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Testimonianze
autore
Natalino Valentini

Compimento dell’amore.
In memoria di padre Pavel Florenskij”

Nella notte dell’8 dicembre del 1937, veniva fucilato dal regime sovietico, nei pressi di Leningrado, dopo 5 anni di gulag alle isole Solovki, padre Pavel Florenskij, uno dei più geniali pensatori cristiani del XX secolo. Un vero e proprio “Leonardo da Vinci della Russia”, come lo definirono alcuni suoi contemporanei, in ragione della poliedrica versatilità e competenza transdisciplinare (fisico, matematico, ingegnere elettrotecnico, filosofo, teologo, studioso di arte, filosofia del linguaggio, estetica, simbologia e molto altro). Non solo uno dei più colti e originali scienziati della sua epoca, ma anche un “pope” ortodosso, prete, sposo e padre di cinque figli, poi martire della Chiesa russa, che ha saputo pensare, affermare e testimoniare la verità nel cuore della tragedia del Novecento. In lui vita e pensiero, fede e ragione, cristianesimo e cultura, invenzione scientifica e creazione artistica costituiscono un’unica indissolubile realtà, un’unica totalità organica, una perfetta polifonia della bellezza.

Pioniere di un nuovo orientamento di pensiero che instaura inediti rapporti con la cultura e la ricerca scientifica contemporanea, anticipandone diverse scoperte e sviluppi, Florenskij ha elaborato una sorprendente visione estetica incentrata sul concetto di forma, sulla sua incarnazione, a partire dalla presa d’atto che «non c’è vita senza forma e non esiste una forma vuota, priva della vita da essa formata» (Stupore e dialettica, p. 90). E se le forme sono il «principio creativo del reale», non saranno mai assolte dal piano empirico, ma sempre incarnate sensibilmente in unità, sintesi viventi di energia e sostanza. Su questi presupposti egli fonda una filosofia e teologia della bellezza, che tiene conto dell’apporto delle diverse scienze e arti nell’incontro con la simbolica cristiana, ma anche una esemplare educazione al bello a partire dall’esperienza quotidiana. Non un’astratta teoria del bello, bensì un’esperienza viva radicata al concreto, nutrita dai profondi legami che sussistono tra culto e cultura, verità e bellezza, arte e liturgia, icona e pensiero.

Spaziando nei diversi campi dello scibile umano il polimate russo ha costantemente perseguito la ricerca delle forme della bellezza, saggiandone il loro significato logico e ontologico, fino alla più intima e arcana relazione con la mistica, lungo un cammino ascetico orientato verso la perfezione spirituale. Non una pretenziosa retorica spiritualistica e sentimentalistica della bellezza oggi tornata in voga, ma il riconoscimento in essa di una potenza attrattiva e disvelante di senso, con una sua rilevanza oggettiva che pervade e sovrasta, poiché occorre anzitutto prendere coscienza del fatto che: «La forza della bellezza esiste in misura non minore della forza magnetica e di quella di gravità». Siamo ancora in grado di cogliere la portata di questa forza, oltre la sciatta parodia della cura estetica?

Queste diverse aree del sapere che dialogano con l’arte e la bellezza, nelle loro diverse implicazioni, meriterebbero di essere approfondite in modo specifico, alla luce di alcune tra le opere più rilevanti da lui dedicate ai temi accennati, a partire soprattutto dalle memorie, Ai miei figli, un nitido affresco della sua percezione interiore del mondo cristallizzatasi già negli anni d’infanzia e della prima giovinezza, una sorta di testamento teoretico e spirituale. Ma in questa prospettiva estetica non possono essere omesse altre importanti opere a cominciare dal suo capolavoro filosofico-teologico, ovvero, La colonna e il fondamento della verità unitamente a La filosofia del culto, in relazione con il più celebre scritto sull’icona, Le porte regali; La prospettiva rovesciata; Lo spazio e il tempo nell’arte; Bellezza e liturgia e molti altri scritti.

