la consapevolezza che la parola non è soltanto conoscenza. È coscienza. Se si capirà ciò sono disposto a discutere di: anima, cuore, poesia, sogno, macerie, disubbidienza, eresia, politica, noia, dubbio, ricerca del vero nel non vero, di fede e non di teologia, di metafisica, di corpo, di me stesso… Altrimenti è un perdere tempo e so che il Tempo è Essere o Buio nell’Aurora… Forse anche per questo ho scritto questo libro, che è tante avventure».
Sono parole dell’antropologo, saggista e critico letterario Pierfranco Bruni, che ha recentemente dato alle stampe “Verso una filosofia. Da Sgalambro a Zambrano”, con scritti di Marilena Cavallo, che si sofferma sul ruolo di Maria Zambrano in Italia, e di Tonino Filomena, che richiama i modelli tradizionalisti di impegno filosofico e storico.
Pubblicato da Solfanelli editore, per conto del Ministero della Cultura nell’ambito del Comitato Nazionale per le celebrazioni del Centenario della nascita di Manlio Sgalambro, il volume ci ricorda, in un’epoca in cui la filosofia corre il rischio di diventare un sapere sterile e lontano dalla realtà, che il pensiero è sempre un cammino, un percorso da intraprendere con onestà intellettuale e apertura emotiva.
Tante sono le domande che spesso ci poniamo. Cosa facevano i filosofi greci nella vita quotidiana? A cosa pensavano? A cambiare il mondo o a interpretarlo? “Filosofare” era un mestiere? Era pericoloso? E se Socrate, Senofonte, Platone, Aristotele, Epicuro e Lucrezio fossero nostri contemporanei, discuterebbero di Genoma e di Intelligenza artificiale? Quindi ha senso discutere oggi di filosofia? Perché “tediare” ancora i nostri ragazzi con la filosofia se poi i filosofi vengono considerati dei perditempo?
In queste pagine – spiega l’autore, già direttore del Ministero dei Beni culturali e fondatore del dipartimento di Demoetnoantropologia, ricoprendo la carica di responsabile delle minoranze etniche nel nostro Paese – non vi sono risposte definitive o soluzioni preconfezionate e costruite ad hoc, ma, al contrario, si offrono gli strumenti per un’autentica esperienza interiore di ricerca e di disvelamento.
Sgalambro e Zambrano, in modi differenti ma complementari, ci invitano a pensare per cambiare, a riflettere per agire, a sentire per comprendere, superando le certezze del passato e accettando con coraggio la sfida del futuro ignoto, anche mettendo in discussione sé stessi e le proprie convinzioni.

