Cosa può fare l’arte per l’ambiente?

Al centro della riflessione e del confronto di questo secondo numero di “Arti e Teologie” abbiamo posto una questione ardua e impellente, scomoda e cruciale: cosa può fare l’arte per l’ambiente? Domanda che a sua volta tocca i nuclei fondanti del rapporto tra natura e cultura, tra ambiente e arte, ma anche della nostra relazione più intima con il creato e la creazione sia in senso biologico, cosmologico, ecologico, sia artistico, estetico e teologico. Per secoli questi diversi ambiti della vita sono stati al centro della riflessione filosofica e scientifica, teologica, sociale e politica, molto meno la loro interconnessione, la stretta e inscindibile relazione di nessi in una visione olistica e integrale del mondo.

 

Labirinto artico
Michele D’Alterio, Labirinto artico (particolare)

Senza alcuna pretesa di affrontare l’enorme complessità delle diverse questioni che ruotano attorno alla così detta “emergenza ambientale”, certamente ineludibile e sempre più urgente, ci siamo limitati a proporre l’avvio di un confronto ecumenico, oltre che estetico-teologico, teso al recupero della dimensione spirituale e religiosa di un’estetica e di un’etica della creazione. Le diverse riflessioni proposte, maturate all’interno dei differenti contesti culturali e religiosi, tentano di interrogarsi sul nesso tra arte e natura, che inevitabilmente chiama in causa il rapporto della creatura umana con il creato, quindi il legame più profondo con la creazione e la sua bellezza, sempre più fragile e vulnerabile.

Lungo questa prospettiva, anche solo nell’ultimo decennio, molteplici sono state le occasioni di studio, ricerca e confronto maturate in ambito ecumenico, a conferma della crescente sensibilità e apprensione spirituale ed etica da parte delle diverse comunità cristiane (ricordiamo in particolare: L’uomo custode del creato, atti del XX Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa svoltosi a Bose nel settembre 2012, poi pubblicato nel 2013 presso le ed. Qiqajon della stessa comunità di Bose; la ricca e intensa raccolta della Rivista “Studi Ecumenici”, [numero monografico 1-2, 2020] interamente dedicato al tema Salvaguardia del creato come sfida ecumenica).

Come si evince anche dai saggi presenti in questa pubblicazione, spicca in special modo la profonda sensibilità al tema da sempre coltivato dalle chiese cristiane d’Oriente e soprattutto ortodosse, a partire dal loro radicamento alla tradizione patristica e ascetica che considera il mondo come creazione, l’eredità di cui Dio ci ha fatto dono e noi stessi come i destinatari di questo dono. Per questa tradizione teologica il sacrificio espiatorio di Cristo, nel quale trova compimento ogni cosa, non riguarda solo l’uomo, bensì la reintegrazione dell’intera creazione nel suo stato originario, nella sua primigenia bellezza, integrità e perfezione, senza di cui la creazione “geme e soffre fino ad oggi” (Rm 8,22).

Dal ritrovato sguardo contemplativo sulla natura (theoría physiké) è possibile riscoprire l’intima relazione sacramentale verso il mondo materiale che disvela il profondo legame mistico con Dio e trova la sua concretizzazione nel mistero liturgico della chiesa, nel quale si rinnova l’unità tra il cielo e la terra. Una visione-contemplazione del creato che diventa un’immagine, un’icona di Dio, ma anche la base materiale della “liturgia cosmica”, che a partire da san Massimo il Confessore e san Giovanni Crisostomo prolunga la sua forza simbolica e salvifica fino ai maggiori teologi ortodossi del Novecento, coinvolgendo anche uno dei grandi teologi cattolici come Hans Urs von Balthasar. Tra gli apporti più significativi della teologia ortodossa, soprattutto nel XX secolo, va rimarcata la riscoperta del mistero cosmo-teandrico della divinizzazione, della Divinoumanità, della imprescindibile sinergia tra Dio e l’uomo, ove a quest’ultimo è chiesto anzitutto di condurre la materia con sé verso il regno di Dio, comprendendo l’intero ambiente naturale. Dunque, in questa prospettiva, il mondo è stato creato per diventare corpo di Cristo e solo nell’eucaristia trova il suo senso e la sua destinazione ultima (particolarmente significativa resta a riguardo la riflessione teologica maturata dal metropolita ortodosso di Pergamo Joannis Zizioulas, Il Creato come eucaristia. Approccio teologico al problema dell’ecologia, ed. Qiqajon, Comunità di Bose 1994).

Sul piano specifico delle arti visive, nella ricerca e nella produzione, sono tanti gli artisti che da anni si impegnano in un’arte che direttamente o indirettamente interpreti le istanze di salvaguardia dell’ambiente. La loro testimonianza è talora coinvolgente. Come quella di Alejandro Marmo, l’artista degli “scarti”, citato da Papa Francesco nel suo libro La mia idea di arte, a cura di Tiziana Lupi (Mondadori, 2015), quella di Alejandro Duran, che utilizza la plastica riciclata, di Oscar Dominiquez, dei nostri Giuliano Mauri e Giuseppe Penone, solo per citarne alcuni. Notevole anche l’impegno artistico nell’ambiente e con l’ambiente  in val Sella.