pfNon possiamo qui inoltrarci in questa vasta e profonda elaborazione di pensiero; per ora ci limitiamo a volgere lo sguardo su alcuni tratti della sua pedagogia della bellezza, così come affiorano dalla recente e prima edizione integrale di tutte le lettere scritte da Pavel Florenskij alla famiglia durante i cinque anni di prigionia (“Vi penso sempre…”. Le lettere dal gulag del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, a cura di N. Valentini e L Žak, Mondadori, Milano 2024). Non si tratta soltanto, come è stato scritto, di «una delle opere più alte della spiritualità di tutti i tempi», bensì di un maestoso trattato di umanità e di grazia in «un’epoca tremenda», un risplendente poema tragico e un sorprendente compendio di saggezza pedagogica, un fantastico zibaldone di scienze naturali e digressioni sull’arte, ma anche una luminosa testimonianza esistenziale e storica che della fiaba e del coro russo mantiene il ritmo e la polifonia.

Le intense e commoventi lettere scritte alla madre, alla moglie e ai suoi cinque figli, dal maggio del 1933 fino al giugno del 1937, unitamente ai 2 testamenti spirituali, compongono una raccolta nella quale biografia e sapienza si congiungono intimamente e spontaneamente nell’esperienza tragica di una testimonianza tra le più autentiche e radicali del Novecento, paragonabile per circostanze, contenuti e situazioni, a Resistenza e resa del teologo luterano Dietrich Bonhoeffer, o alle più note pagine dei Diari e delle Lettere di Etty Hillesum. Un carteggio che si configura come un’eccezionale documentazione storica, una testimonianza umana personale di particolare rilevanza etica e politica, ma nel contempo un microcosmo sapienziale, un vivido affresco relazionale e affettivo, una delle più sublimi e tragiche opere d’arte drammatica della cultura del Novecento.

Sono Lettere colme di preziosi rimandi pedagogici alla percezione estetica della vita, nella consapevolezza che «la bellezza non è una cosa nella quale si possa penetrare immediatamente», poiché essa esige pazienza, perseveranza, disciplina, invenzione creativa, progressiva assimilazione dei vari elementi che si trasformano in arte, che «è manifestazione della vita…, è il discernimento estetico della vita». La bellezza non è fascinazione, estetismo, illusionismo, ma sempre relazione con le forme concrete del reale nell’incontro con la verità e con il bene, a partire dalla celebrazione del quotidiano, dall’apertura incondizionata allo stupore e alla meraviglia, fonte di gratitudine per la vita e per il mistero in essa custodito. Nel dialogo epistolare con i figli numerose sono le digressioni di carattere artistico, musicologico, letterario, filosofico, ma anche sulla storia, la botanica, la geologia, la mineralogia, la fisica e la matematica.

In esse Florenskij con folgoranti intuizioni e mirabile sintesi ci offre le chiavi ermeneutiche per accedere al nucleo incandescente della comprensione sapienziale del mondo attraverso il rapporto con la natura, l’arte e il pensiero. Incastonate e disseminate come perle preziose nel più vasto scrigno di questo epistolario, le liriche che compongono il poema Oro (dedicato al figlio Michail e qui tradotto per la prima volta), frutto di una poetica che riannoda un originario legame con la bellezza e l’enigma del mondo; un dono nel quale è custodito il suo «testamento poetico» dal marcato senso destinale. Ma Oro è anche un’esperienza interiore personale distillata in forma dialogica, l’intima esperienza sensibile dell’incontro con la natura, con i ghiacci perenni, il permafrost eterno, la cui particolare bellezza gli si rivela a Zabajkal in tutto il suo folgorante splendore.