Mary Attento


La speranza dei pellegrini. La seconda virtù nel Nuovo Testamento

Giuseppe De Virgilio

Àncora, Milano 2025

libroLa speranza è, riprendendo le parole di Papa Francesco nella bolla di indizione del Giubileo del 2025, come un’ancora a cui afferrarsi saldamente in mezzo alle acque agitate della vita. Sperare significa aprirsi alla vita e a Cristo. Nei sei capitoli che compongono il libro La speranza dei pellegrini. La seconda virtù nel Nuovo Testamento, edito da Ancora 2025, l’autore offre un percorso tematico-narrativo attraverso i libri del Nuovo Testamento e il loro sviluppo teologico.
Nel primo capitolo, dopo aver definito il significato della parola speranza nell’Antico e nel Nuovo Testamento, viene approfondito il vocabolario utilizzato, i simboli e le metafore relative alla speranza. Nel secondo capitolo, il tema della speranza è al centro dell’insegnamento e dell’attività di Gesù di Nazareth, in particolare dell’evento pasquale così come viene narrato nei Sinottici, mentre negli Atti degli Apostoli la speranza è affidata al racconto del martirio di Stefano. Negli scritti paolini, la speranza si declina nel tempo presente, avendo fiducia in Dio e nelle sue promesse e perseverando con pazienza nelle sfide quotidiane. La speranza si apre alla fiducia nei riguardi del destino di tutti i viventi, i quali saranno associati allo stesso destino di Cristo crocifisso, morto e risorto. La speranza cristiana è dunque cristologica, si fonda sull’autorità della parola del Signore. Il motivo della speranza, nel quarto capitolo, si rende presente nelle pagine della Lettera agli Ebrei e nella prima Lettera di Pietro. Nel capitolo quinto, la speranza costituisce la trama teologico-narrativa degli scritti giovannei. A chiusura della preziosa e impegnativa ricerca sulla speranza, l’autore evidenzia l’importanza del pellegrinaggio quale forma espressiva e dinamica della speranza.
Su tutto, la speranza appare nella sua dimensione antropologica, quale atto di sperare proprio dell’uomo nel tempo e nello spazio concreto che gli è dato di vivere. Questa dimensione dipende dalla speranza che è Cristo, in comunione con Dio Padre e lo Spirito Santo, il cui amore è la ragione e il fine di ogni esistenza. La speranza che è nell’uomo è il segno dell’amore misericordioso di Dio che perdona. Sperare allora è possibile solo credendo e affidando la propria vita a Colui che tutto governa, soprattutto quando sopraggiunge la fatica, la crisi del vivere.
È l’amore il fondamento della speranza, sottolinea a più riprese l’autore, richiamando San Paolo, l’amore che, riversato da Dio nei nostri cuori, mediante la sua grazia, trasforma il cuore degli uomini, aprendolo al dinamismo interiore della fede, della speranza e della carità.
Un dinamismo illuminato sapientemente dall’introduzione della metafora biblica del pellegrinaggio, che dischiude gli atteggiamenti fondamentali e il senso dell’esercizio della speranza: decidersi a intraprendere il viaggio della speranza, affidando se stessi alla parola che chiama; prepararsi per il viaggio, affrontando la necessaria fase della purificazione delle motivazioni per le quali si sceglie di partire; condividere il viaggio con uno stile di fraternità, perché nell’incontro con l’altro e con gli altri si matura la dimensione della fede e della speranza. Infine, la meta, punto di arrivo e condizione per ripartire rigenerati dall’incontro con Dio, dalla memoria di quanto vissuto e dall’impegno di rinnovamento della propria vita.

Roberta Foresta


Lessico del Giubileo

Enzo Bianchi

EDB ed., novembre 2024, euro 8,00

libroPER CONOSCERE E SPERIMENTARE IL GIUBILEO
Fondatore della comunità monastica di Bose, monaco laico, Enzo Bianchi conduce il lettore, in questo testo, alla scoperta e alla conoscenza del Giubileo.
Pellegrini di Speranza”, con questo spirito il mondo cattolico è chiamato a celebrare e vivere questo 2025, anno giubilare ordinario. Siamo tutti invitati ad accogliere il tempo forte dell’impegno comune, abbracciare e lasciarsi abbracciare dalla misericordia del Signore, per rinnovare la nostra vita cristiana che testimonia il messaggio evangelico.
Un originale compendio da consultare e meditare, rivolto a chi si appresta a vivere il cammino giubilare, supportato dalla consapevolezza di vivere questo tempo di Grazia come, nella storia della Fede, altri hanno già percorso.
Fratel Enzo Bianchi è stato priore della comunità monastica di Bose fino al 2017. Nel 2014 Papa Francesco lo ha nominato Consultore del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Attualmente collabora con diversi quotidiani nazionali nonché con l’Osservatore Romano, Avvenire, Jesus e Famiglia Cristiana oltre a numerose pubblicazioni.

Giovanni Porta


La tomba di Pietro.