Nei territori della musica molti autori hanno prodotto musiche ambientaliste, a cominciare dalla celebre Joni Mitchell fino all’intramontabile Paul McCartney che nel 2015 produsse un inno ambientale lanciato dall’Onu. Tutte le arti in effetti sono oggi impegnate nel discorso ambientalista. Le loro ragioni in questa direzione e le loro responsabilità sembrano essere tuttavia soprattutto a monte, nella testimonianza stessa dell’artista che muove da un sentire profondo, esplorando la vita in ogni suo confine, al di là di ogni spalto ideologico, senza limiti di mezzi e di materiali, di contesti fisici, di soluzioni linguistiche. L’artista autentico che segue la bellezza della sua ispirazione, che non cede alle lusinghe del mercato e del potere e resta fedele a se stesso, non può non credere nella verità del creato, egli stesso viene definito artifex, in qualche misura è chiamato a prolungare creativamente l’opera del Creatore. Egli forse più d’ogni altra creatura può trovare i linguaggi capaci di interpretare il bisogno di una rinnovata armonia con il mondo che lo circonda. Sono qui, riteniamo, la sua responsabilità e la sua grande risorsa.

Sul piano interreligioso e più propriamente ecumenico, che è il versante nel quale AT imprescindibilmente si muove, volendo attingere ad una sensibilità teologica plurale, ormai da anni, all’interno delle diverse confessioni cristiane, il tema della custodia del creato e della “cura della casa comune” sta diventando sempre più acuto, ma ha assunto una sua decisività, soprattutto in ambito cristiano, grazie alla crescente attenzione educativa, spirituale e pastorale di diverse comunità e patriarcati (in particolare da parte del Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartholomeos I), di diverse chiese evangeliche e riformate, e specialmente grazie al magistero sociale di papa Francesco, che con l’enciclica Laudato si’ ha richiamato con particolare vigore e urgenza l’impegno di tutti per una ecologia integrale. Questa sfida certamente ardua e semplice allo stesso tempo, che interpella la coscienza di ogni credente e di ogni persona che si sente custode della creazione, della casa e del bene comune, trova la sua ispirazione fondante nella poesia di San Francesco d’Assisi, nella bellezza di un mirabile canto di lode alla natura e al suo Creatore qual è il Cantico delle creature, nel quale arte e fede, poesia e preghiera, contemplazione e azione nella loro feconda e reciproca connessione diventano, grazie anche alla complicità del nuovo linguaggio di Giotto, una delle più straordinarie rivoluzioni artistiche di tutti i tempi.

Da questo nuovo sguardo sulla realtà, animato dalla fede e dall’arte, possiamo ancora trarre ispirazione e nutrimento, nella consapevolezza che tutto è diventato più fragile e vulnerabile, sia la natura sia la bellezza, il patrimonio ambientale e quello artistico; una bellezza che ogni giorno, a partire dalla Genesi e dal peccato di Adamo rischia di essere violata, oltraggiata, sfigurata. Come ci rammenta opportunamente papa Francesco: «Prestare attenzione alla bellezza e amarla ci aiuta ad uscire dal pragmatismo utilitaristico. Quando non si impara a fermarsi ad apprezzare il bello, non è strano che ogni cosa si trasformi in oggetto di uso e abuso senza scrupoli» (Laudato sì’, 215). Questa reificazione del creato e il conseguente saccheggio, abuso della natura e della bellezza ci aggredisce e ci soffoca ogni giorno di più, degradando l’intero universo e con esso le creature che vi abitano. Infatti: «L’ambiente umano e l’ambiente naturale si degradano insieme, e non potremo affrontare adeguatamente il degrado ambientale, se non prestiamo attenzione alle cause che hanno attinenza con il degrado umano e sociale» (Laudato sì’, 48).

Sentirsi custodi della creazione e non possessori e padroni di essa genera uno sguardo contemplativo e creativo che per sua natura si contrappone a quello rapace, meccanico e utilitaristico che ha preso il sopravvento ormai da tempo in molte aree culturali. Da queste due opposte visioni del mondo ne scaturiscono prassi e conseguenze inimmaginabili. Sollecitare e accompagnare questo sguardo è il compito antico e sempre nuovo dell’educazione alla bellezza, nella quale fede e arte ritrovano il loro nesso palpitante e donano senso alla vita.

Il nostro intento è quello di offrire un piccolo contributo alla riflessione in atto in prospettiva ecumenica e interdisciplinare di visione integrale della conoscenza circa i problemi cruciali che vive oggi il pianeta terra, desiderando contribuire concretamente a mettere in atto un’autentica pedagogia e spiritualità ecologica, in grado di tradursi poi in progettualità etica e politica. Come fortemente richiamato dall’Enciclica, siamo oggi di fronte all’emergere di «una grande sfida culturale, spirituale e educativa che implica lunghi processi di rigenerazione» (Laudato sì’, 202). Non possiamo più sentirci estranei a questi processi, indifferenti di fronte all’aggressione quotidiana nei confronti del creato. Occorre ritrovare la profondità e la bellezza nella relazione con tutte le differenti realtà della natura e con gli esseri viventi in essa accolti, contemplandoli nella loro destinazione alla salvezza.

In questa prospettiva anche le Arti e le Teologie possono offrire un loro specifico contributo e accrescere una fattiva responsabilità pedagogica che non può essere ulteriormente dilazionata o elusa. Anche in questo caso, “il tempo si è fatto breve” e ciò esige da parte di tutti una rinnovata consapevolezza e una nuova prassi.

I diversi saggi e interventi, le intense riflessioni e testimonianze che compongono questa raccolta, sono l’umile ma sincero tentativo di corrispondere alla complessità delle questioni poste. Portando alla luce la ricchezza e la complementarietà dei diversi sguardi e delle differenti sensibilità, certamente possiamo crescere insieme nella riscoperta dei reciproci doni, ma anche delle nostre responsabilità nei confronti dell’ambiente e diventare così autentici custodi della creazione.

Giorgio Agnisola
Alfredo La Malfa
Natalino Valentini

Intervengono nel dibattito sul tema gli studiosi:
Bruno Bignami, Severino Dianich, Franco Ferrarotti, José Jiménez, Emilio Salvatore, Evangelos Yfantidis
e l’artista Sidival Fila
Gli interventi ⪼