Nelle lettere dal gulag, la ritmica del pensiero circolare di Florenskij viene sottoposta alla sua prova più estrema, fino a dilatarsi oltre il confine dell’umano. Ogni missiva è come un brandello di esistenza concreta nel tempo e nello spazio, strappato dalla realtà quotidiana del dolore e dell’angoscia. Solo così padre Pavel può ancora percepire in tutte le sue fibre interiori il ritmo segreto della vita animato dal pensiero e dalla memoria viva dei suoi cari e sopportare l’inferno, il sottosuolo dell’umano. «Vivo di ricordi, – confessa spesso padre Pavel ai suoi cari – mi rammento dei più piccoli dettagli di ciascuno di voi»; sebbene essi riaffiorino «come ferite che straziano la mia anima», sono comunque parte integrante della gioiosa danza degli affetti. Per questo si fa in lui sempre più acuta e salda questa persuasione interiore:

«…Vi sento tutti dentro di me, come parte di me, e non posso guardarvi dal di fuori (…). Il passato non è passato, ma è custodito e rimane per sempre, ma noi lo dimentichiamo e ci allontaniamo da esso. Tuttavia in seguito, lungo il susseguirsi imprevedibile delle circostanze, esso si svela nuovamente come un eterno presente» (2. VI. 1935).

Il flusso affettivo del pensiero («Vi penso sempre») si dilata oltre il tempo e lo spazio, come la rosa di Silesio

«è senza perché / fiorisce perché fiorisce / a sé stessa non bada / non le interessa se la si guardi»;

nel mistero indeducibile che essa dischiude, si dona nella sua sublime gratuità e inutile bellezza, più necessaria dell’utile. È questa la “logica” della bellezza come amore realizzato, arte della gratuità che consente a padre Pavel di abitare la distanza, e da questa soglia scorgere un senso appena percettibile dalla ragione logica, ma più saldo e incontrovertibile alle «ragioni del cuore» che nutrono la sua anima nell’invisibile danza con i suoi cari.
Le sue lettere ci mostrano concretamente come l’anima russa, sebbene violata e ferocemente aggredita dal sistema concentrazionario sovietico, possa sopravvivere nonostante il quotidiano oltraggio della propria dignità anche dentro un corpo martoriato e distrutto dagli aguzzini; come essa possa continuare a palpitare e a resistere di fronte all’estremo della disumanità.
Fra tutte queste arti alle quali padre Pavel cerca di formare i suoi figli, come un paziente maestro in un’antica bottega dei mestieri, non poteva omettere la più ardua e imprescindibile, l’arte del vivere. Vi fa esplicito riferimento negli ultimi mesi di vita, in una lettera inviata a Nataša Ivanovna (moglie del figlio Vasilij) dopo aver ricevuto la gioiosa notizia della nascita del suo primo nipotino, con queste parole: «La vita vola via come un sogno e spesso non riesci a far nulla prima che ti fugga l’istante della sua pienezza.

Per questo è fondamentale apprendere l’arte del vivere, tra tutte la più ardua ed essenziale: colmare ogni istante di un contenuto sostanziale, nella consapevolezza che esso non si ripeterà più come tale». Un invito potente e vibrante a vivere in pienezza e perfetta persuasione interiore ogni momento della propria vita come tempo opportuno dello spirito (kairos), trasformandolo in dono, in gratuità e bellezza. Una bellezza che si fa arte del vivere, della quale padre Florenskij non si limita a tracciare il senso teorico sostanziale in molti scritti già prima della prigionia, ma che declina costantemente in prassi, attraverso la quotidiana testimonianza che ora si prolunga e si dilata in altra forma, trasfigurandosi nella parola-dono di azione e di grazia che innerva ogni lettera, scritta con il sangue. Ancora una volta, sebbene ormai sprofondato nella melma fangosa delle Solovki, l’appello è alla bellezza e alla gioia senza tramonto sottese nella traccia del presente:

«La grandezza, nel futuro, / Non sostituirà ciò che ci è dato / Ora, adesso, giorno per giorno. / Soltanto l’ombra illusoria / Cresce e diventa più lunga / Verso la fine, al tramonto dei nostri giorni. / Un germoglio, un bocciolo, un fiore e un frutto: / Tutto vive della propria gioia, / Ed è bello, fa piacere all’occhio. / Non aspettare, quindi, ma gioiscine ora» (29.XI.1935).