La storia dimenticata di Margherita Guarducci

Tiziana Lupi

Minerva Edizioni, Bologna 2025.15 euro

11Non poteva essere più appropriata l’uscita del libro La tomba di Pietro. La storia dimenticata di Margherita Guarducci, della giornalista Tiziana Lupi, con prefazione del regista e giornalista Marco Spagnoli, proprio in questo anno giubilare, in cui milioni di pellegrini varcheranno la porta della Basilica di San Pietro dove potranno essere rapiti da quella linea continua che unisce la croce posta alla sommità della cupola di San Pietro con la tomba terragna dell’apostolo Pietro, dove cielo e terra si congiungono.
Ripercorrendo la storia del ritrovamento delle ossa dell’ apostolo Pietro in forma di romanzo, questo libro vuole, altresì, restituire a Margherita Guarducci l’onore che le spetta e rendere atto dello straordinario lavoro della più grande epigrafista del XX secolo, del suo impegno e della sua passione, umiltà e onestà intellettuale che non ha mai avuto il riconoscimento mediatico meritato.
«A Margherita Guarducci dobbiamo il ritrovamento delle ossa di san Pietro. Una donna di cui si è dimenticato il nome e che solo gli studiosi ricordano. Perché di lei esistono così poche tracce nella cultura italiana e nella storia del Vaticano? Perché ci siamo dimenticati di lei?» (dalla prefazione di Marco Spagnoli).
Per rispondere a questi interrogativi, l’autrice, partita dall’idea di voler scrivere insieme con Spagnoli, un testo per un film dedicato alla presenza femminile in Vaticano nell’era di Bergoglio, decide di concentrare le ricerche per il film sul personaggio di Margherita Guarducci, proprio su suggerimento dello stesso Spagnoli che aveva, indirettamente, conosciuto la storia ed il valore della grande epigrafista attraverso la sua insegnante del liceo Sacro Cuore di Napoli.
La scelta narrativa, dal taglio coinvolgente ed accessibile a tutti, adottata da Tiziana Lupi, è stata quella di intrecciare finzione e verità per suscitare emozioni e porsi domande sul perché sia stata dimenticata una delle più grandi scoperte del Novecento ed anche la donna che la rese possibile.
Sarebbe stato impossibile far comprendere la grandezza della studiosa senza ripercorrere tutte le vicende che avevano preceduto il momento in cui la professoressa incomincia ad occuparsi dei ritrovamenti venuti alla luce sotto la Basilica di S Pietro. Senza il ritrovamento della tomba di Pietro, la Chiesa di Roma avrebbe avuto difficoltà ad affermare la sua autorità
Con efficace dinamismo ed uno stile coinvolgente vengono, così, ricostruite le tappe fondamentali della scoperta della tomba in Vaticano dell’apostolo Pietro, intrecciando fonti storiche ed archeologiche con dialoghi, episodi inediti e scene di vita quotidiana.
Tutto era iniziato nelle Grotte vaticane nel 1939 quando gli operai, scavando per ricavare il tumulo per il Papa Pio XI portarono, inaspettatamente alla luce quello che sembrava essere un cornicione di un sarcofago.
L’avvincente narrazione della Lupi fa scendere il lettore dieci metri sotto la navata centrale della Basilica dove gli scavi, voluti da Pio XII e durati dal 1940 al 1949 con lo scopo di trovare conferma che la basilica vaticana fosse stata effettivamente costruita sopra la tomba di Pietro che, però nessuno, nei secoli passati, aveva mai visto e cercato, e che avrebbe consentito la legittimazione del premierato della Chiesa di Roma, avevano portato alla luce una vasta necropoli, che va dalla fine del I al IV sec. d.C.
Ma soprattutto in corrispondenza dell’Altare Maggiore era emersa una semplice edicola funeraria, il c.d. Trofeo di Gaio, di cui parla Eusebio di Cesarea, dove Costantino aveva ricavato un loculo per contenere le ossa dell’Apostolo Pietro. Al di sopra di questa edicola, nel corso dei secoli, vari Papi costruirono, poi, i loro altari, come confermato dai ritrovamenti archeologici: l’altare di Gregorio Magno (590-604) che fu inglobato dall’altare di Callisto I (1123) e sopra di questi l’altare di Clemente VIII (1594), che vediamo oggi sormontato dal baldacchino del Bernini.
Ma la scoperta più interessante era che, sotto il c.d. Trofeo di Gaio, vi era un chiusino, ad indicare una precedente tomba terragna. Il Trofeo di Gaio era appoggiato al c. d. “muro rosso” dal colore dell’intonaco, dove vi trovavano molti graffiti con simboli religiosi, a riprova che si trattava di una tomba speciale, quella di Pietro posta nel luogo dove i racconti della tradizione la collocavano, come annunciò al mondo Papa Pio XII durante il radiomessaggio natalizio del 1950.
Il problema era che la tomba era stata ritrovata, ma non le ossa che non furono rinvenute.
Quello che sembra assumere le caratteristiche di un vero e proprio “giallo archeologico” vede a questo punto la discesa in campo di Margherita Guarducci.
Gli scavi dal 1940/49 erano stati, tuttavia, compiuti in modo molto approssimato e lontano dalle tecniche e dalla cautela che ci si aspetterebbe da specialisti e fu, poi Paolo VI a voler affidare a Margherita Guarducci l’incarico di decifrare i graffiti rinvenuti sul muro presso la sepoltura dell’apostolo contenenti  invocazioni a Pietro, al quale sono uniti talvolta i nomi di Cristo e di Maria.
La Guarducci, per il suo metodo di lavoro, per il suo temperamento tenace ed instancabile riuscì a decifrare i graffiti, a rintracciare un frammento di intonaco con scritto “Petros eni”, il cui significato per la studiosa era “Pietro è qui” ed, in una cassetta dimenticata nelle Grotte Vaticane, le ossa che erano state raccolte nel loculo identificato come la tomba di Pietro.
Nel 1965 la professoressa, per la prima volta, pubblicò i risultati raggiunti che indussero Paolo VI, il 26 giugno 1968, ad annunciare che «le reliquie di San Pietro sono state identificate in modo che possiamo ritenere convincente».
La scoperta dei resti mortali di Pietro e la sua precisa collocazione non fu accolta con l’interesse che meritava e non furono pochi i tentativi di delegittimare i risultati degli studi della Guarducci, le contestazioni alle interpretazioni dei graffiti da parte di studiosi, ma anche da parte della Curia vaticana che giunse persino a negare all’archeologa, negli ani successivi, ulteriori accessi alle Grotte vaticane.
La Lupi ci fa rivivere il contesto culturale e politico dell’epoca: l’Università dominata dagli uomini, l’ambiente vaticano chiuso alla leadership femminile, le critiche sollevate da altri studiosi, alcuni dei quali avevano partecipato alla prima campagna di scavi, le invidie e meschinità che subì la studiosa.
In questo contesto la figura di Margherita Gaurducci emerge con forza come quella di una donna fuori dagli schemi, dalla grande umiltà ed onestà intellettuale, fedele alla propria missione scientifica e spirituale, riservata, capace di affrontare ostacoli e pregiudizi con la determinazione assoluta di una studiosa straordinaria che aveva scelto l’insegnamento e lo studio come vita, avvezza alla ricerca ed alla resistenza al lavoro, dalla solida convinzione delle conclusioni che aveva tratto dai suoi studi.

Giovanna Via


Confida nella grazia

Olvido García Valdés

Donzelli Poesia, 2025, Euro 17,00.

bookL’ultima raccolta di poesie di Olvido García Valdés Confida nella grazia, si inserisce in un percorso di creazione poetica originale, non facilmente incasellabile, lungo la tradizione poetica spagnola ma che si nutre anche della “lettura”, come lei stessa afferma, di alcuni grandi autori: Ernesto de Martino, l’ultimo Foucault, Nietzsche, Lorenzo García Vega, Simone Weil, Susan Howe con Emily Dickinson, López Petit, il maestro Eckart, solo per citarne alcuni. Edita da Donzelli nel 2025, la raccolta si presenta con un titolo che interpella, da cui emerge il valore e il senso della poesia: confidare nella grazia. Con essa l’autrice intende la vita vissuta con uno sguardo profondo dentro ogni cosa e nel tutto. Grazia è anche la scrittura, scrivere parole essenziali per la poesia e per la vita, che sono le parole che raccontano la bellezza della natura, i volti, i paesaggi, le esperienze della misera umanità, il dialogo interiore solitario; la materia dei corpi di fronte alla malattia, alla morte, all’esperienza dell’ineluttabilità della morte con il tempo che passa. Nel guardare alla vita del mondo come in un sogno, come se a osservarlo non fosse la sua persona, si imbatte in un paradosso: il mondo è nulla ed è tutto. È vuoto di Dio ed è Dio stesso. Nella sua creazione poetica si intrecciano le parole sull’essere, sul creato, sul tempo dell’uomo, su Dio e il tempo assoluto.
La poesia parla di istanti / evoca cose, crea, magari lascia / fuori i sentimenti, modelli / percezioni, può e non può, sua materia / è il tempo che non c’è, che è qui e si / muove come un treno rapido, un aereo, dice / monte, creta, verde, alberi fioriti, dice cimitero, madre, padre, la lirica / dice ciò che non c’è, la percezione / del verde, la percezione.
Con le parole e i suoi meccanismi verbali sembra dipingere delle tele, fatte di colori come indaco, lapislazzulo, cocciniglia, porpora, di odori, di voci: l’ulivo che oggi l’occhio vede crescere, l’odore che sprigiona, accende il ricordo di ciò che è perduto; i pruni in fiore; fiori di ligustri e cime di cipresso; garofani selvatici. La poesia custodisce la bellezza e la grandezza delle cose create, gli odori e i colori, le stagioni, il tempo della calma e della solitudine, il silenzio dell’attesa e la speranza di una rinascita. Sapido è il senso del mondo, ma scrivere vuole dire gratitudine, canto alla bellezza del mondo, riuscire a dire la fatica del vivere e il desiderio profondo che ci sia qualcuno ad ascoltare. Qualcuno a cui dire le parole, a cui consegnare le parole, anche quelle difficili da dire, che moriremo come sono morti tutti, quanto è duraturo / ed effimero questo stare, uccello di passaggio, nuvoletta volante, il meglio sono gli alberi, la densa consistenza / se albeggia e gli specchi, ruscelli, e fiumi / come specchi se non scorrono…
La speranza che sembra consegnarci è quella di affidarsi alla grazia della vita nel quotidiano: lì dove la vita strappa le ali per il tremito, o dove non c’è che un cumulo di ossa, nel punto dove nasce la vita, lasciarsi andare, riposarsi. Poi giungerà nuova dolcezza, poi si verrà accolti da un’altra calma. La vita “arriva”, nonostante il vuoto, la carenza, anche l’allegria come fioritura, acqua che feconda il terreno arido, è luce, è soffio del respiro, è lacrime, è una carezza, è dolcezza di sguardo nel mondo. Il mondo così com’è offre una pienezza, una certa pienezza che porta allegria, l’allegria dei colori che riempiono gli occhi, una pienezza di fiori nella gamma più accesa – un effetto luminoso come a volte la mistica… non è allegria la mistica?
La sua poesia, fatta di cordialità e benevolenza, di quiete e di armonia rispecchia il modo in cui voler essere nel mondo – con l’anima piena di amore e presente – essere come una tigre benevola, con uno sguardo tranquillo e confidare nella grazia. Esserci con cordialità e gentilezza, con uno sguardo profondo parole essenziali per la poesia e la vita.

Roberta Foresta